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Processi di resistenza in agricoltura

È possibile interpretare in termini di “processi di resistenza” la permanenza di forme diversificate di gestio- ne dell’azienda agricola, che nel loro insieme si configurano come alternative al modello proposto nella fa- se di modernizzazione dell’agricoltura.

Figura 1

Quest’ultima si è diffusa nei paesi europei dopo la fine della seconda guerra mondiale, attraverso l’adozio- ne di un orientamento aziendale produttivistico, l’intensificazione del processo produttivo, l’inserimento di tec- nologie sostitutive del lavoro e la trasformazione industriale dei prodotti. Per l’agricoltore “moderno” que- sto ha significato un aumento della dipendenza dal complesso tecnologico e industriale, un faticoso adegua- mento al sistema di regolazione, una sostanziale espropriazione delle capacità gestionali ed una caduta ten- denziale del reddito agricolo complessivo per effetto dello squilibrio tra aumento dei costi e diminuzione dei ricavi. Inoltre si è determinato lo sganciamento dell’agricoltura dal contesto locale, con la scomparsa dei si- stemi di relazione che la integravano a livello territoriale e la sua sostanziale riduzione alla fornitura di ma- terie prime per la trasformazione industriale dei prodotti. Le prospettive offerte agli agricoltori riguardava- no da un lato l’adeguamento al nuovo sistema oppure la loro scomparsa. Non si consideravano praticabili vie alternative alla modernizzazione, assunta come tendenza definitiva e necessaria, mentre l’agricoltura con- tadina appariva senza futuro.

Contrariamente a tali previsioni, sono diventati sempre più evidenti i limiti del modello di agricoltura indu- strializzata, in termini di sostenibilità economica, sociale ed ambientale. Da parte degli agricoltori sono sta- te elaborate strategie di resistenza, particolarmente finalizzate a:

• aumentare il valore aggiunto a livello aziendale • assicurare nuove fonti di reddito

• ridurre i costi di produzione.

Alcune di queste strategie saranno discusse nel corso dei workshops di questo seminario e riguardano in particolare le iniziative che consentono di aumentare il valore aggiunto a livello aziendale, quali la vendi- ta diretta in azienda, la trasformazione dei prodotti in azienda, la fornitura ai gruppi di acquisto solidali, i mercati contadini. Altrettanto spazio sarà dato alle attività che assicurano nuove fonti di reddito, come l’a- gricoltura sociale, l’agriturismo, le fattorie didattiche, gli orti scolastici, che contribuiscono ad integrare le tradizionali forme di pluriattività. Rientrano inoltre in queste strategie di resistenza le nuove forme di coo- perazione sociale per lo scambio di prodotti da impiegare nel processo produttivo, l’impiego di fertilizzan- ti organici, sostitutivi di quelli chimico-industriali, la valorizzazione delle conoscenze tradizionali, che con- sentono di ridurre i costi di produzione. Quindi tutta una serie di attività complesse che implicano cono- scenze tecniche, capacità organizzative, integrazione in un sistema di relazioni articolato a livello locale ed esterno.

Queste diverse forme di resistenza sono coerentemente integrate nel modello di agricoltura contadina, che viene oggi riscoperto per la sua capacità di assicurare non solo la sostenibilità economica dell’azienda, ma an- che quella sociale ed ambientale. Gli elementi essenziali di questa forma di agricoltura sono qui di seguito pre- sentati in modo sintetico.

Figura 2

L’agricoltura contadina si basa su attività finalizzate non solo alla produzione del reddito, ma anche alla ri- produzione delle risorse da impiegare nel processo produttivo. Questo implica non solo la riduzione della di-

pendenza dal mercato per l’acquisizione dei fattori produttivi, ma anche una particolare attenzione a con- servare le basi naturali della produzione agricola. Gli elementi della natura viva (terra, acqua, piante, ani- mali) sono internalizzati nel processo produttivo, a differenza di quanto succede nell’agricoltura moderniz- zata, che utilizza fattori prodotti chimicamente. Inoltre, vengono utilizzate tecnologie skill oriented, che pre- suppongono la padronanza del mestiere e che incorporano le conoscenze tradizionali dei contadini. Ricordo che durante un incontro organizzato da Francesco Di Iacovo con i componenti di un GAS pisano e con alcuni dei suoi fornitori, questi ultimi avevano offerto diversi esempi di riferimento alle conoscenze dei vecchi con- tadini del posto, per l’organizzazione della loro produzione biologica. Al tempo stesso avevano rilevato l’i- nadeguatezza delle strutture di formazione tecnica, come gli istituti agrari ai quali si riferiva anche il nostro assessore, che attualmente non mirano a trasmettere conoscenze locali, ma soltanto nozioni provenienti dal- l’esterno.

