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Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi

9. Chiesa e Religione nel pensiero di Gramsci

9.2 Chiesa e Religione negli anni dell’attivismo politico

Quella che artificialmente possiamo isolare come seconda fase del suo pensiero, si sviluppa attorno a due eventi che impressionarono moltissimo il nostro autore. Innanzitutto il successo della rivoluzione socialista in Russia (marzo – ottobre 1917), in una terra in cui lo sviluppo del capitalismo era ancora incipiente e l’economia era, per lo più, a regime agricolo. Lenin, il leader del partito bolscevico, era riuscito ad arruolare alla causa del comunismo tanto i proletari quanto i contadini, che avevano combattuto fianco a fianco, dimostrando il potenziale esplosivo della loro alleanza. In secondo luogo gli esiti, in Italia, delle elezioni politiche del 16 novembre 1919, quando il Partito socialista aveva ottenuto il maggior numero di seggi parlamentari, immediatamente seguito, però, dal Partito popolare italiano. Gramsci comprese allora che il movimento cattolico aveva conquistato la fiducia delle masse popolari, soprattutto rurali, dando prova di sapersi rinnovare in senso democratico e moderno.

I due episodi, presi assieme, portarono Gramsci a un’unica conclusione: affinché il socialismo attecchisse in Italia era necessario guadagnarsi il rispetto anche dei semplici agricoltori, sottraendoli gradualmente all’influenza popolare. Nell’immediato egli suggeriva, ai suoi compagni di partito, di adottare una tattica “machiavellica” e

450 Gramsci ritiene che lo Stato liberale abbia cercato un compromesso con le istituzioni cattoliche, così da

riuscirne a inglobare le ampie basi di consenso, finendo tuttavia col divenire uno fantoccio nelle mani della Chiesa. Il Patto Gentiloni del 1912 segna la definitiva trasformazione dello Stato italiano in una teocrazia.

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inaugurare una fase di collaborazione con i cattolici, in vista dell’abbattimento del comune nemico: lo Stato liberal-borghese. Non gli sembrava opportuno aggiungere alla guerra di classe anche una guerra religiosa, che non avrebbe fatto che rallentare il conseguimento di una società egualitaria. Era inoltre convinto che l’ideologia socialista rispondesse naturalmente ai bisogni di contadini e operai, i quali costituivano un unico blocco sociale; tuttavia tra i primi non sempre esisteva la maturità necessaria perché ciò venisse riconosciuto. Ci si doveva allora servire, lì dove la causa proletaria non riusciva a penetrare, dell’associazionismo cattolico, capace di rafforzare la solidarietà tra la plebe rurale. Una volta che le masse popolari fossero state compatte e ideologicamente coese, sarebbe stato più semplice per i socialisti instillarvi i propri principi e la consapevolezza necessaria alla rivoluzione.

«I popolari rappresentano una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo. Essi creano l’associazionismo, creano la solidarietà dove il socialismo non potrebbe farlo, perché mancano le condizioni obiettive dell’economia capitalista […]. Il cattolicismo democratico fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida. […] Perciò non fa paura ai socialisti l’avanzata impetuosa dei popolari, non fa paura il nuovo partito che ai sessanta mila tesserati del Partito socialista contrappone i suoi seicento mila tesserati»452.

Cattolicesimo e socialismo, dunque, un tempo presentati come irriducibili avversari, avrebbero potuto coalizzarsi, cosicché il primo svolgesse una funzione di surrogato al secondo. Gramsci si adoperò quindi, anche da un punto di vista speculativo, a rivalutare l’ideologia cristiana: da una lato recuperando i valori che ispirarono il cattolicesimo delle origini; dall’altro mostrando come la Chiesa contemporanea ricercasse il consenso della folla.

