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Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi

7. Alcune precisazioni sull’IRC

Dopo aver motivato il reinserimento della religione cattolica nella Scuola primaria, caldeggiato e poi attuato da Gentile, apriamo una breve parentesi sui modi in cui il Ministro si augurava che questo insegnamento fosse svolto.

Nelle scuole elementari, l’IRC doveva essere «poesia, e quasi canto della fede», evitando di scivolare in un indottrinamento noioso e troppo complesso per allievi così giovani. Non significava rinunciare a insegnare loro i dogmi essenziali e le principali fasi storiche del cattolicesimo, ma era necessario adeguare all’età degli studenti le modalità espositive. Allo stesso modo erano da evitare i toni polemici e la discussione critica sulle altre concezioni religiose: la Scuola elementare è, difatti, «il mondo della fede ingenua; mondo di valori affermati positivamente, non per negazioni»429. Il fanciullo avrà bisogno di consolidare la propria fede, di scoprire le origini del proprio credo e di formarsi una personale idea sulla vita e sull’uomo, prima di poter affrontare il dialogo con chi la pensa diversamente da lui. Inoltre, si raccomandava che lo spirito cristiano non fosse confinato nelle sole ore di religione, ma si respirasse in ogni aula di scuola, realizzando il principio dell’insegnamento cattolico diffuso: giornalmente tutti gli scolari recitavano una breve preghiera, durante le lezioni di storia istituivano collegamenti con le vicende della civiltà cristiana e, durante quelle di italiano, leggevano le storie di alcuni campioni della Fede. I riferimenti alla tradizione cattolica, pur dovuti e legittimi, dovevano esser fatti con accortezza: in modo da non offendere il sentimento religioso di nessuno degli allievi presenti. Era perciò necessario richiamare solo straordinarie dimostrazioni di virtù

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Giovanni Gentile, Educazione e scuola laica, p. 79 e p. 86.

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cristiana, che avrebbero potuto essere ammirate da tutti, grazie al loro indiscutibile valore educativo.

È interessante anche sapere a chi spettasse, secondo Gentile, il compito di trasmettere il messaggio cattolico nelle scuole. Il Ministro si rifiuta di individuare la “cerchia degli idonei”: a suo parere non servono né diplomi né titoli speciali per poter infondere i valori cristiani negli animi dei giovani studenti. È sufficiente che un maestro, già abilitato a insegnare e competente nel suo mestiere, si dichiari disposto a tenere anche le lezioni di religione. Chi, con lealtà, si offra per lo svolgimento di questa disciplina, si presume abbia anche la capacità per farlo; essa, infatti, non richiede particolari attitudini didattiche, ma “solamente” una Fede genuina. Alcuni corsi di tirocinio per gli Idr si stavano comunque organizzando in molte città; la frequenza, tuttavia, era libera e non avrebbe rilasciato alcuna abilitazione: si trattava di incontri in cui confrontarsi sui temi e sulle letture che sarebbero state proposte in classe.

In un’intervista del 2 giugno 1923, una collaboratrice del Giornale di Roma aveva chiesto a Gentile come ci si sarebbe comportati con gli insegnanti «cultori del libero pensiero o della scuola materialista»: insomma tutti coloro che non avrebbero accettato di educare i propri allievi a una determinata confessione. Il Ministro aveva risposto che l’ideologia positivistica era ormai cosa sorpassata e stavano svanendo tutte le “deformazioni” spirituali da questa introdotte nella società. In seconda battuta, aveva affermato: «lo Stato non intende imporre la sua volontà a nessuno. Se uno non si sente di fare il maestro di scuola, potrà fare un’altra cosa e, soprattutto, potrà pensare come crede, ma la scuola, essendo italiana, perciò cattolica, porta con sé le esigenze del popolo italiano»430. Un modo delicato per indicare che il ruolo del maestro avrebbe incluso di suo anche il compito di assolvere all’IRC.

Alla domanda se il docente avrebbe dovuto essere un laico o un ecclesiastico, invece, Gentile aveva dato risposta già al Convegno della Fism del 1907: ciò che conta non è la tonaca, ma l’animo e la professionalità. Così, a un maestro dotto e privo di Fede, di formazione positivistica, il nostro filosofo avrebbe senz’altro preferito un sacerdote, animato da una profonda credenza religiosa.

Per concludere la rassegna dei chiarimenti intorno al pensiero di Gentile sull’IRC, vorrei ribadire che il filosofo contrastò, per tutto l’arco della vita, l’introduzione di un

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Giovanni Gentile, La riforma della scuola, intervista pubblicata sul Giornale di Roma il 2 giugno 1923, p. 100.

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insegnamento confessionale nella Scuola media: la sua presenza, infatti, avrebbe compromesso l’ideale di laicità che auspicava di veder realizzato a questo livello scolastico. La filosofia, posta come materia accanto alla Religione, sarebbe stata declassata a una concezione spirituale tra le altre; invece che costituire la naturale prosecuzione e il superamento di una lettura “mitica” e religiosa della vita.

Il punto di vista di Gentile ci viene confermato dall’insofferenza che egli manifesta, già durante una discussione in Senato del 1930, nei confronti degli Accordi Lateranensi: se lui stesso era stato tra i fautori del Concordato, vagheggiando l’alba di una nuova collaborazione tra Stato e Chiesa, non era tuttavia disposto ad accettare che l’influenza ecclesiastica diventasse una minaccia alla libertà e all’universalità della cultura, della scienza e del pensiero431. Sembra di poter leggere, in queste dichiarazioni, una velata critica alla decisione, da poco ratificata, di estendere l’IRC alla Scuola secondaria. Molto più esplicita sarà, al contrario, la sentenza proferita nel 1943 in La mia religione; qui il filosofo invita a considerare gli effetti che quel provvedimento ha portato nelle scuole medie italiane, dove «gli osanna si sono voltati in crucifige»432. Vale a dire, lo spirito degli allievi, invece che tuffarsi in una libera e mai esausta ricerca della verità, sotto la sapiente guida della filosofia, resta inchiodato agli statici e “intolleranti” principi del cattolicesimo.