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VINCOLI E POTENZIALITÀ: BIO-DIVERSITÀ AGRARIA E ALTRA AGRICOLTURA NEL SALENTO

DI

L

UCA

C

ARBONE

Vi presento delle esperienze attive del Salento. Si tratta di esperienze puntiformi, che coinvolgono diverse ti- pologie di attori e che nonostante tutta la difficoltà di integrazione istituzionale, insistono e persistono da 20 anni nella loro attività, quindi dimostrano che le altre agricolture, e non un altro modello, sono possibili con- cretamente.

Le esperienze sono quattro, e i protagonisti sono Francesco Minonne, che è legato all’orto botanico dell’Uni- versità del Salento, Daniele Foscarini per la rete degli agricoltori, il Comune di Zollino, e Carlo Mileti, nel- l’ambito del progetto Cooperazione Internazionale. Carlo Mileti è anche il responsabile del Commercio Equo e Solidale e lavora nelle ONG da un bel po’ di anni.

Francesco Minonne ha cominciato a fare una ricerca sul fico e sulle varietà locali di fico nel Salento. Il mo- mento vitale è la Festa della fica (in dialetto si chiama così), che si fa nel suo paese d’origine, Marittima, ma è nota anche nel Mediterraneo perché è collegata con la Francia, con il Libano, con Israele, dove ci sono al- tri ricercatori. Egli ha individuato, durante la sua ricerca, condotta nell’area salentina – il Grande Salento, che include la parte della provincia di Brindisi e di Taranto – circa 96 varietà di fico, 46 di vite e poi varietà di pero comune, di pruno, e anche di frutti minori. All’individuazione delle varietà si è collegata anche una ri- cerca linguistica, relativa alle denominazioni locali di queste varietà.

La dimensione colturale e culturale credo che vadano di pari passo, quindi la ricerca su quello che è il sub- strato millenario delle pratiche agricole va intersecata con il riconoscimento di ciò che questa cultura e que- ste civiltà “subalterne” hanno prodotto e conservato nei millenni. Si sono recuperate questa varietà di viti- gno e si è cercato di farne un esperimento di rilancio e visibilità territoriale, in quanto viene coltivato nella riserva di Tor Guaceto, a nord di Brindisi, dove c’è anche un’area marina protetta, collegata con un prodot- to, un vino di qualità, il Sum. Adesso la Regione Puglia si sta attivando; però ci sono dei rischi, in quanto spesso vengono certificate varietà che sono di importazione. Da qui una vera e propria lotta, una guerriglia istituzionale e i rischi sono tanti.

Queste varietà sono sopravvissute per l’inconsapevole tenace, convinta e partecipe esistenza di questi pro- duttori, e poi perché qualcuno – in questo caso anche con il contributo dell’Università – si è premurato di re- cuperarle. I produttori, quelli che insomma le hanno mantenute, spesso nei giardini, negli orti, nelle campa- gne, in una situazione completamente marginale, anche in un’area come il Salento, hanno provveduto a preservarle. Non c’è casa con un cortile che non abbia il fico, il mandorlo, gli agrumi, sono dappertutto però sono invisibili. Ecco, la cosa importante: portare visibilità a cose che altrimenti restano invisibili.

Francesco Minonne ha costruito un rapporto di confidenza, di fiducia con queste persone, è stato con loro, co- municando nella loro stessa lingua, si è interessato di ciò che facevano, quindi non è un elemento estraneo che si inserisce dall’alto e cerca di coordinare, tutt’altro.

piazze. Però altrettanto spesso queste realtà sono molto lontane, quasi come se appartenessero ad un al- tro mondo e sono il nostro sud del mondo. L’agricoltura di resistenza è tutto intorno a noi, nelle pratiche minime, ancora oggi si seccano i semi del pomodoro per l’anno successivo, si seleziona il pomodoro dalla pianta, si mette lì a seccare su una pezzuola bianca, etc. Ma queste sono pratiche diffuse in tutto il terri- torio. Fare la salsa del pomodoro nel Salento è un rito, si fa in tutte le famiglie. Solo adesso, negli ultimi 10-15 anni, c’è stato un progressivo allontanamento, una relativa vittoria della salsa del supermercato, però in ogni caso è un patrimonio condiviso, poco visibile all’esterno, ma c’è, quindi bisogna farlo emer- gere e valorizzarlo.

