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LFONSO

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ASCALE

I percorsi in questi ultimi anni delle esperienze di agricoltura sociale si caratterizzano essenzialmente come fenomeni territoriali in cui si manifesta maggiormente l’esigenza di individuare forme di socializzazione o mo- dalità per collegarsi con il mondo della ricerca e con i centri di produzione della conoscenza tecnica non esper- ta. Queste pratiche esistono nella realtà. Si tratta solo di rendersene conto, di darle visibilità, di andarne a ve- rificare l’esistenza concreta e le relative modalità. Inoltre questi fenomeni sono esempi di conoscenza tecni- ca non esperta. Le reti nascono al fine di avviare un’attività di ricerca di riproduzione di pratiche, per dare visibilità a questi fenomeni che altrimenti nessuno, al di fuori dei soggetti coinvolti direttamente, potrebbe os- servare.

La rete delle fattorie sociali nasce nel 2005 essenzialmente come strumento di rappresentanza, di coordina- mento e supporto ad esperienze di agricoltura sociale e a coloro che intendono progettare e realizzare tali esperienze nel territorio nazionale. Noi abbiamo una base significativa nella regione Lazio, ma abbiamo rap- porti ormai con molte regioni italiane. Dal luglio del 2007 la rete collabora con altre organizzazioni, anche di carattere nazionale, come AGRITERRA, un’associazione che nasce addirittura negli anni ’50, l’ALPA, un’or- ganizzazione relativamente recente, l’AIAB, l’Associazione per l’Agricoltura Biologica, poi abbiamo la CC La- zio, Centrale Cooperativa, la CIA Lazio, la CNCA, Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, la Confagricoltura di alcune Regioni.

Grazie a questa combinazione di figure sociali, cui corrispondono ruoli diversi di imprenditorialità, lavoro autonomo e dipendente, abbiamo avviato queste esperienze dello sportello informatico dell’agricoltura so- ciale (www.fattoriesociali.com). Si tratta di un’attività che svolgiamo in collegamento con l’università di Vi- terbo e con l’università di Pisa. Dal 2006 la Rete partecipa al Forum Delle Fattorie Sociali della provincia di Roma. Sono due le Province in Italia (Pordenone e Roma) che hanno istituito, con Delibera del Consiglio Pro- vinciale, il Forum per la Promozione delle Fattorie Sociali.

Aderiscono in modo volontario tutti i soggetti, privati, privati sociali, i comuni, le ASL, le Università agrarie, le Comunità Montane, tutti coloro che hanno interesse a sviluppare iniziative di agricoltura sociale. Il tavolo di partecipazione è coordinato dall’ufficio della Provincia di Roma. Dal maggio 2007 come coordinamento partecipiamo alla piattaforma nazionale (SO FAR), e dal novembre 2007 partecipiamo al tavolo regionale or- ganizzato dalla regione Lazio e dall’ARSIAL, l’agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agroa- limentare.

L’input proviene dalla Regione, dall’Assessorato all’Agricoltura e dal Consiglio Regionale, e l’Arsial si è fatta promotrice di un tavolo tecnico regionale cui partecipano rappresentanti di diversi Assessorati Regionali che si interfacciano con le problematiche dell’agricoltura sociale. C’è la sanità, il lavoro, le politiche sociali, in- somma abbiamo riunito tutti gli interlocutori che devono essere contattati per avviare iniziative di agricoltu- ra sociale.

delle Fattorie Sociali. Siamo orgogliosi del fatto che dopo sole 2 settimane dalla pubblicazione di questo an- nuncio sui siti internet, sono arrivate 280 adesioni per la partecipazione al corso, di cui circa 30 sono agri- coltori, un centinaio sono operatori sociali, gli altri sono ricercatori, studenti, professionisti, psicologi. Abbia- mo un varietà molto ampio di persone che intendono apprendere che cos’è l’agricoltura sociale. Inoltre par- tecipare al corso non è semplice: dura 2 mesi, si svolge a Roma, e strutturato in 5 ore una volta a settimana per 5 mesi. Per chi ha un’azienda agricola, o delle attività diventa faticoso, ma nonostante tutto abbiamo avu- to 280 richieste di partecipazione.

Ciò testimonia che emergono nuovi soggetti sociali, nuove attività, in cui spesso la medesima figura sociale assume una pluralità di ruoli. Come diceva Saverio, si verifica la produzione congiunta di beni e fornitura di servizi, ruoli imprenditoriali e lavori dipendenti autonomi, integrazione del mercato e ricerca di spazi auto- nomi tipici del modo di produrre contadino.

Ciò che oggi si verifica, però, è una cosa diversa rispetto alla fase precapitalistica, dove l’autonomia poteva anche significare nicchia o separatezza. Oggi l’autonomia va intesa invece come confronto continuo con il mercato, con maggiori strumenti, per non farsi dominare, senza farsi condizionare completamente. Questa è la forma per raggiungere maggiore competitività. Se lo intendiamo invece in termini di ritorno ad una mo- dalità contadina che assolutamente non ha più senso in una società capitalistica, allora diventa qualcosa di incomprensibile.

