• Non ci sono risultati.

IL RUOLO E LE PROSPETTIVE FUTURE DELL’AGRICOLTURA SOCIALE IN ITALIA E IN EUROPA

DI F RANCESCO D I I ACOVO

Grazie, soprattutto per questo invito che mi consente di confrontarmi con una platea tanto interessante e ric- ca per presenza e livello di attenzione.

Vorrei subito collegarmi a quanto detto prima di me dal Prof. Van der Ploeg, in particolare al ragionamento svolto sugli imprenditori agricoli. Un tema che occorre affrontare e precisare, forse, con meno ideologia e più attenzione alle implicazioni della differenza tra idea di imprenditore e la definizione di contadino. Troppo spesso il termine contadino è usato per indicare una condizione superata dell’operare in agricoltura rispetto a quella di imprenditore.

La differenza, come veniva fatto rilevare, sta nel fatto che l’imprenditore si è andato focalizzando su un nu- mero più limitato di aspetti nella gestione dei processi produttivi, e segnatamente quelli della gestione tec- nica ed economica dei processi di produzione, mentre, il contadino, (termine che individua, allo stesso tem- po, una professione e l’abitare un luogo, la campagna), ha una visione più ampia e multidimensionale del- la propria azione, riguardo ai processi produttivi, alla vita di comunità, alla gestione delle risorse naturali. For- se, in una crisi dell’economia di mercato, in una fase nella quale i meccanismi di produzione e distribuzione si rilegano alla località per confrontarsi su scenari più aperti, vale la pena riflettere sul valore contempora- neo del significato del termine contadino, di ripensare ad una modalità di gestione dei processi produttivi e del vivere di comunità che sappia pensare e guardare in un’accezione meno individualistica e più aperta al confronto trasversale sui temi del vivere economico e sociale insieme.

Di fatto, l’impresa agricola, pur facendo uso di beni pubblici propri d’ogni località – ambiente, capitale uma- no e sociale – non sempre contribuisce a reintegrarne la loro disponibilità al termine dell’uso, specie nelle aree e nelle località dove i rapporti di forza tra queste e le collettività risultano essere squilibrati. Quello della pre- dazione delle risorse collettive è una circostanza tanto più facile da registrare, quanto meno forte è il legame sociale nelle comunità rurali, tanto più forte l’individualismo produttivo e la separatezza tra gestore delle risorse private e comunità locale, quanto meno un imprenditore risulta essere anche abitante della località. Dove l’impresa si rapporta al solo mercato, sono altri soggetti chiamati a ricostruire i beni pubblici utilizza- ti, quando questo non avviene si registra un’erosione dei beni pubblici utilizzati (ambiente, cultura locale, etc.). Per questo motivo è utile pensare a trovare modalità nuove per ricucire la distanza che c’è tra l’esse- re impresa agricola e partecipare in modo più esteso alla quotidianità locale, ricomporre il quadro tra stili d’impresa e stili di vita locale. Ci sono bisogni che, specie oggi, nessuno riesce a soddisfare se non pensando ad altri modi di organizzare i processi produttivi, di stare all’interno delle comunità, all’interno delle società. Forse i contadini, vecchi e nuovi, operanti in diversi contesti geografici, l’hanno capito e semplicemente stan- no cercando di trovare delle strategie coerenti in questa direzione.

dei servizi alla popolazione e, quindi, in qualche modo rompe gli steccati e si svincola da quella che è la lo- gica di un’impresa che opera puramente per un mercato di prodotti spesso definito altrove, ma, al contrario, s’immerge in un contesto locale, cercando di interpretare in modo contemporaneo e più esteso il proprio ruo- lo all’interno delle comunità.

Se le imprese sono alla ricerca di nuove strategie, anche i sistemi locali lo sono. Nonostante questa eviden- za che lascerebbe pensare a più ampie possibilità di intese, si registrano difficoltà nella capacità di favorire una nuova interazione tra imprese e sistema locale, un legame che non sia riconducibile a soli meccanismi economici ma che, al contrario, sia in grado di avere effetti anche sul legame sociale e sulla gestione delle risorse naturali. In questa prospettiva è utile fare riferimento ad un processo d’innovazione creativa, un per- corso d’innovazione sociale, capace di definire e concordare nuovi metodi, pratiche, comportamenti più at- tenti alla complessità delle esigenze delle persone e stimolare politiche coerenti.