Vi dicevo che sono state riscoperte le varietà, e qui entrano in gioco anche i limiti delle Università. L’orto bo- tanico le ha fatte proprie, ma non riesce a custodirle e a coltivarle, e allora hanno elaborato questa strate- gia per promuovere l’orto botanico diffuso attraverso una Convenzione formale tra Università e aziende, o comunque soggetti interessati a custodirle e coltivarle, nuovi soggetti, nuove contadinità in questo caso. In più c’è anche l’esempio dell’associazione Comona. Le condizioni che sono stabilite da questa Convenzio- ne formale sono: condivisione delle collezioni, al fine di garantire la conservazione di questi siti, scambio di materiale genetico, obbligo reciproco di citare le fonti, condivisione organizzativa, quindi anche un proces- so di disseminazione e reciproco supporto. Sono segni importanti di iniziative nuove, però possono anche di- ventare dei modelli.

Passiamo all’esperienza successiva. Daniele Foscarini prima ha avviato una produzione di uova, che è riuscito a diffondere fino a livello nazionale, poi ad un cero punto ha deciso di cambiare e di puntare sulla fattoria didattica, intesa in senso steineriano, quindi a ciclo chiuso: tutto deve essere prodotto e consumato all’inter- no dell’azienda, ed è arrivato ad un’autosufficienza del 90%, il resto, il 10%, lo prende dalle altre aziende biodinamiche che si stanno collegando a livello pugliese.

La superficie che coprono queste aziende biodinamiche è di circa 800 ettari, le produzioni sono altamente dif- ferenziate: agrumi e uva nel tarantino, olio, vino, cereali di questa varietà particolare, che ha minor resa ma maggiore qualità. Uno degli obiettivi è la resa di qualità, e la conservazione produttiva di varietà. Si ha quin- di un ridimensionamento dell’importanza del mercato, si tiene conto delle fasi finali in tutte le fasi della col- tivazione e c’è comunque uno sbocco commerciale. Tuttavia, la cosa paradossale è che manca il mercato lo- cale. Vi sono pochi Gas, per cui ci sono dei clienti che molto spesso sono amici, persone simpatizzanti di que- ste iniziative che vanno a comprare nelle aziende, ma il grosso viene esportato, in Svizzera (che fa da polo di distribuzione), Austria, Germania e Inghilterra. È così che questi produttori sopravvivono, invisibili nel ter- ritorio. Io stesso ne sono venuto a conoscenza dell’esistenza di questa azienda fuori dal mio paese. Passo adesso ad un’altra tipologia di iniziativa. Zollino, un piccolo comune di una zona del Salento tra le più note. Su suggerimento, e con il supporto di una compagnia teatrale che opera da anni nel territorio e ha un rapporto stretto con la Grecia, questa area è entrata in un progetto, chiamato Grecia-Italia, per la promozione del biologico e delle varietà locali.

La chiave della produzione locale è il pisello nano, molto conosciuto anche fuori da Zollino. Si è puntato sul- la promozione del prodotto e delle specificità locali, e quindi si è deciso di lavorare intorno al pisello nano.

Si è iniziato con un’azione di promozione, il cui il prodotto, il pisello nano appunto, è collegato ad un even- to importante che è la fiera di S. Giovanni.

Durante questi eventi si è cercato di promuovere e valorizzare tutta una serie di prodotti tipici, come un ti- po di pane, che aveva anche un alto valore per la sostenibilità alimentare, in quanto prodotto con tutto quel- lo che è avanzato del pasto. È comunemente chiamato Sheblasti, che nella terminologia salentina vuol dire “senza forma”. Intorno a questi elementi noi come Dipartimento abbiamo dato il nostro contributo effet- tuando una ricerca con i coltivatori.

