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Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi

6. La religione più perfetta: il cattolicesimo

Abbiamo visto come Gentile motivò il suo sostegno a favore di un insegnamento religioso nella Scuola elementare, da un punto di vista morale, pedagogico, spirituale e politico. Tuttavia, dinanzi a un consesso di pensatori per lo più legati a una cultura positivistica, qual era quello del 1907, non si spinse fino a suggerire la presenza, nelle aule scolastiche, di una confessione religiosa piuttosto che un’altra.

412 Ibi, p. 131. 413 Ibi, p. 76. 414

Gentile definirà il cattolicesimo la religione più perfetta all’interno del saggio del 1908, Il modernismo e

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« – Quale religione? – Lasciamo stare il primo articolo dello Statuto, che è bene e storicamente giusto sia messo da parte, in questa come in molte altre occasioni simili. Dico soltanto: bisogna decidersi, senza pregiudizi, senza vane paure»415.

Per il Gentile filosofo e fautore della scuola laica, quindi, il dettato di un articolo costituzionale non è una motivazione valida per giustificare una scelta così rilevante. Ciononostante, sulla questione «bisogna decidersi»; non si può rimanere a un livello astratto e generale di riflessione, bisogna avere il coraggio di scegliere: solo così il pensiero diventa vita e le idee feconde si concretizzano.

È pur vero che nel giugno 1923, nel corso un’intervista pubblicata sul Giornale di

Roma, Gentile si difese dalle numerose proteste insorte contro il suo intento di restaurare

l’IRC, proprio citando il primo articolo dello Statuto italiano, secondo cui la religione dello Stato è la religione cattolica, tutte le altre religioni sono tollerate, e sostenendo che non avrebbe fatto altro che metterlo in pratica. Tuttavia, in questo caso, Gentile vuole probabilmente attenuare la portata rivoluzionaria del suo futuro intervento e, se consideriamo le sue riflessioni precedenti e posteriori, non sembra con ciò fondare la sua scelta su una ragione meramente “costituzionale”.

Solo un anno dopo il Congresso, all’interno di uno scritto in cui Gentile chiariva meglio la sua posizione, rispondendo alle obiezioni che gli erano state mosse, egli afferma che le scuole dello Stato dovranno soddisfare ai «bisogni religiosi storicamente vivi nella nazione»416. Quindi, giacché il cattolicesimo è la religione più sentita dalla popolazione italiana, è giusto inserire nei programmi lo studio del catechismo cattolico; mentre la presenza evangelica, musulmana o di altre confessioni non “possiede i numeri” per pretendere istituti scolastici propri.

La prima motivazione, quindi, che fa propendere il nostro filosofo per un insegnamento religioso di orientamento cattolico, è la convinzione che la Scuola pubblica debba essere un riflesso dell’inclinazione spirituale della maggioranza. Solo così riuscirà a ottenere il rispetto e la fiducia da parte dei cittadini, che la sentiranno come propria e vi parteciperanno con passione: «la scuola deve essere amata dal popolo, deve vivere nel cuore del popolo, deve rispecchiare la fede, l’idealità del popolo»417.

415 Ibi, p. 104.

416 Ibi, p. 131. Lo scritto, qui pubblicato con il titolo di Dopo il congresso, era stato edito per la prima volta

nel 1908 all’interno del volume Scuola e filosofia.

417

Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, conversazione tra Gentile e una collaboratrice del

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La seconda motivazione per la quale insegnare proprio la religione cattolica, e non altre, è inscindibilmente connessa alla prima: gli italiani sono per lo più cattolici, perché questa confessione fa parte della loro storia e delle loro tradizioni, ha considerevolmente influenzato la cultura nazionale - l’arte, la filosofia, la scienza, etc. - e le stesse vicende sociali e politiche che hanno portato l’Italia a essere ciò che è oggi. Lo stesso Regno d’Italia, infatti, è germogliato nell’alveo del cattolicesimo, se è vero che i promotori del nostro Risorgimento, i padri della patria, aderivano intimamente ai principi cattolici.

«Gli italiani perciò che vogliano essere italiani, che vogliano essere un popolo abbracciato alle sue tradizioni vive, al ceppo da cui sale la linfa vitale al suo fusto e ai suoi rami, un popolo che ripugni all’inaridimento e alla morte delle energie morali, […] conviene che si rivolgano alla loro religione, per averne una»418

.

Il cattolicesimo, quindi, è uno dei tratti essenziali che costituiscono l’identità del popolo italiano e che ne garantiscono la coesione. Ne è una prova che quasi qualsiasi cittadino serbi tra i ricordi più cari e resistenti dell’infanzia le preghiere cattoliche recitate assieme alla madre, e le loro parole riecheggeranno nella memoria per tutta la vita. Il nostro filosofo, esagerando, si spingerà sino a dire: «noi siamo tutti cattolici, siamo stati educati normalmente in Italia nelle nostre famiglie italiane che erano tutte cattoliche»419; quasi l’italiano-non-cattolico rappresentasse una deviazione dalla regola.

