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MINACCIA O OPPORTUNITÀ PER LE AREE RURALI?

DI

G

IUSEPPE

G

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La tematica che tratterò è complessa per cui cercherò di porre enfasi soltanto su alcuni aspetti. Non tratterò in maniera esaustiva l’argomento sulle politiche di sviluppo, ma cercherò di porre alcune questioni che spe- ro e auspico vengano riprese e trattate in modo più approfondito nei workshop di domani e soprattutto nel- la tavola rotonda del pomeriggio. Collegherò, quindi, alcuni aspetti legati al titolo del seminario ed al titolo del mio stesso intervento, quali il termine rurale e sviluppo, che sta perdendo molto del suo significato die- tro questa rincorsa ad un modello unico che non è in grado di autosostenersi e, soprattutto, che presenta al suo interno innumerevoli contraddizioni: i pagamenti per inquinare ed i pagamenti per disinquinare; i pa- gamenti che dovrebbero ridurre il divario territoriale mentre, invece, questo aumenta; il sostegno delle po- litiche ad un determinato modo di fare agricoltura e una esclusione dal sostegno di un altro modo di fare agri- coltura che, così come è emerso dagli interventi che mi hanno preceduto, è reale sul territorio.

Il problema diventa ancora più complicato se aggiungiamo ai terminirurale e sviluppo (al termine sviluppo in particolare), il termine sostenibile e solidale, così come è emerso negli interventi che mi hanno preceduto. Dal punto di vista scientifico è fuor di dubbio che l’agricoltura è interessata da profondi mutamenti e, so- prattutto, da un crescente interesse verso innovazioni produttive e organizzative, frutto sia di iniziative au- tonome degli imprenditori, ma anche, in qualche modo, frutto del sostegno delle politiche di sviluppo. Uno dei fattori che contribuisce a spiegare questa tendenza è la riscoperta del legame con il territorio locale. (fi- gura 1)

Sia le pratiche di agricoltura contadina, come risposta ai modelli di agricoltura industrializzata e sostenuti dal- le politiche subordinate agli interessi dominanti, sia l’agricoltura multifunzionale all’interno della quale tro- va spazio l’agricoltura sociale contribuiscono a rendere competitivo il territorio. Il problema è: che cosa è da intendere per competitività? E questo lo rimando per ragioni di tempo alle discussioni di domani. Quindi, se tutto questo (come è testimoniato dalle esperienze che si stanno consolidando in Italia negli ultimi anni, la To- scana, il Veneto, il Lazio per quanto riguarda l’agricoltura sociale, ma anche all’estero, Olanda, Francia, etc.) avviene sul territorio, dall’altra parte ci sono le politiche: che cosa fanno le politiche? Come rispondono a queste sollecitazioni che provengono dal territorio? Non vi è dubbio secondo me che Agenda 2000 ha rap- presentato uno dei passaggi più delicati degli ultimi anni ed ha per certi versi operato una razionalizzazio- ne che ha comportato almeno l’inserimento in un disegno organico di un insieme di strumenti che prima ave- vano funzionato in maniera frammentata. Da questo punto di vista, la programmazione 2000-2006 può es- sere vista come un passo in avanti verso l’impostazione di una politica di sviluppo diversa rispetto al passa- to. Io oserei dire anche più coerente e più ambiziosa rispetto ai decenni precedenti, pur con tutti i limiti emer- si durante la fase di attuazione. Anche il Regolamento (CE) n. 1698 del 2005 rappresenta un elemento in- novativo.

La nuova programmazione introduce, in continuità con Agenda 2000, importanti cambiamenti capaci di in- cidere positivamente nelle economie rurali sia in termini di modelli di produzione (poi vedremo quali modelli), sia in termini di modelli di governance (quali modelli di governance), sia rispetto all’evoluzione delle condi- zioni sociali e, se vogliamo, al miglioramento della qualità della vita. Tutto ciò è coerente con quelli che so- no gli obiettivi posti a Lisbona e Goteborg rispetto alla promozione dei sistemi competitivi e sostenibili. Inol- tre, il Regolamento assegna al nuovo fondo FEARS una missione ben precisa: migliorare o promuovere lo sviluppo rurale e sostenibile attraverso un uso integrato delle politiche. Quindi questa è una missione chiara e precisa. Sono anche chiari e precisi gli obiettivi attraverso i quali si articolano i PSR regionali suddivisi in quattro assi all’interno dei quali ci sono una serie di misure molto importanti. (figura 2)

Allora il problema è il seguente: è possibile perseguire obiettivi orientati alle problematiche che qui stiamo trattando con questa politica? La mia risposta è sì. Pur tuttavia auspico una discussione più ampia e ap- profondita nei workshop e nella tavola rotonda. È, infatti, possibile perseguire politiche a sostegno dell’a- gricoltura sociale ed a sostegno di pratiche agricole economicamente sostenibili e solidali con gli strumenti che abbiamo, purché, però, lo si voglia, purché ci si impegni nella definizione di obiettivi, strategie, modalità at- tuative adeguate ai processi in corso sul territorio, purché si abbiano ben in testa da parte dei tecnici e da par- te degli operatori, precisi e chiari modelli di sviluppo ancorati alle specificità locali, quindi non disegnati a Bruxelles, a Roma, a Catanzaro, ma disegnati sul territorio e attraverso i quali i soggetti territoriali siano i protagonisti assoluti e purché si esca da alcune ambiguità.