Tutto questo contribuisce a riportare i mezzi di produzione sotto il controllo dell’agricoltore, assicurando quel- la che è la caratteristica principale del modello contadino: l’autonomia del produttore. Questa autonomia non significa tuttavia operare in isolamento dal contesto sociale, dato che per il contadino la collaborazione tra produttori è una regola fondamentale, a differenza di quanto stabilito per l’imprenditore moderno, orien- tato principalmente a valorizzare le proprie capacità individuali. La cooperazione sociale implica la capacità di stabilire relazioni con diversi soggetti, sia a livello locale che esterno, costruendo reti di scambio e colla- borazione. Arriviamo così al secondo tema che intendo presentare in questa relazione, le cosiddette “reti al- ternative”, che da diversi anni hanno richiamato l’attenzione dei ricercatori a livello internazionale e più re- centemente anche nel nostro paese.

Reti alternative

La definizione di reti alternative è utilizzata per rappresentare le diverse forme di organizzazione che si ba- sano su principi contrapposti a quelli indotti dal mercato e che promuovono pratiche fondate sull’interrela- zione e lo scambio tra i soggetti aderenti (Mance 2003). Queste reti si sono in particolare sviluppate in re- lazione alle nuove forme di produzione e di consumo alimentare, che si stanno diffondendo sia nei contesti rurali sia in quelli urbani. Di tale questione si sono interessati soprattutto i sociologi rurali (Murdoch 2000, Tovey 2002, Hendrickson M.K. and Heffernan W.D. 2002, Sage 2003, Goodman 2003, Morgan, Marsden and Murdoch 2006), ma anche gli economisti agrari (Altieri 1987, Brunori 2007, Di Iacovo 2008), i geografi so- ciali ed economici (Leyshon, Lee and Williams 2003, Kirwan 2004, Watts, Ilbery and Maye 2005, Holloway et al. 2007), alimentando un ricco dibattito sulle reti alimentari alternative (Alternative Food Networks - AFN). La ricerca europea ha analizzato le AFN sia in relazione ai comportamenti individuali e sociali, come nel caso della ricerca nord-americana, sia alle nuove forme di agricoltura sostenibile ed alle politiche di svi- luppo rurale. Viene in particolare sottolineata l’integrazione delle reti alternative nel nuovo paradigma di sviluppo rurale territorialmente fondato, la loro utilità ai fini della valorizzazione delle aree rurali ed il ruo- lo di sostegno alle strategie di resistenza dei produttori agricoli.

che, grazie anche ai contributi ricevuti dal MIUR e dalla Regione Calabria1, ha preso in esame diversi tipi di reti promosse per sostenere le attività di produzione agricola, assicurare il consumo di beni alimentari di qualità, praticare forme di scambio e cooperazione sociale, valorizzare i territori locali.

Figura 3

Tra le reti che riguardano specificamente il settore agricolo sono comprese diverse cooperative di produttori biologici2, operanti a livello locale, ed associazioni che rappresentano gli interessi del settore biologico e dei piccoli produttori, come AIAB, Foro Contadino, Semi Rurali.

Per le reti che operano a livello del consumo di beni alimentari, sono stati analizzati i casi esemplari del mo- vimento “Slow Food” e “Terra e Libertà/Critical Wine”, promossi da due persone lungimiranti come Carlo Petrini e Luigi Veronelli. Inoltre è stata svolta un’indagine nazionale sui “Gruppi di acquisto solidali” (GAS), che dalle regioni del centro-nord si stanno diffondendo anche nelle altre regioni (Sivini S. 2008).

Tra le reti che compongono la vasta area della cooperazione sociale e dell’economia solidale, mi riferisco da un lato ai casi delle Reti di Economia Solidale, di cui ci parlerà fra poco Davide Biolghini. Inoltre, prendo in considerazione la Rete dei Comuni Solidali (ReCoSol), che sta attuando una serie di progetti di cooperazione allo sviluppo fondati sul diretto coinvolgimento delle comunità locali (Librizzi 2006) e che ha tenuto qui in

1 Tali contributi hanno riguardato il progetto di ricerca su “Reti sociali innovative per lo sviluppo rurale sostenibile” (PRIN 2004141424_001) ed il pro- getto su “Innovazione sociale ed istituzionale per lo sviluppo rurale sostenibile” (L.R. 10/98 art. 37 quater). I ricercatori coinvolti in queste ricerche sono Alessandra Corrado, Anna Elia, Pino Gaudio, Giordano Sivini, Silvia Sivini, Annamaria Vitale, che presenteranno altri risultati dei lavori nel corso di questo Seminario.

