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NUOVE CONTADINITÀ: PRATICHE INNOVATIVE DI RESISTENZA

DI

A

LESSANDRA

C

ORRADO

Introdurrò il workshop e le tematiche che verranno affrontate analizzando in che modo le nuove strategie emergenti in ambito rurale sono finalizzate a salvaguardare, per certi versi anche a strutturare, dei modi di produrre alternativi a quello agroindustriale. Illustrerò in che modo questi modelli affermano o cercano di in- novare alcuni elementi che sono propri di un’agricoltura contadina: durabilità, autonomia, sostenibilità, qua- lità e dignità del modo di fare agricoltura contadino. E tutto ciò attraverso: il controllo delle risorse, la sal- vaguardia del territorio, il recupero di saperi e tecniche, la costruzione di nuovi saperi e conoscenze, la strut- turazione di reti di relazioni, lo sviluppo di mercati locali, una nuova definizione del reddito e del compenso del lavoro, il recupero delle responsabilità espropriate, nei confronti dei consumatori e dell’ambiente. La biodiversità, l’autonomia e la sovranità alimentare rappresentano i tre assi portanti lungo i quali concet- tualizzare un processo di ricontadinizzazione e i processi di riflessività connessi, che pongono in essere nuo- ve soggettività in ambito rurale. Pertanto, l’analisi delle nuove contadinità obbliga a decifrare una serie di concetti che verranno impiegati nel corso di questa presentazione a sostegno dell’ipotesi di lavoro fin qui enunciata.

Gli studi rurali hanno evidenziato progressive eppure consistenti trasformazioni in agricoltura, che riguardano: da un lato la strutturazione a livello globale di catene agro-alimentari sempre più complesse, che attuano una centralizzazione del controllo ed una de-connessione della produzione; dall’altro la riorganizzazione dei pic- coli produttori, dei consumatori, dei diversi attori locali in rapporto ai cambiamenti in atto, nell’ottica della sostenibilità e attraverso la ricerca di soluzioni innovative a bisogni specifici e a nuove domande emergenti. Il “paradigma della transizione” è formulato – da van der Ploeg e da altri autori – innanzitutto come nuo- vo paradigma emergente in contrasto con quello della modernizzazione. È concepito nei termini di processo di sviluppo rurale endogeno, ovvero plasmato dagli attori locali; multidimensionale, riguardando le dimen- sioni tecnologica, economica, sociale, culturale, politica; multi-attore, vedendo la compartecipazione di una pluralità di attori; multi-livello, micro, meso e macro; ma anche conflittuale. A fondamento di questa anali- si e dell’impianto metodologico applicato a livello empirico vi è un approccio che focalizza sui processi di ri- flessività soggettivi, sulla capacità innovativa o trasformativa degli attori sociali. Accogliere tale prospettiva significa concepire la possibilità di una vasta gamma di pratiche sociali ed economiche eterogenee fra loro. Ciò sottende una critica rivolta al modello univoco di sviluppo nell’ottica della modernizzazione e tecnolo- gizzazione della produzione, orientato al mercato, ed apre a nuove opportunità per lo sviluppo locale e ru- rale. Cruciale è dunque l’idea di differenziazione, che Arce e Long (2005) sviluppano in una riconcettualiz- zazione della modernità, “...intesa come metafora per nuovi o emergenti materialità, significati e stili cultu- rali “qui e ora”, visti in riferimento alla nozione di un passato stato di cose”, in contrapposizione alla mo- dernizzazione, “pensata [invece] come pacchetto di misure tecniche e istituzionali volte a un’ampia trasfor-

mazione della società e sostenuto da narrative teoretiche neoevoluzioniste”. E i due autori aggiungono: “Mentre la modernità implica autorganizzazione e pratiche trasformative in differenti strati e settori della so- cietà, la modernizzazione è un’iniziativa politica intrapresa e implementata da élite amministrative e tecno- logiche cosmopolite (nazionali o internazionali)”. Lo sforzo etnografico deve essere dunque teso all’analisi delle pratiche localizzate e multiple che focalizzano sull’elaborazione del cambiamento. Secondo Arce e Long la differenziazione “...riguarda le allocazioni delle responsabilità, del tempo e delle identità”, volendo così decifrare la riflessività degli attori sociali riguardo al cambiamento, il loro posizionamento rispetto alle con- dizioni materiali di vita, ai fattori che le determinano, alle appartenenze, e al sé. L’eterogeneità delle prati- che agricole, dei modi di produrre (farm styles) e delle forme di organizzazione comunitaria, associativi o af- ferenti a un ambito territoriale locale (folk styles) rappresentano innovazioni concrete per ridurre il grado di mercificazione e incorporazione nel sistema politico-scientifico-tecnologico di governo, e ciò attraverso: l’ap- propriazione ed il riadattamento delle tecnologie alla propria logica produttiva, la ricerca di un nuovo e di- verso rapporto con la natura, la rivitalizzazione del territorio, l’auto-governo delle risorse, la produzione di una pluralità di relazioni.