Nel dibattito sullo sviluppo rurale, almeno in Italia, ciò che è finito per prevalere è stata una ostentazione spesso snobistica ed un poco elitaria di alcune risorse rurali che si sono andate collegando con una doman- da basata sull’idea di idillio rurale e sulla disponibilità a pagare di potenziali consumatori esterni al territo- rio di riferimento. In questa prospettiva, attenzione centrale è stata posta sullo sviluppo di capacità impren- ditoriali capaci di leggere le risorse locali e trasformarle in un’offerta capace di intercettare interesse e ric- chezza dall’esterno. Questi percorsi, peraltro, hanno avuto la capacità di trasformarsi in modelli (l’agrituri- smo, i prodotti tipici, il turismo) proposti in modo indistinto ed acritico sull’intero territorio nazionale nella spe- ranza di favorire la creazione di valore rurale, ma in modo poco attento alle specificità locali come alle ca- ratteristiche di un’offerta basata su valori collettivi ed immateriali (paesaggi, cultura locale, risorse e cono- scenze non codificate).

Seguendo quest’idea di sviluppo rurale le imprese si sono trasformate in scout o minatori delle risorse della ruralità, cercando di estrarle dal sistema locale per confezionare un’offerta capace di legarsi alla, vera o pre- sunta, domanda di ruralità, senza curarsi dei vuoti che questo processo di estrazione finiva per determinare nelle comunità locali. Il presupposto economico di questo processo si basava sul fatto che la creazione di ric- chezza economica, da sola, avrebbe colmato i divari ed attivato fenomeni di rinascita delle comunità rurali. Ciò non è stato per più motivi: per l’individualismo delle imprese, poco inclini a riconoscere e rigenerare i va- lori della località messi a valore; per la difficoltà di molti detentori dei capitali immateriali utilizzati di par- tecipare attivamente al processo di produzione della ricchezza (ad esempio gli anziani e gli abitanti locali de- tentori delle conoscenze culturali tacite della località) e, spesso, chiamati a pagarne piuttosto gli svantaggi, legati all’organizzazione di servizi per l’accoglienza di turisti piuttosto che per gli abitanti locali, all’aumen- to dei prezzi per alcuni fattori vitali (la casa in primo luogo).

Gran parte dei percorsi di sviluppo rurale fanno leva su risorse immateriali, sulle conoscenze della località. Si tratta di risorse delicate che si erodono facilmente sotto la pressione del cambiamento culturale e della rottura dei patti di comunità e del legame sociale. Queste conoscenze hanno a che fare con le persone, con la loro capacità di stare su un territorio, di mettersi in relazione tra di loro e di continuare a pensare al pro- prio futuro. Forse, è per questo che l’imprenditore da solo non ce la può fare, perché un imprenditore è im-

merso nella relazione col mercato piuttosto che con la comunità in cui opera. Al contrario il contadino, l’a- gricoltore abitante della località, ha una capacità più estesa di ricomporre tutti gli elementi centrali nei per- corsi di sviluppo rurale e definire traiettorie appropriate di adeguamento di questi territori alle sollecitazio- ni poste dal confronto con l’esterno.

Se il legame sociale è importante, è utile sottolineare, allora, che i sistemi sociali dei territori rurali hanno pro- seguito in un processo di lento declino ed erosione (invecchiamento, spopolamento), favorito dal ridursi del- le risorse dello stato sociale, e a volte dall’innestarsi di tendenze di frammentazione sociale (con la diversi- ficazione delle condizioni sociali dei residenti e con l’ingresso di nuovi residenti, spesso di altra nazionalità). Così, dopo la risposta individuale delle imprese alle possibilità offerte dai mercati, si sono succedute le ri- sposte individuali delle famiglie per quanto riguarda l’organizzazione delle strutture sociali, mediante il ri- corso alle collaboratrici domestiche (le cosiddette badanti), un nuovo ammortizzatore sociale dal futuro as- sai incerto.