2 Cooperativa Officinae Bio e Cooperativa sociale Nuova Agricoltura in Lazio, Cooperativa Agricola Cornale in Piemonte, Cooperativa Bio Kistl in Alto Adige, Associazione Fratello Sole in Calabria.

Calabria, a Riace, l’ultima Assemblea nazionale. Infine richiamo il ruolo innovativo della Rete del Nuovo Mu- nicipio, che ha avviato un processo originale di partecipazione a livello delle amministrazioni locali, attraverso la sperimentazione di forme di democrazia diretta ed autogoverno per la valorizzazione durevole delle risorse sociali, ambientali e territoriali (Magnaghi 2000 e AA.VV. 2002).

Un primo elemento che conviene sottolineare, in relazione a questo insieme di reti, riguarda la loro diversità, specificamente connessa con i relativi contesti di riferimento, che si contrappone alla sostanziale omologazione dei modelli dominanti di organizzazione delle attività produttive, distributive ed amministrative. D’altra par- te, come vedremo più avanti, questa diversità si combina con il reciproco riconoscimento di una serie di prin- cipi comuni, che si configura anche in una tendenziale interconnessione tra le diverse reti.

La diversità può essere analizzata attraverso diversi elementi, che riguardano: • origine

• basi sociali • riferimenti culturali • obiettivi

• rapporto con il mercato e lo stato.

Per quanto riguarda l’origine, possiamo distinguere le reti promosse socialmente, costituite cioè dall’inizia- tiva di soggetti che condividono principi ed esperienze comuni, da quelle promosse istituzionalmente, come i partenariati che stanno alla base della gran parte dei progetti che vengono finanziati dagli enti pubblici e che sono ben esemplificati dai Gruppi di Azione Locale (GAL) costituiti nell’ambito dell’Iniziativa Comunita- ria LEADER3. Il partenariato, infatti, viene costruito sulla base del principio di intermediazione tra i diversi in- teressi e di collaborazione per obiettivi condivisi, non necessariamente comuni.

Particolarmente significativa è la combinazione delle diverse basi sociali, che alimentano le reti. Per quanto riguarda le reti agricole, si ritrovano almeno tre tipi di produttori. (figura 4)

In primo luogo gli agricoltori convenzionali in crisi, sia per effetto dello squilibrio tra aumento continuo dei costi e riduzione dei ricavi (lo squeeze di cui ha parlato Van der Ploeg), sia per la difficoltà ad adeguarsi ai modelli di competitività imposti dal complesso agro-industriale ed alle regole stabilite dallo stato. Alcuni di questi agricoltori manifestano inoltre una crescente attenzione per gli effetti devastanti dell’impiego di agen- ti chimici (fertilizzanti, diserbanti) per la salute dei consumatori e per l’ambiente.

Inoltre ci sono i piccoli agricoltori che, nonostante la continua diminuzione delle aziende, dimostrano che i con- tadini non sono scomparsi. L’ultima indagine dell’Istat sulle strutture e le produzioni agricole, svolta nel 2006, segnala che le aziende sotto i due ettari costituiscono la metà delle aziende in Italia (su 1.700.000 aziende, più di 800.000).

Infine, troviamo i nuovi agricoltori, un fenomeno in aumento, che riguarda persone provenienti da altri set- tori, come insegnanti, impiegati, operai, che considerano l’attività in agricoltura più interessante e gratifi- cante di quella precedente, anche per lo specifico rapporto con la natura.

Una categoria particolare comprende i pensionati che, grazie all’aumento dell’età media, riescono a trasfe- rire in agricoltura le loro competenze ed energie, promuovendo anche forme innovative di valorizzazione delle risorse locali4. Infine ci sono i giovani che, anche per la difficoltà di trovare occupazione in altri setto- ri, guardano con crescente interesse alle prospettive offerte dall’agricoltura. Proprio di questo ha parlato anche l’assessore regionale dell’agricoltura, ricordando che in Calabria non hanno potuto accogliere tutti i giovani che hanno chiesto di entrare in agricoltura.