La varietà delle pratiche agricole si condensa nell’individuazione di una serie di principi, preambolo alla de- finizione di nuove contadinità che, a partire dalla riconversione produttiva, dalla moltiplicazione delle fonti di reddito, dalla innovazione delle tecniche e dei saperi, dalla strutturazione di nuove relazioni sociali, sono innanzitutto alla ricerca di una diversa dimensione sociale. Questi principi possono sintetizzarsi nella durabilità o sostenibilità, nella qualità e nell’autonomia.

L’attuale “questione agraria”, descritta come multidimensionale, deriva da una de-connessione dell’agricol- tura dalla natura (risorse biologiche e ambientali, paesaggio), dagli attori coinvolti (in primo luogo gli agri- coltori) e dalla società (dai consumatori, dal patrimonio di saperi locali, dal contesto delle relazioni territo- riali). L’agricoltura contadina costruisce gli strumenti della sua resistenza al modello dominante attraverso una ricomposizione di queste fratture. Dandosi come obiettivo la riproduzione delle proprie condizioni di esi- stenza, le nuove contadinità si sviluppano dunque attraverso: 1) una nuova definizione della qualità agro- alimentare, nella strutturazione di relazioni sociale, condivisione delle responsabilità e riscoperta della cen- tralità del cibo; 2) la costruzione di una nuova economia, nell’auto-gestione delle risorse, nella pluriattività o multifunzionalità, con l’innovazione di tecniche e saperi; 3) il territorio, con la salvaguardia delle risorse am- bientali e culturali, la costruzione di nuovi legami, alleanze e forme di cooperazione extra-territoriali e inter- territoriali. (figura 1)

La qualità è costruita a partire dalle relazioni sociali e quindi anche attraverso forme di cooperazione che le- gano il cibo e il territorio, territorio concepito a sua volta attraverso una rispazializzazione delle relazioni, che coinvolge contesti e attori diversi. La svolta qualitativa in agricoltura ha visto il diffondersi di innovazioni nei saperi e nelle tecniche di produzione (come per l’agricoltura agro-ecologica o i metodi dell’agricoltura bio- dinamica, sincretica, della permacultura), ma soprattutto lo sviluppo di circuiti di commercializzazione so- cialmente controllati e di filiere corte, di “pratiche di controllo” informali diverse legate alla costruzione di re- lazioni di fiducia e di reciprocità.

La vendita diretta in azienda, i mercati contadini locali, la costituzione di gruppi di offerta e di acquisto rap- presentano degli esempi. Il successo di questo tipo di iniziative, insieme con l’analisi dei vincoli e delle am- biguità presentate dai sistemi di certificazione ufficiali, ha determinato la messa in discussione di questi ulti- mi. Non solo da parte dei produttori, obbligati ad attenersi a rigidi disciplinari, spesso sprovvisti delle tecni- che o dei requisiti prescritti (eppure in possesso di saperi e risorse non riconosciute o accreditate dagli orga- nismi di controllo), e obbligati a sostenere costi accessori per vedersi riconoscere una certificazione di qualità “artificiosa”, ossia burocratica e legata al mercato e alle logiche di profitto. Nondimeno, in molti casi, anche i consumatori, hanno riconosciuto la qualità intrinseca all’agricoltura contadina, a prescindere da certificazioni ufficiali, ed hanno promosso, insieme agli stessi produttori agricoli, metodi di certificazione partecipativi di diverso tipo. Di esempio sono quelli sostenuti in Francia dall’associazione Minga, da ASPAARI (Association de Soutien aux Projets et Activité Agricole set Ruraux Innovants) o dagli AMAP (Association pour le Mintein de l’Agriculture Paysanne). E ancora quello “informale” promosso dal Connettivo terra/Terra, basato sul siste- ma delle autocertificazioni; o quello di tipo “olistico” sviluppato dall’organizzazione dei piccoli produttori ba- schi EHNE in accordo con altri gruppi della società civile, nel rispetto dei principi cardine dell’agro-ecologia e della sovranità alimentare: oltre al non utilizzo di fattori chimici, la considerazione delle condizioni socio- economiche, come il reddito minimo per i produttori, e la prossimità con il consumatore.

