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Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi

10. Benedetto Croce e l’insegnamento di Religione

Ritengo interessante fare un accenno a quale sia stata la posizione anche di Benedetto

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rispetto, una figura di raccordo tra l’attualista Giovanni Gentile e il socialista Antonio Gramsci. Entrambi infatti, all’inizio del loro percorso politico e speculativo, individuarono nell’idealismo crociano l’orizzonte filosofico nel quale collocarsi, prima di spiccare il volo seguendo percorsi autonomi e, in parte, divergenti. Semplificando potremmo dire che Gentile incontra la riflessione di Croce sotto l’aspetto idealista, recuperando e poi interpretando in chiave personale il concetto di Spirito; mentre Gramsci ne apprezza la dimensione storicistica, secondo la quale la storia esaurisce la totalità del reale e percorre una via razionale e progressiva.

Sembra quindi legittimo chiedersi: che cosa pensava Croce della Religione, del suo destino e della sua presenza nel sistema scolastico italiano? Per rispondere a questa domanda mi avvarrò, principalmente, di due articoli editi entrambi nella rivista “La Critica”, ma distanti per data di pubblicazione e premesse filosofiche.

Il primo testo si intitola Sull’insegnamento religioso e fu redatto dal nostro autore nel 1923: anno di feroce discussione riguardo al reinserimento della religione cattolica nelle scuole elementari, proposto e ottenuto da Gentile. L’argomentazione presentata nel brano si regge su una fondamentale distinzione: quella tra un’analisi filosofica e un’analisi pratico-politica del problema.

Approfondiamo la prima. Croce sostiene che l’educazione autentica è sempre un’educazione religiosa: chi non fosse pervaso da una fede vibrante in una determinata concezione della vita, sarebbe inadatto a insegnare; e una Scuola non potrà dichiararsi neutrale, senza ammettere di riflesso la propria vacuità morale e intellettuale475. La questione si complica quando si tratta di scegliere quale visione del mondo insegnare; il concetto crociano di religione, infatti, è molto esteso e non si identifica con quello di confessione religiosa.

Da un punto di vista filosofico, la religione cattolica appartiene a una fase arretrata dello svolgimento dello spirito; considerato il fatto che l’Europa – dopo la fine dell’epoca medioevale – è andata gradualmente secolarizzandosi e innalzandosi verso una forma superiore di approccio alla realtà. Le scuole moderne, quindi, dovrebbero trattare le concezioni del passato – la platonica, l’aristotelica, la cattolica etc. – soltanto sotto una luce critica; mentre dovrebbero impartire quale loro credo «il pensiero laico». Inoltre,

475 Croce recupera la posizione di Gentile sulla “scuola neutrale” e la considera «una scuola che non è

scuola, una scuola fiacca e vuota, priva del senso divino, priva d’interiore freno e disciplina». La citazione è tratta da: Benedetto Croce, Sull’insegnamento religioso in “La Critica”, volume 21, 1923, p. 255.

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sempre filosoficamente parlando, sarebbe inaccettabile trattare le minoranze ebraiche e protestanti come un nulla: anch’esse, infatti, fanno parte della realtà sociale e la loro presenza non può essere trascurata con la spicciola obiezione che la maggioranza degli italiani è cattolica.

«E con questo parrebbe che la questione dell’insegnamento religioso […] fosse finita; e, invece, non è ancora cominciata. O, per meglio dire, è finita in quanto questione filosofica, ma non è ancora neppure cominciata nel vero carattere che ha ai nostri tempi, e nella nostra Italia, di questione pratica o politica»476.

Con queste parole Croce segna il passaggio a un altro piano di riflessione, quello pratico-politico, dal quale emergerà – di fatto – il suo responso definitivo sull’IRC. Il ragionamento parte dalla costatazione che l’Italia, ai suoi tempi, è una nazione ancora profondamente devota al cattolicesimo: se questa religione è stata superata ai livelli alti della cultura, essa è ancora viva nella maggioranza delle famiglie italiane. Egli ritiene quindi necessario e opportuno votare a favore di un’educazione confessionale nelle scuole elementari, in modo da garantire continuità e armonia tra l’ambiente familiare e quello scolastico. Se così non accadesse, i cittadini non riporrebbero fiducia nella Scuola di Stato, e se ne allontanerebbero, iscrivendosi piuttosto a istituti privati. Inoltre, Croce ammette che il pensiero laico – a livello di istruzione elementare – non sia ancora in grado di esprimersi attraverso mezzi didattici e personale competente, tali da poter sostituire quelli appartenenti alla prestigiosa tradizione cattolica. E conclude dicendo che l’impostazione confessionale potrà essere facilmente correggibile nelle fasi scolastiche successive.

L’approvazione crociana per l’IRC, in questa fase del suo pensiero, sembra poggiare su ragioni utilitarie più che su una convinta adesione. È infatti una scelta dettata dal contesto e da esso dipendente: quando le condizioni storiche e sociali dell’Italia si saranno evolute, in ogni Scuola abiterà esclusivamente la filosofia laica.