Leggendo i diversi passi in cui ne tratta, con tono a volte carico di pathos, si comprende come per Gentile sia fondamentale sentirsi parte di una storia, familiare e nazionale. Più volte, infatti, egli ha espresso l’importanza di non sbarazzarsi del passato, ma collocarsi sulla via che esso ha dischiuso, giacché questo è l’unico modo per progredire. Il sentimento di appartenenza, che ciascuno dovrebbe coltivare dentro di sé, è senza dubbio rafforzato dalla condivisione dello stesso credo religioso; a ogni uomo, allora, andrà insegnata la religione della terra in cui è nato, come gli si insegnano la lingua e la letteratura nazionali: «come al fanciullo francese si insegna la lingua francese e quella inglese all’inglese, così reputo necessario che al fanciullo italiano, che va formandosi a una grande maggioranza cattolica, sia indispensabile l’ammaestramento nella religione cattolica»420.

418

Ibi, discorso del 15 novembre 1923, in occasione dell’inaugurazione della nuova sessione del Consiglio superiore, p. 151.

419 Ibi, si riportano gli interventi di Gentile al I Convegno Nazionale degli Studi Filosofici, tenutosi il 13-14

dicembre 1941, p. 484.

420

Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, intervista pubblicata su La tribuna il 5 gennaio 1923, p. 25.

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A ragioni di carattere storico e culturale, tuttavia, si aggiungono secondo Gentile rilevanti motivazioni filosofiche, secondo le quali il cattolicesimo sarebbe da preferire a fedi di diverso contenuto.

Innanzi tutto, esso primeggia tra le diverse religioni per l’ «universalità del suo contenuto»421: dal momento che il messaggio cattolico fa capo a dogmi precisi, definiti da un’autorità, i quali vanno riconosciuti da parte di qualsiasi credente, e la cui corretta interpretazione è sorvegliata dalla Chiesa. In altri termini, all’interno del cattolicesimo non c’è spazio per interpretazioni completamente soggettive e divergenti della parola di Dio; ma ciascuno trova un limite nel dettato ecclesiastico. Ciò non significa che i fedeli non abbiano un proprio pensiero e ragionino come cloni in cui sono state immesse le stesse informazioni; infatti ogni norma riceve nell’animo di chi la recepisce una particolare declinazione. Tuttavia, le loro concezioni religiose sono confinate all’interno di un comune recinto; allo stesso modo di uno scrittore che, per quanto sia estroso e originale nel comporre storie, è vincolato alle norme grammaticali e sintattiche di qualsiasi altro scrittore utilizzi la stessa lingua. Secondo il nostro filosofo ciò non si verifica nel protestantesimo, che lascia spazio al libero esame dei testi sacri, ritenendo superflua la mediazione ecclesiastica, e, di conseguenza, incoraggia letture personali della verità divina: ogni individuo, così, finirà per avere il suo Dio. L’omogeneità di principi e valori del credo cattolico favorisce, invece, la fusione di tutti i fedeli in uno, ed è un passo deciso verso il riconoscimento dell’unità dello spirito, che è il fulcro del suo pensiero filosofico. D’altronde lo stesso termine greco da cui questa confessione trae il nome – καθολικός – significa universale e rimanda alla sua aspirazione a coinvolgere l’intera umanità.

«Perché [sono] cattolico? Perché religione è chiesa […]: comunità illimitata nella quale il mio Dio è Dio se è Dio di tutti. L’errore della Riforma, […] fu quello di aver voluto fare della religione un affare privato di quel fantastico individuo, che non è uomo, spirito, ma un semplice fantoccio d’uomo collocato nella spazialità e nella temporalità della natura»422.

Connessa a questo argomento c’è l’identificazione del cristianesimo, e specialmente del cattolicesimo, con la religione dell’amore e della solidarietà. La regola d’oro del cattolico – amare il prossimo come se stessi – lo sprona a rivedere negli altri esseri umani un’anima come la sua, e a superare le differenze estrinseche per scoprire che siamo tutti

421

Ibidem.

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fratelli, membri di un’unica famiglia universale. Da questo assunto derivano i precetti morali della religione cattolica, che spingono il credente ad aiutare il meno fortunato, chiunque esso sia, e a condividere con ciascuno dei suoi simili gioia e sofferenza: «nella convinzione che il peccato altrui è anche peccato nostro e che il santo è santo se non si chiude egoisticamente ed orgogliosamente nella sua santità, ma scende col suo amore fino al debole, e lo sorregge e lo solleva con sé nell’ardua fatica del bene»423. Anche sotto questo rispetto, quindi, il cattolicesimo appare la religione dell’unità dello spirito, che non separa ma affratella l’intera società umana.