Di fatto, i percorsi di sviluppo rurale messi in atto e supportati fino ad oggi appaiono parziali e di corto re- spiro perché fanno leva solo sul ruolo delle imprese nel cercare nuove opportunità di mercato e, al più, sul ruolo dei soggetti pubblici di collaborare con le imprese in questo compito. Anche per questo motivo diviene necessario pensare ad altri modelli di economia, più capaci, specie nelle aree rurali, a coniugare in qualche modo economia e società, di porre alla base del loro obiettivo di cambiamento la costituzione di comunità at- tive ed interpretative, capaci di sviluppare in modo pro-attivo e coeso azioni di lettura delle tensioni interne ed esterne ai territori e di proporre soluzioni durevoli e coerenti con le risorse e la storia locale.

In accordo con la letteratura dello sviluppo, è utile riconoscere, allo stesso tempo, l’importanza di attrarre nuo- ve risorse dall’esterno, ma, allo stesso tempo, avere la capacità di mobilizzare e riorientare l’uso delle risorse locali verso la capacità di soddisfare alcuni bisogni essenziali delle popolazioni locali e delle comunità, ren- derle vitali e, anche per questo attraenti all’esterno. Buona parte delle storie di successo dello sviluppo rurale sono quelle dove le comunità si ricompattano, sono in grado di generare nuovi valori, economici e di solida- rietà, insistere e fare leva su nuovi patti di civiltà capaci di collocare la vita locale in un orizzonte di maggiore indipendenza e di responsabile autonomia rispetto a forme paternalistiche di intervento pubblico, ma, in una piena ottica di consapevolezza dei legami di interdipendenza collaborativi che devono innestarsi tra territo- ri e comunità. Valori ed articolazioni, quelle richiamate, evidentemente diverse rispetto a meccanismi oramai in crisi, di produzione e distribuzione di valore propri dei sistemi fordisti.

Partendo da questi concetti è utile introdurre il concetto di tradizione innovativa, quasi una provocazione, con riferimento agli elementi alla base dell’essere contadino, un concetto che guarda alla capacità di rileggere vec- chi modi di fare in chiave attuale. La tradizione innovativa serve per ricomporre meccanismi di vita sociale capaci di offrire risposte attuali ad alcuni gravi dilemmi della vita contemporanea che si legano a: • la creazione di ricchezza, avendo attenzione ad individuare e rigenerare/riconoscere le risorse materia-

li ed immateriali messe a valore, anche quando legate a valori collettivi e pubblici;

• la distribuzione della ricchezza, in forma nuova e, per certi versi complementare, rispetto alla logica dei sistemi redistributivi pubblici e allo stato sociale propria del patto nazionale;

• l’attenzione nei confronti dell’uso delle risorse naturali, ai valori identitari che sono connessi ad esse, una considerazione del contributo che le aree rurali, in questa ottica, possono fornire alla gestione energeti- ca ed ambientale dei sistemi locali.

In questa presentazione ci soffermeremo, seppure in modo necessariamente sintetico, soprattutto sui primi due punti, mettendo a fuoco il tema dei servizi alla persona e la diffusione di principi di responsabilità da par- te delle attività agricole presenti nelle aree rurali.

I servizi alla persona entrano nel dibattito sullo sviluppo rurale perché, oltre ad assicurare reti di protezione sociale, sono in grado di produrre relazionalità, specie quando, accanto alle reti formali ed istituzionali di protezione sociale, si costruiscono reti informali, basate sul mutuo aiuto e sulla presa in carico da parte del- la comunità di una parte dei bisogni essenziali presenti nei ceti più deboli e a più bassa contrattualità. Tenuto conto che la nostra attenzione riguarda soprattutto le attività agricole focalizzeremo la nostra atten- zione sul tema dell’agricoltura sociale, ovvero della possibilità di valorizzare le risorse agricole a fini di ser- vizio e di inclusione sociale.

Dal punto di vista definitorio, l’agricoltura socialeè quell’attività che impiega le risorse dell’agricoltura e del- la zootecnica, la presenza di piccoli gruppi, famigliari e non, che operano in realtà agricole, per promuove- re azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione, servizi utili per la vi- ta quotidiana e l’educazione.