«Il mio voto favorevole vale per il tempo e per le condizioni presenti; e, come non l’avrei forse dato favorevole nel 1860, così forse non lo ridarei nel 1950: che è un altro modo di ribadire che si tratta di questione pratica e politica»477.

Una ventina di anni dopo, tuttavia, la prospettiva di Croce appare completamente mutata. Per dimostrarlo, prenderò in esame un articolo del 1943, che riporta il titolo significativo di Perché non possiamo non dirci “cristiani”.

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Ibi, p. 254.

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La tesi centrale del testo è che tutta l’umanità, nell’epoca contemporanea all’autore, viva, si muova e ragioni all’interno dell’orizzonte del cristianesimo, anche quando le persone si dichiarino atee o credenti in altre fedi: «si vuole unicamente affermare, con l’appello alla storia, che noi non possiamo non riconoscerci e non dirci cristiani, e che questa denominazione è semplice osservanza della verità»478.

Croce motiva questa asserzione così perentoria ricostruendo la storia della civiltà europea come storia dell’affermazione, della stabilizzazione e del rinnovamento della religione cristiana: è evidente l’inversione ermeneutica rispetto alla lettura data nel ’23, secondo la quale la mentalità occidentale era andata sempre più laicizzandosi.

Il cristianesimo, al suo sorgere, fu innanzitutto la rivoluzione più profonda che il genere umano avesse mai affrontato: si era trattato di una radicale trasformazione avvenuta nel profondo della coscienza umana, la quale acquisiva un’inedita grandezza morale e diventava capace di opere meravigliose. Lo spirito cristiano delle origini si caratterizzò quindi come amore, nei confronti di Dio e di ogni creatura che da lui discendesse, ma anche come insaziabile ricerca della Verità. Esso diffuse una nuova interpretazione della realtà, sostituendo alla natura pensata in modo oggettivo, la centralità del soggetto, che da un lato la crea e dall’altro la comprende: nasceva, così, il concetto di spirito, e Dio e uomo, fatti della stessa “stoffa” spirituale, si trovarono in strettissima relazione, pur senza mai giungere a sovrapporsi.

A una fase di vitalità spirituale e conoscitiva, seguì una fase di stabilizzazione, durante la quale le scoperte e i principi raggiunti nel periodo iniziale si cristallizzarono in dogmi e cerimonie rituali. Croce non interpreta questo stadio come la morte dell’autentica

Weltanshauung cristiana, ma solo come un momento «nel quale si chiude il processo

cogitativo della ricerca […] e si apre quello della pratica azione, in cui la fede si trasfonde»479: la Religione si diffonde tra le masse, si incarna nelle istituzioni ecclesiali e politiche, interviene nel mondo. Inoltre, ogni arresto prelude a una nuova rinascita, così la Chiesa va costantemente riformandosi e adattandosi al mutare dei tempi.

Al medioevo segue un nuovo scoppio “rivoluzionario” e il cristianesimo torna a essere anelito sempre rinascente di verità; interpreti dell’autentico spirito cristiano furono: i fautori dell’umanesimo, del rinascimento, della riforma protestante, della scienza fisico- matematica della natura, dell’illuminismo, della rivoluzione francese, dell’idealismo

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Benedetto Croce, Perché non possiamo non dirci “cristiani”, edizione Laterza & figli, Bari 1943, p. 5.

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tedesco, e così via. Uomini che si collocarono all’interno o all’esterno della Chiesa ufficiale, ma a cui spetta a buon diritto il nome di “cristiani”: «operai nelle vigna del Signore, che hanno fatto fruttificare con le loro fatiche, coi loro sacrifici e col loro sangue la verità di Gesù primamente annunciata»480. Si intuisce che l’autore considera anche il proprio storicismo assoluto un frutto maturo e moderno della religione cristiana; in esso lo Spirito, al contempo trascendente e immanente ai soggetti pensanti, è la reincarnazione del Dio cristiano. L’essere umano, allora, cercherà costantemente di elevarsi sino a raggiungere la verità divina, perché solo congiungendosi a Dio egli è veramente uomo. La ragione del successo e della longevità del cristianesimo va rintracciata nella sua incredibile capacità di rispondere, in modo plastico, alle cangianti esigenze della società umana. Secondo Croce, infatti, una concezione intellettuale e morale resta in vita fintanto che soddisfa ai bisogni concreti degli individui; e questo compito la religione cristiana continua evidentemente ad assolverlo, e la sua autorevole presenza non accenna così a tramontare.

«Nessuno può sapere se un’altra rivelazione e religione, pari o maggiore di questa […] accadrà nell’uman genere, in un avvenire di cui non si vede ora il più piccolo barlume; ma bene si vede che, nel nostro presente, punto non siamo fuori dai termini posti dal cristianesimo»481.

Anche se in questo testo Croce non tratta espressamente di insegnamento scolastico della Religione, è chiaro come esso acquisisca – grazie alla riflessione lì riportata – una solida giustificazione filosofica, e non più solo pratico-politica. Se ci troviamo ancora oggi entro il cono di luce proiettato dal cristianesimo, infatti, è importante che questa confessione sia studiata e consapevolmente vissuta dai giovani studenti italiani.

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Ibi, p. 20.

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