L’ultimo motivo di “elogio filosofico” per la confessione cattolica, che verrà definita da Gentile «la religione più perfetta», nonché una delle due «più alte creazioni dello spirito ariano» a braccetto con la filosofia europea moderna, è il rapporto che in essa si instaura tra Dio e l’uomo: opposizione irriducibile, ma al contempo relazione424

. Tra l’essere infinito, perfetto ed eterno – la divinità – e la creatura finita, imperfetta e mortale – l’essere umano – c’è infatti assoluta contraddizione, che la religione non può risolvere se non trasformandosi in qualcosa di diverso; l’antinomia è essenziale allo spirito religioso autentico. Quando infatti si annulla uno dei tue termini della contraddizione, si cade in forme di pensiero sterili e pericolose: il rischio è o di deificare l’uomo – debellando il principio divino -, o di mortificarlo completamente – considerando la realtà umana un’illusione, un nulla. Si pensi a dottrine filosofico-religiose caratterizzate da un immanentismo o viceversa un ascetismo esasperato; secondo Gentile la stessa religione protestante, promuovendo il rapporto diretto tra Dio e l’individuo comune, non fa che divinizzare la ragione del singolo, neutralizzandone la profonda differenza rispetto al Padreterno. La distanza incolmabile tra il finito e l’infinito, invece, risponde a un’esigenza fondamentale dello spirito: quella di individuare un principio assoluto dell’essere e della legge morale, che tragga sempre innanzi l’individuo, spingendolo a migliorarsi.

Tuttavia, nella religione cattolica, l’opposizione uomo-Dio non sussiste senza una loro intima relazione: l’uno e l’altro, infatti, sono spirito. È solo all’interno della propria anima che l’essere umano entra in contatto con il divino, lo comprende e a lui rivolge le sue

423

Giovanni Gentile, La mia religione, p. 24.

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preghiere; ed è solo attraverso lo spirito che Dio parla con la sua creatura, la conforta e la sprona425.

«Dio è spirito; ma è spirito in quanto l’uomo è spirito; e Dio e uomo nella realtà dello spirito sono due e sono uno: sicché l’uomo è veramente uomo soltanto nella sua unità con Dio […]. E Dio da parte sua è il vero Dio in quanto è tutt’uno con l’uomo»426

.

Il dogma dell’Incarnazione – Dio fatto uomo – è emblema di questo rapporto tra essere divino e essere umano, che tende all’unità. Ma, secondo Gentile, nella religione cattolica, prevale la loro reciproca contraddizione, che rappresenta uno scoglio insuperabile; solo la filosofia saprà abbracciare i termini contrari in un’unità superiore, che mantenga vivo il valore di entrambi: «nel cattolicismo resta il problema senza la soluzione»427.

Riassumendo, abbiamo visto perché secondo il nostro filosofo nelle scuole italiane è importante si insegni proprio la religione cattolica, e non una qualsiasi altra confessione. La prima infatti è, da un lato, cifra identitaria dell’italianità, sotto un profilo storico e culturale; dall’altro, tra le concezioni religiose, è quella che maggiormente favorisce l’unità e la solidarietà tra tutti gli esseri umani e impedisce all’uomo di innalzarsi a divinità, con conseguenze deleterie per il mondo e per il genere umano.

Potremmo, quindi, concludere che la Scuola popolare avvalorata da Gentile è una forma di scuola confessionale? Ritengo che la risposta sia affermativa. Essa, infatti, non solo prevede alcune ore di lezione dedicate all’insegnamento di un preciso dogma religioso - quello cattolico-, ma è interamente permeata dalla fede in Dio, principio che guida e influenza ogni sua disciplina. La conferma arriverà nell’ottobre del 1923 quando, nella premessa alla riforma della Scuola primaria, si innalzerà l’IRC a fondamento e

coronamento dell’intero sistema educativo elementare, incoraggiando il richiamo a temi e

figure religiose anche all’interno di altre materie. D’altronde, secondo il pensiero di Gentile, lo spirito umano è un’unica corrente in cui confluiscono e si mescolano diversi affluenti; così la Scuola autentica non è suddivisibile in stanze non comunicanti, ma la brezza di una fede deve attraversarla completamente. Ciononostante il futuro Ministro

425 L’unità spirituale tra Dio e uomo si realizza, secondo Gentile, nel cristianesimo in generale, che è la

religione dello spirito: «nessuna fede concepisce così umanamente il divino, e nessuno, senza il cristianesimo, sentirebbe la fede soprattutto come amor Dei, paternità ed intimità dell’infinito per il finito, dell’eterno per l’individuo, di Dio per ogni singola creatura, e come gratitudine, altresì del figlio per il padre ispiratore e correttore, adorato anche se severo». Cfr. Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, p. 175.

426

Giovanni Gentile, La mia religione, p. 9.

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fascista non definirà mai apertamente la “sua” Scuola popolare scuola confessionale, forse perché era diventata un’etichetta tremendamente impopolare, affibbiata alle strutture educative che erano sotto il controllo esclusivo della Chiesa. Tuttavia il suo progetto per la Scuola elementare sembra ricalcare le parole pronunciate nel 1907: «diremo confessionale una scuola, in cui la religione venga insegnata, o governi l’insegnamento, come una forma storicamente determinata, come una religione positiva. […] la scuola confessionale ha pure i suoi pregi, che si riassumono nel maggiore: nella fede che essa inculca, e di cui fa come il centro dell’anima»428

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