Quali sono le ambiguità? Una prima ambiguità è secondo me come utilizzare i fondi strutturali. I fondi strut- turali non possono e non devono essere una mera erogazione di risorse pubbliche, ma, devono essere letti e percepiti come processi di sviluppo (e non mi soffermo sul termine processo e nemmeno sul termine sviluppo in quanto sono stati ampiamente trattati). Un’altra riflessione che dovremmo affrontare è la seguente: la politica di sviluppo rurale è realmente una politica di sviluppo rurale o è ancora una politica agricola? Secondo me, risente ancora e molto dell’involucro della PAC all’interno della quale nasce e, quindi, della settorializ- zazione, e ragiona ancora oggi (anche se meno rispetto al passato) in una logica tutta interna al mondo del- l’agricoltura, mantenendo approcci difensivi, tradizionali e consuetudinari, e indirizzando gli interventi pre- valentemente all’agricoltura ed in alcune Regioni soprattutto agli agricoltori. (figura 3)

Quindi vengono costruiti partenariati di tipo settoriali e si favoriscono modelli di produzione diciamo con- venzionali, tradizionali, ma che è altro rispetto a quello che dovrebbe essere invece il modello di produzio- ne eco-sostenibile. Secondo me conviene riflettere sul ruolo e sui limiti delle politiche ed un primo passaggio dovrebbe essere quello di far uscire l’agricoltura e le relative politiche dal settorialismo in cui spesso sono re- legate ed in cui spesso esse stesse si relegano per motivi difensivi. Ciò significa gestire il nuovo ciclo di pro- grammazione 2007-2013 in maniera integrata e coordinata con le altre politiche di sviluppo, trasformare i

PSR nella loro applicazione concreta da contenitori di vecchia PAC in veri strumenti di sviluppo locale, centrati sull’impresa, ma volti a valorizzare il legame con il territorio.

Quindi lo sviluppo rurale deve essere visto come un risultato congiunto tra diversi settori di attività, di fatto- ri endogeni ed esogeni, di processi negoziali tra attori locali non necessariamente dentro il settore agricolo: quindi portatori di interessi diversificati, ma integrabili in una strategia condivisa e collettiva. Un PSR secon- do me non dovrebbe essere altro che uno strumento per lo sviluppo locale delle aree rurali, e non la politi- ca di sviluppo rurale, perché lo sviluppo rurale dovrebbe essere l’intreccio di politiche differenti. Da questo punto di vista i PSR sono una fondamentale occasione per sperimentare nuovi e necessari percorsi richiesti per prepararsi al dopo 2013. Oggi, ma soprattutto domani, dopo il 2013 lo sviluppo agricolo richiede politi- che a base territoriale ed orientate allo sviluppo generale. Spesso si verifica che le aziende di successo ope- rano all’interno di contesti locali di qualità e quindi questo dovrebbe farci riflettere: il terminequalità, non riferito al settore agricolo, ma al contesto territoriale di riferimento. Un altro importante lavoro da fare è estendere i partenariati e qui non mi soffermo perché sia Ada sia gli altri hanno già fatto emergere l’impo- stazione sbagliata degli attuali partenariati. È necessario avviare un processo diverso e nuovo rispetto a co- me costruire partenariati efficienti ed efficaci per politiche di sviluppo diverse.

Alcune altre questioni riguardo la ricerca, le politiche e gli attori locali. (figura 4) Figura 3

Innanzitutto emerge il problema di colmare il deficit informativo. Spesso gli agricoltori o i tecnici delle Regioni, che preparano i PSR, non hanno cognizione del fatto che alcune misure dello sviluppo rurale possono esse- re utilizzate per diversificare le attività dell’agricoltura, per costruire reti alternative e diverse rispetto a quel- le convenzionali. Un altro problema è l’incontro tra domanda e offerta. Ci sono ambiti nuovi di intervento che presuppongono conoscenze e professionalità nuove tra gli operatori e tra i tecnici. Infine, c’è il problema dell’interazione tra soggetti diversi e, come diceva Francesco, anche soggetti che tradizionalmente non han- no nessun rapporto tra loro, come l’agricoltura ed il sociale. Credo che da questo punto di vista, tutto quello che oggi abbiamo ascoltato rappresenta un’interessante sfida per il futuro del mondo rurale, non solo per la ricerca ma, soprattutto per le politiche di sviluppo purché, però, al di là di quello che ho detto in maniera sin- tetica, si costruisca un qualcosa di diverso e fortemente ancorato su processi reali e territoriali e avendo la con- sapevolezza che il come fare, il perché fare e il con chi fare è molto più importante del cosa fare. Grazie.

WORKSHOP 1

SISTEMI DI WELFARE E RETI DI PROTEZIONE