Nei primi secoli, infatti, il cristianesimo aveva rappresentato un’istanza rivoluzionaria contro una forma di potere soverchiante: l’impero Romano. Nel nuovo credo avevano trovato accoglimento i ceti più umili e disagiati, tra i quali si era diffuso il coraggio interiore per ribellarsi alla coercizione dei dominatori, anche se solo dal punto di vista religioso e spirituale. La Religione aveva poi saputo conquistare il mondo, facendosi arte, filosofia, morale e imponendosi sempre più anche sul piano politico-sociale: era diventata il culto ufficiale e si era istituzionalizzata e gerarchizzata. Tra cristianesimo primitivo- rivoluzionario e comunismo esiste quindi un rapporto di analogia, che si risolve tuttavia a

452

Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, I popolari, 1 novembre 1919, Giulio Einaudi editore, Torino 1987, pp. 273-274.

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vantaggio del secondo: questo, infatti, non consola le anime degli uomini con la promessa di una vita ultraterrena, ma li sprona ad agire nel presente per riappropriarsi di quanto spetta loro. La fede comunista ha dunque scopi terreni e concreti, che richiedono un eroismo esteriore: bisognerà avere l’ardimento di impugnare le armi contro il tirannico nemico.

«L’operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni, disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto ore per il Partito, per il sindacato, per la cooperativa, è, dal punto di vista della storia dell’uomo, più grande dello schiavo e dell’artigiano che sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera. […] Appunto perché il fine della loro milizia è concreto, umano, limitato, perciò i lottatori della classe operaia sono più grandi dei lottatori di Dio»453.

Sebbene la rivoluzione possa esser portata a compimento solo dal comunismo; anche la Chiesa cattolica contemporanea mostra, secondo Gramsci, dei segni di apertura verso le masse popolari. Le associazioni cristiane e la stessa gerarchia ecclesiastica si adoperano per rispondere alle esigenze – materiali e non solo spirituali – della moltitudine, ricercandone l’approvazione. Egli mostra ammirazione per le capacità organizzative dimostrate dalla Chiesa, che si è radicata e capillarmente diffusa in tutto il territorio nazionale: sarà questo un aspetto che il Partito comunista cercherà di emulare.

«Il cattolicismo [dopo esser stato estromesso dal potere dallo Stato moderno] riappare alla luce della storia, ma quanto modificato, quanto “riformato”. Lo spirito si è fatto carne […]. Il cattolicismo, che si incarnava in una gerarchia irraggiante dall’alto, dominatrice assoluta e incontrollata delle folle fedeli, diventa la folla stessa, diventa emanazione delle folle, […] incarna la sua sorte nella buona e nella cattiva riuscita dell’azione politica ed economica di uomini che promettono beni terreni, che vogliono guidare alla felicità terrena e non solo, e non più alla città di Dio»454.

Così, giacché il Vaticano è una presenza influente in Italia, come lo Stato liberale ha cercato un accordo con esso, anche lo Stato operaio dovrà «trovare un sistema di equilibrio» con le forze cattoliche455.

In questa fase, quindi, il nostro filosofo non ritiene le idee religiose motivo di divisione all’interno del ceto proletario; i comunisti infatti, se non sono religiosi, non sono nemmeno anti-religiosi. Né prima né dopo il suo avvento, lo Stato sovietico estirperà con la forza la fede cattolica: esso accoglierà nel suo seno – seguendo le indicazioni dello Stesso Lenin – tutti i credenti che gli giureranno fedeltà e lotteranno per

453453 Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, Il partito comunista, 4 settembre 1920, p. 654. 454

Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, I popolari, 1 novembre 1919, p. 273.

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la sua affermazione. Una volta costituitosi, inoltre, questo tollererà un’opposizione costituzionale da parte dei cattolici, purché non si trasformi in rivoluzione.

«Lo Stato operaio non perseguiterà la religione; lo Stato operaio domanderà ai proletari cristiani la lealtà che ogni Stato domanda ai suoi cittadini, domanderà che se vogliono essere in opposizione, questa opposizione, sia costituzionale e non rivoluzionaria. L’opposizione rivoluzionaria è propria di una classe oppressa contro i suoi sfruttatori; l’opposizione costituzionale è l’atteggiamento proprio di un ceto ideologico della classe verso la maggioranza che esercita il potere politico»456.