Per quanto riguarda le reti dei consumatori e le altre reti, le basi sociali comprendono diverse categorie del ceto medio (impiegati, insegnanti, liberi professionisti), ma anche operai e gruppi sociali eccedenti (precari, disoccupati), accomunati dalla ricerca di pratiche di consumo consapevole e di cooperazione solidale. Questi diversi soggetti assumono per le loro pratiche una serie di riferimenti culturali che si differenziano sostanzialmente da quelli diffusi nella fase di industrializzazione post-bellica e che continuano ad orientare le società guidate dai valori del mercato. (figura 5)

Da un lato si osserva la crescente consapevolezza per l’insostenibilità della modernizzazione, riferita tanto alla produzione ed al consumo dei beni alimentari, quanto agli effetti devastanti per l’ambiente. In con- trapposizione ai modelli dominanti, sono adottati nuovi riferimenti, che si esprimono in termini di economia solidale (Laville 1998) o altra economia (Latouche 2004) e che promuovono l’adozione di pratiche sosteni- bili, finalizzate non solo alla produzione ma anche alla riproduzione delle risorse produttive, che nel caso del- l’agricoltura riguardano i fattori naturali, come la terra, l’acqua e l’aria.

4 Vedi il ruolo di una pensionata per la valorizzazione della tradizionale coltura dello zafferano in Toscana (Sonnino 2007).

La sostenibilità è altresì intesa nel senso di ridurre il grado di mercificazione e di incorporamento nel siste- ma tecnologico, attraverso il rafforzamento dei circuiti non commerciali per la ri-generazione delle risorse produttive. Nella stessa direzione vanno le forme di consumo responsabile, assunte come riferimento dalle diverse reti, in alternativa ai modelli proposti dai principi di regolazione del mercato. Tale cambiamento, ori- ginato dal riconoscimento che le pratiche di consumo convenzionali contribuiscono a sostenere modelli di produzione insostenibili ed iniqui, è finalizzato alla ricerca di beni prodotti in condizioni sociali ed ambientali sostenibili. Complessivamente, le pratiche delle reti agro-alimentari alternative sono sostenute da valori qua- li il rispetto della natura, la solidarietà e l’equità, che contribuiscono a diffondere un discorso innovativo ba- sato su principi scomparsi nelle società costruite in funzione della crescita economica, della competitività e del profitto.

Se da un lato esiste questa differenziazione, d’altra parte ci sembra di rilevare alcuni elementi comuni che caratterizzano questa galassia di reti che si muovono intorno alle questioni della produzione e del consumo del cibo. (figura 6)

Un principio comune sia alle reti di produttori che a quelle di consumatori riguarda il concetto di autonomia. Per i produttori agricoli questo significa ristabilire le condizioni di controllo sulla gestione della propria atti- vità, sostanzialmente espropriate dal sistema regolato dalle forze del mercato. L’autonomia decisionale con- sente di valorizzare nuove capacità tecniche ed economiche. Le pratiche agricole fondate sul principio del- l’autonomia si configurano come riscoperta del modello di produzione contadino, che si caratterizza per il bas- so grado di mercificazione, oltre che per l’utilizzazione di circuiti non mercantili per la mobilitazione e ri- produzione delle risorse, attraverso forme di scambio socialmente controllate a livello locale.

Tale autonomia non implica isolamento, in quanto si basa sulla collaborazione del produttore agricolo con di- verse figure sociali a livello locale (Bovè, Dufour 2000).

Per i consumatori consapevoli il principio di autonomia riguarda la ricerca di soluzioni alternative all’acqui- sto di prodotti alimentari offerti del mercato convenzionale. Le diverse forme che si stanno diffondendo, dai farmers markets, agli acquisti diretti presso i produttori, ai gruppi di acquisto solidali (GAS), stanno ad indi- care la necessità di assicurare un controllo sui prodotti acquistati, attraverso la conoscenza diretta dei pro- duttori. Presuppongono altresì lo sviluppo di capacità organizzative, fondate sulle relazioni sociali, che con- trappongono alla nozione del consumatore come cliente individuale quella del gruppo collettivo. Rappre- sentano una risposta alle logiche del sistema agro-industriale dominante ed ai problemi che ne derivano per la sicurezza alimentare. Le preoccupazioni derivanti dalla contaminazione dei prodotti alimentari, conse- guente all’ampio uso di sostanze chimiche e di tecniche produttive inquinanti, che caratterizza il modello di produzione agricola industriale, non sono evidentemente fugate dai sistemi di controllo messi in atto dalle im- prese agro-alimentari e dai poteri pubblici. Ben diverse sono le soluzioni indicate dalle esperienze dei con- sumatori organizzati nei gruppi di acquisto, che ricercano un diretto rapporto con i produttori.