Riguardo i modelli di welfare, la teoria della modernizzazione ha condizionato l’intervento pubblico in agri- coltura e la PAC si è configurata come un vero e proprio modello di welfare il cui obiettivo era, oltre l’auto- sufficienza alimentare, la creazione di una sorta di ammortizzatori sociali per lo sviluppo. Ciò era stato ela- borato per l’industria, per la città, e attraverso la PAC si cercava di trasporre questo modello al settore agri- colo, erogando risorse al fine di ammortizzare la situazione dicotomica che si creava nei meccanismi di svi- luppo. Io credo che sarebbe velleitario contrapporre in termini conflittuali alternativi il paradigma del modo di produrre contadino, ma bisognerebbe vedere, invece, questo impianto analitico come una modalità per ca- pire in che modo valori tradizionali del mondo rurale che fanno riferimento al mutuo aiuto, alla reciprocità, alla solidarietà non siano archeologia rurale. Pongo degli esempi concreti: tutta l’esperienza ultra secolare dei consorzi di bonifica, degli usi civici, del carattere agricolo del movimento contadino italiano (il nostro paese è l’unico in Europa dove il movimento cooperativo nasce nelle campagne, mentre in tutti gli altri paesi na- sce nell’artigianato, nell’industria) sono tutte peculiarità della realtà contadina italiana, portatrice di valori. Noi dobbiamo recuperare questi valori e rivitalizzarli per rinvigorire le reti sociali e accrescere la reputazio- ne delle attività imprenditoriali per fare in modo che la capacità di quei processi produttivi legati al capitale sociale che è proprio della cultura contadina possa arrecare benessere, produrre valore aggiunto, produrre sviluppo. Pertanto dobbiamo introdurre un nuovo modello di welfare, attraverso un’attività produttiva capace di generare servizi sociali, nuovi servizi ambientali. Un esempio potrebbe essere un modello per riformare l’aiuto diretto. Ieri c’era una vivace discussione in cui Francesco ha introdotto questo elemento del tema de- gli aiuti. Io credo che il punto sia, più che l’entità degli aiuti, la finalità degli stessi.

re in modo diverso dal passato gli aiuti diretti non al prodotto, ma a servizi reali che possono essere resi nel- le aeree rurali. Cioè si tratta di recuperare e ammodernare le vecchie forme contadine con cui ci si difende- va dagli stessi processi biologici, oppure si irrigava e si organizzavano gli usi civici nelle proprietà collettive, si faceva una cooperazione di servizi alle persone. Nell’esperienza di cooperazione della fine dell’Ottocento, le cooperative nascevano proprio per fornire servizi alle persone.

Se noi andiamo a vedere l’origine del nostro movimento contadino vediamo un forte intreccio tra una soli- dità di meccanismi solidali ai fini produttivi e allo stesso tempo di erogazione di servizi. Tutto questo si face- va senza che fosse prevalente il dilemma profit/non profit, senza pensare al profitto, ma attraverso mecca- nismi in cui i processi di riproduzione delle risorse naturali e culturali erano molto presenti.

Si è parlato di distretto rurale, che è diverso del distretto industriale, perché ha a che fare con risorse natu- rali. Il distretto industriale non ha niente a che vedere con la conformazione delle risorse naturali, mentre, al contrario, il distretto rurale è tale proprio perché ha questa specificità: l’elemento centrale al suo interno è la solidarietà, l’elemento solidale credo che sia lo strumento principe su cui basare ogni azione. Io credo che questi processi da tempo evidenti, ma scarsamente indagati, manifestino un elemento impor- tante, che vorrei proporre come ulteriore indagine e confronto: una crisi profonda delle vecchie forme della rappresentanza sociale in agricoltura. Le rappresentanze attualmente sono legate al paradigma della mo- dernizzazione dell’agricoltura industrializzata e non sono in grado di agire attraverso percorsi nuovi, perché suppongono un adeguamento strategico faticoso. Si pensi alla CIA, Coldiretti, Confagricoltori, per questi sog- getti dover riadeguare il proprio modello strategico organizzativo a realtà simili, è una fatica notevole in quanto la loro struttura è consolidata, rigida. Esse sono ancorate ad un sistema di servizio, anche di con- fronto con le istituzioni di un certo tipo di modello di agricoltura, che ormai è superata.

Chi realizza esperienze innovative, non è rappresentato adeguatamente dalle organizzazioni tradizionali, e di questo risentono in qualche modo anche le reti, per questo motivo anche spesso accade che le reti svolgano una funzione di supplenza in termini anche di rappresentanza. Questi nuovi percorsi hanno bisogno di una rappresentanza forte. Io proporrei di sorvegliare le logiche distrettuali in quanto, essendo generatrici di rap- porti di reciprocità, potrebbero costituire la nuova modalità di rappresentanza. Quindi dovremmo analizza- re questi percorsi per comprendere come potrebbero evolvere in seguito.

WORKSHOP 2

EDUCAZIONE E FORMAZIONE…