Abbiamo intervistato gli stessi coltivatori, la tipologia sono i piccoli coltivatori e prevalentemente sono perso- ne che lo fanno come secondo lavoro. Fanno altri lavori, e poi coltivano il pisello nano come secondo lavoro, e ci tengono molto. Il dato che emerge in modo interessante è che le motivazioni alla fine non sono economi- che, e questo vale anche per la raccolta e la coltivazione delle olive al livello del piccolo contadino e della pic- cola azienda familiare. Il processo è più costoso del prodotto finale, però continuano, lo fanno e non sono vi- sibili. Qualche anziano ha detto: “Quando moriremo noi finirà tutto, perché i giovani ormai scappano!” Questo è anche un elemento di riflessione. Infatti, nella zona di Zollino abbiamo intenzione di attivare degli incontri di animazione, perché l’idea di riavvicinare i giovani è fondamentale per rompere quella che è una ten- denza molto presente nel sud di considerare il contadino come “povero”. Noi qui siamo quelli che la pensano diversamente, ma è vero che è diffusa questa idea. Tuttavia, come diceva Pasolini, c’è ancora un elemento di rifiuto razzistico, della condizione contadina, che si perpetua nella piccola borghesizzazione italiana. Quella che vedete, è l’opera di un nostro importante attivista Ezechiele Aleandro, e probabilmente è la rap- presentazione della danza dei coltelli, che è una cosa legata in parte alla pizzica, ma in parte è autonoma, e rappresenta il codice della malavita che adesso va nella direzione della spettacolarizzazione.

L’ultima esperienza è il Progetto di Carlo Mileti, che sposta un po’ l’attenzione verso un’altra dimensione possibile e praticabile attraverso il coinvolgimento istituzionale dei comuni della Grecia, dove già erano sta- ti attivati collegamenti con il Medio-Oriente, attraverso la rete del commercio equo e solidale. Si tratta di un progetto di cooperazione lanciato a partire dall’ulivo e dal suo valore simbolico e produttivo, attuato insie- me ad una cooperativa palestinese ed una israeliana. Gli obiettivi erano innanzitutto farle produrre insieme, (la produzione in questione era legno intarsiato, quindi utensili ricavati dall’ulivo, ma anche prodotti come i saponi etc.). Si è riusciti ad ottenere che la materia prima fosse prodotta dai palestinesi e la trasformazione dagli israeliani, e questa è un pò un’inversione di tendenza rispetto alla situazione iniziale, in cui i palesti- nesi erano invasi da prodotti israeliani. L’incontro tra queste due realtà che operavano nello stesso settore ed erano entrambe iscritte alla rete del commercio equo e solidale è avvenuto per la prima volta all’interno di questo progetto. L’altro obiettivo era quello di ripiantare gli alberi di ulivo, in quanto gli israeliani lo stanno espiantando per costruire un muro. Per un muro di 80 cm, vengono espiantati 50-100 metri di terreno, in quanto l’area circostante diventa zona di sicurezza. Quindi l’intento del progetto è quello di impiantare una parte di quel terreno con queste piante. Punto forte del progetto è lo scambio di esperienze. Il progetto pre- vede: coinvolgimento dell’artigianato, rafforzamento del canale, attività di divulgazione del progetto, pro- mozione di una cultura di pace nell’area mediterranea, attivazione di un forum Euro-Mediterraneo on-line.

Concludo con un pensiero di Heideger, grande e controverso pensatore del ‘900, che assimila il suo lavoro di filosofo a quello del contadino. Quindi quando pensiamo ai contadini, non dobbiamo farlo in chiave folklo- rica, né in chiave riduttiva o minimale, ma rapportandoci a millenni di storia umana da cui ancora, fonda- mentalmente, non ci siamo staccati. Al di là di tutte le retoriche dell’industrializzazione, forse sarebbe me- glio non staccarsene, e sembra che stiamo cominciando a capirlo.

WORKSHOP 5

IL MERCATO TRA SOSTENIBILITÀ ETICA