Le aziende agricole, quindi, dispongono di risorse, oggi poco valorizzate, che possono essere rese disponibi- li per la comunità locale al fine di accrescerne la capacità inclusiva ma, allo stesso tempo, riorganizzare le re- ti di relazioni tra abitanti, indipendentemente dalla loro condizione lavorativa, dell’appartenenza ad un set- tore produttivo, ad una condizione sociale. Le aziende agricole che scelgono di offrire servizi alla persona so- no, già oggi, numerose, in Italia e in Europa. La loro azione è svolta su base volontaria e con il riconoscimento implicito ed informale (reputazione e riconoscimento di stato sociale, apprezzamento etico per l’offerta azien- dale) delle comunità locali ovvero formale ed esplicito (pagamento o compensazione dei servizi) da parte de- gli Enti gestori dei servizi socio-assistenziali.

La scelta verso percorsi di agricoltura sociale pone l’azienda nella necessità di farsi carico dei bisogni che la co- munità ha, di riconnettersi con essa e di porre le basi per un migliore legame tra attività economica e socialità. Allora cosa c’è di nuovo e perché oggi il tema dell’agricoltura sociale? Di nuovo non molto perché tradizio- nalmente i contadini si sono fatti carico dei problemi sociali mediante l’organizzazione di reti di auto-mutuo aiuto, facendosi carico dei problemi sociali delle famiglie, ma, spesso, anche dei vicini. D’innovativo c’è il fatto di organizzare e valorizzare le risorse dell’agricoltura in modo professionale nella rete dei servizi so- ciali, creando nuove collaborazioni e rapporti con gli Enti gestori dei servizi sul territorio e potenziare l’offerta di servizi nelle aree rurali.

Come per altri temi dell’agricoltura multifunzionale, anche per l’agricoltura sociale l’innovazione sta nella ca- pacità di riorganizzare e rendere esplicite funzioni che l’agricoltura e i contadini hanno sempre avuto la ca- pacità di gestire. Oggi, parlare di agricoltura sociale è più semplice perché si lega al dibattito sulla multifun- zionalità e sulla necessità che le aziende hanno di diversificare la loro offerta, ma anche perché i temi della

responsabilità e della reputazione aziendale acquisiscono una nuova luce nel dibattito sullo sviluppo locale, anche per gli agricoltori. Ma si discute d’agricoltura sociale anche per altri motivi perché:

• i servizi socio-assistenziali vivono una crisi che è di risorse ma anche di efficacia dei sistemi fino ad oggi adottati, una crisi che è tanto maggiore quanto più è difficile raggiungere adeguate economie di scala, co- me nel caso delle aree rurali;

• nelle aree rurali c’è una forte esigenza di innovazione pertinente, che riguarda l’organizzazione sociale come la capacità di definire risposte adeguate ai bisogni specifici presenti;

• l’offerta dei servizi può essere rivolta anche alle aree urbane ed ai suoi abitanti, facilitando un dialogo che nel tempo è diventato logoro o inesistente.

Allora detto questo, entriamo nel tema dell’agricoltura sociale, partendo dal comprendere meglio cos’è. È uti- le precisare subito che non c’è un’unità di visione al riguardo, anche perché, in gran parte si tratta di esperienze che nascono spontaneamente sul territorio e in modo diverso le une dalle altre. In queste esperienze il tratto comune è l’uso di risorse animali e vegetali a fini diversi da quello del consumo di cibo, al fine di costruire be- nessere e nuove relazioni. Un animale o una pianta è in grado di capacitare le persone in difficoltà che sono portate a provare le loro possibilità di fare e di agire nel rispetto degli esseri animali e vegetali di cui si pren- dono cura ma senza essere da questi giudicati nelle loro capacità. Il processo produttivo e l’interazione con i viventi è importante, sebbene non esaurisca le caratteristiche dell’agricoltura sociale. Essa, in moltissime espe- rienze, fa anche leva sulla dimensione relazionale ed informale che l’operare in piccoli gruppi, in contesti non istituzionali, è in grado di trasferire alle persone utenti dell’agricoltura sociale. Piccoli gruppi, famigliari e non, piccole comunità che accolgono altri soggetti nella quotidianità della vita, assicurando delle routine di norma- lità che facilitano la crescita di autostima e di apertura. Non sono un operatore sociale però ho letto che il rap- porto tra reti formali, istituzionali e reti informali, quelle che si vengono a creare proprio attraverso il colle- gamento tra le imprese agricole, le attività agricole e le persone che hanno bisogno di azioni di riabilitazione e cura, ha una potenza inclusiva, che la sola istituzionalizzazione dei servizi non può avere.