La ricerca di un’autonomia è perseguita attraverso l’autogestione delle risorse, e questo è un elemento che può sostenere anche lo sviluppo locale e può essere funzionale a trattenere ricchezza sul territorio e a di- stribuire benefici tra i diversi attori sociali che possono concorrere a questo processo di condivisione.

Presidi, progetti di sviluppo e ricerca che coinvolgono una pluralità di attori localizzati sul territorio (Enti Lo- cali, Università e Centri di Ricerca, produttori agricoli e soggetti economici diversi), distretti di economia so- lidale sono alcuni esempi di iniziative promosse a livello territoriale per la tutela, la promozione e valoriz- zazione economica dell’agro-biodiversità e della relativa tradizione di saperi; per preservare il passaggio o contrastare il degrado delle aree rurali più remote (esempi sono l’esperienza della Patata Quarantina nelle aree marginali dell’Appennino ligure - piemontese e quella della Patata Rossa di Cetica), per promuovere una cultura locale (es.: Fiera di S. Giovanni in provincia di Lecce); per un’appropriazione ed un nuovo utilizzo di risorse e saperi (es.: progetto sul grano duro promosso dall’Università di Firenze, che vede il coinvolgimen- to degli agricoltori locali, per la selezione e produzioni di varietà antiche di grano duro e tenero, di panifici e pastifici per la fabbricazione di pasta e pane secondo metodi tradizionali, e di alimentaristi e studiosi del- la salute per monitorarne le proprietà e l’impatto sui consumatori, anche affetti da patologie alimentari); per lo scambio di esperienze, competenze, saperi fra produttori agricoli e territori, come nel caso dei parte- nariati territoriali promossi da programmi Interreg o da altri progetti europei transnazionali (ad esempio EuropAfrica, Semences de Connaissances, Farm seed opportunities).

Prendendo a modello l’analisi di Ray (2004) – ispirata dallo schema concettuale delle “Economie dei simboli e degli spazi” elaborato da Lash e Urry (1994) – si può pensare di riadattarla al fine di decifrare la capa- cità innovativa di attori singoli e collettivi (in questo caso le reti di diverso tipo) nell’implementazione di per- corsi di sviluppo a vari livelli: quello intra-territoriale o anche locale, quello extra-locale, e infine quello in- ter-locale transnazionale. Le dinamiche interattive di una iniziativa territoriale, limitata allo specifico conte- sto politico-amministrativo locale, possono allargarsi ad un secondo livello extra-locale, includono le istituzioni coinvolte nel processo politico ad esempio (da quelle locali a quelle europee), oltre alle ONG impegnate in am- bito rurale, o ancora ad un terzo livello inter-locale transnazionale, attraverso forme di cooperazione tra co- munità, regioni, gruppi e organizzazioni.

Questo approccio territoriale vede non solo una progressiva crescita organizzativa e strutturale delle unità o delle reti, ma anche un arricchimento dei contenuti riflessivi. Alla circoscrizione spaziale può essere associa- ta anche una specifica definizione degli obiettivi o delle priorità per ciascuna entità: dal controllo delle risor- se (biodiversità), alla qualità alimentare, per arrivare poi alle istanze di sviluppo locale e di autonomia. I di- versi obiettivi o contenuti sono incrociati con diversi tipi di azioni intrapresi ai diversi livelli di strutturazione e spazializzazione delle reti, a cui si pongono anche diverse condizioni di negoziazione e conflittualità. Questa ri-spazializzazione del territorio evidenzia dunque l’emergere di nuove soggettività interessate sem- pre di più a “interferire” nei processi di governance. Lungo quella che può essere definita la frontiera della governante, la complessità delle istanze aumenta al maturare di nuove consapevolezze e forme di mobili- tazione e cooperazione sociale, nell’individuazione di comuni interessi e nella condivisione delle lotte politi- che. Così, dalle pratiche anche condivise di controllo delle risorse (biodiversità), attraverso un’apertura ver- so l’esterno, è implementata un’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di riflessione collettiva sul- le opportunità e i benefici comuni derivanti da questo processo di auto-controllo (recupero di saperi, valo- rizzazione delle culture e tradizioni, salvaguardia dell’ambiente, qualità alimentare e salute pubblica, sviluppo

Figura 2

locale), per poi attivare relazioni transazionali di cooperazione, per lo scambio di esperienze e di conoscen- ze, o ancora per una mobilitazione ed un’attività di pressione politica esercitata sugli organismi di potere, na- zionali e internazionali (singoli Stati, Unione Europea, WTO, FAO, ecc.). (figura 2)

TESTIMONIANZE