Altrettanto condiviso appare il principio di co-produzione, che viene utilizzato per definire sia il rapporto de- gli agricoltori con le risorse naturali, sia quello dei consumatori con i produttori.

Per gli agricoltori, tale principio si riferisce alla specifica interazione tra produzione e natura, tra uomo e materia, ed implica la mutua trasformazione di entrambi gli elementi nell’attività produttiva. La combinazione dei due elementi è determinata dalla capacità sociale di usare e modificare la natura, attraverso un proces- so lavorativo che utilizza tecniche appropriate e particolari strumenti. Il concetto di co-produzione, integra-

to con quello di co-evoluzione, costituisce uno degli elementi centrali per l’interpretazione della specificità del modo di produrre contadino, elaborata da Van der Ploeg attraverso una ricostruzione analitica del processo di conversione delle risorse (Ploeg 2006).

Per i consumatori, il principio di co-produzione si traduce nella consapevolezza del rapporto che lega le pra- tiche di consumo con le condizioni dei produttori. Sostenuto con particolare chiarezza dai movimenti anima- ti da Luigi Veronelli e da Carlo Petrini, si è progressivamente diffuso all’interno di varie altre associazioni ed organizzazioni.

“Ma consumare non è altro dal produrre... Le scelte e le modalità del consumo, in particolare quelle che in- tendiamo concorrere a creare, costituiscono un circuito di coproduzione che le legano indissolubilmente alla produzione” (AA.VV. 2004).

Queste affermazioni, contenute nella presentazione dei principi fondamentali della rete “Terra e Li- bertà/Critical Wine”, sottolineano altresì la necessità di coniugare l’affermazione dei principi con l’attuazio- ne di pratiche di consumo alternative.

In direzioni simili si articola il discorso di Carlo Petrini, fondatore del movimento Slow Food:

“Il consumo è l’atto finale del processo produttivo e di filiera: va visto come tale, non più estraneo al pro- cesso... Il vecchio consumatore, oggi nuovo gastronomo, deve iniziare a sentirsi come un coproduttore” (Pe- trini 2005).

Anche in questo caso l’affermazione del principio viene strettamente collegata con il piano delle azioni. Par- ticolarmente interessante è l’interpretazione del concetto di co-produttore elaborata da una particolare ca- tegoria di consumatori di prodotti alimentari, i cuochi aderenti al movimento di Slow-food. Nel corso degli in- contri organizzati nell’ambito di Terra Madre, dallo scambio di esperienze tra cuochi provenienti dai diversi continenti, è emersa una comune tendenza a stabilire rapporti diretti di acquisto presso i produttori locali, co- me condizione per assicurare la qualità della ristorazione e come strumento di sostegno all’agricoltura con- tadina.

Tra i principi comuni troviamo inoltre la condivisione delle esperienze e lo scambio di saperi che contribuiscono a sostenere i percorsi innovativi degli aderenti alle reti. Un ruolo importante in questo campo è svolto dai con- tadini anziani, depositari delle conoscenze tradizionali che vengono riscoperte dai nuovi produttori. Il riferi- mento al patrimonio di conoscenze conservato a livello locale costituisce uno degli elementi essenziali per quelle attività che, come nel caso dell’agricoltura biologica, implicano una sostanziale modifica delle tecniche produttive convenzionali. Alla modernizzazione standardizzata dell’agricoltura industriale, che assume come arretrati i metodi di gestione tradizionali, si contrappongono diverse forme di organizzazione produttiva so- stenibile, direttamente ancorate ai sistemi locali.

Infine, all’iniziativa del singolo imprenditore, chiamato ad adeguarsi ai principi della modernizzazione, si sostituisce l’attitudine ad operare secondo le regole della cooperazione sociale, che costituisce il principio fon- damentale della razionalità contadina. In questa direzione si articola l’elaborazione teorica dei sociologi ru- rali, che interpretano le pratiche sociali non come sommatoria di progetti individuali, autonomamente ela- borati e riprodotti, ma come risultato di una stretta integrazione con i progetti di altri soggetti sociali.

Un primo ambito di riferimento è dato dal contesto locale e si manifesta attraverso diverse forme di coope- razione economica tra i produttori. Altri ambiti riguardano i rapporti con i settori esterni, per l’acquisizione dei fattori produttivi e per la collocazione dei prodotti. Attraverso la connessione con diversi progetti, si ela-