Partendo da queste semplici, ma distintive, risorse, le prestazioni dell’agricoltura sociale sono molto estese: si par- la di riabilitazione, di azioni terapeutiche o co-terapeutiche, di inclusione sociale e lavorativa, di educazione, di servizi alla persona tutti rivolti a target molto diversificati di soggetti (persone con disabilità mentali, psichiatri- che, fisiche, minori in difficoltà, persone con dipendenza da droghe, detenuti ed ex detenuti in cerca di nuovo inserimento sociale, ma anche anziani, minori e bambini che necessitano di nuovi servizi, giovani famiglie). Noi stiamo gestendo per conto della Comunità Europea un progetto di ricerca denominato So Far “Social Far- ming”, il cui sito lo vedete rappresentato e dove è possibile analizzare materiali e progetti che riguardano l’a- gricoltura sociale in Europa, quindi chi volesse approfondire può trovare casi di studio ed altro (http://sofar.unipi.it).

Ciò che è nuovo dell’agricoltura sociale ha sicuramente a che fare con molti elementi:

• dal punto di vista tecnico, la possibilità di organizzare interventi e servizi collaborando con la natura. Un fatto che, da solo, porta gli agricoltori di fronte ad uno spettro di portatori di interessi che è anche più am- pio rispetto al solo grossista o al solo acquirente di prodotti;

• dal punto di vista sociale, anche in termini di produzione di innovazione, rompe gli steccati; già solo il no- me “agricoltura sociale” coniuga due settori che tradizionalmente hanno vissuto in modo separato sepa- rate. Il fatto di operare in modo congiunto rimescola completamente le carte in un processo di innovazione che è innovazione sociale, ma anche di innovazione organizzativa;

• dal punto di vista delle attitudini degli agricoltori coinvolti, quando parliamo di agricoltura sociale, ci ri- feriamo alla responsabilità sociale di impresa, ci riferiamo a processi di innovazione proattiva del cam- biamento. La capacità di stare insieme e di dialogare con altri. Quando si discute d’agricoltura sociale i pro- blemi vengono dibattuti ed affrontati da molti soggetti, con punti di vista necessariamente diversi e nuo- vi: dai responsabili locali della programmazione socio sanitaria, agli operatori sociali, i ricercatori che si occupano di welfare, le organizzazioni professionali, le associazioni di produttori biologici, cioè un insie- me di persone che solitamente non erano abituate a parlarsi e che oggi invece si trovano a confrontarsi per discutere soluzioni innovative per rispondere ai bisogni del territorio ai quali l’agricoltura può contri- buire attivamente. (figura 1)

Figura 1

Queste innovazioni generano cambiamenti inaspettati nelle ipotesi di politiche, e sul come riorganizzare gli strumenti.

Volendo offrire un’idea dell’agricoltura sociale nel quadro europeo è necessario riflettere sulle molte diffe- renze e sulle numerose similitudini.

La prima similitudine è che questo fenomeno è nato quasi ovunque negli anni ’70 per motivi diversi. In Ita- lia abbiamo avuto delle punte eccellenti di sperimentazione sull’uso dell’agricoltura a fini inclusivi dopo la chiusura delle strutture manicomiali. Accanto a queste esperienze, ed a volte in loro connesione, a seguito di processi di contro-urbanizzazione degli anni ’70, ancora oggi abbiamo delle comunità di persone attive che stanno interpretando un modo diverso di stare nella società, nelle comunità locali, offrendo servizi. Proget- ti e pratiche non sono sempre codificate e valutate con attenzione, che, nel tempo, si sono andate un poco per- dendo, se non nella pratica, nella consapevolezza dell’organizzazione dei servizi.

Un altro elemento che le caratterizza tutte è l’organizzazione e il forte impegno, il senso etico, che le ha spinte e le ha portate ad entrare in un rapporto diretto altro con le comunità locali.