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Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi

5. Perché insegnare religione nella scuola primaria

Ripercorrendo gli scritti del filosofo dalla relazione del 1907 fino a La mia religione del 1943, testo che sarà considerato il suo testamento spirituale, è possibile enucleare, innanzi tutto, le ragioni principali che stanno a fondamento della scelta di reinserire un insegnamento di religione all’interno delle scuole elementari. Solo in un secondo momento cercheremo di capire perché, tra le varie confessioni, Gentile proporrà proprio la cattolica.

Come già abbiamo messo in luce, l’IR ha il merito di radicare nelle anime dei piccoli studenti una solida morale, e ciò è indispensabile per adempiere alla funzione educatrice della Scuola primaria che prepara l’individuo alla vita in comunità e nello Stato.

In secondo luogo la Religione è una dimensione naturale ed essenziale per qualsiasi spirito: l’essere umano nasce, infatti, artista e religioso e, se vive autenticamente, si ciba per tutta la sua esistenza d’arte e di religione; se non che queste due anime si esprimono al massimo nel periodo della fanciullezza, quando l’utilizzo della ragion critica è ancora incipiente. Che il bambino sia artista lo dimostra il modo personale e bizzarro con cui fa proprio ogni insegnamento che riceve: quando impara a scrivere in lingua italiana, ad esempio, egli non riproduce meccanicamente qualcosa di già letto o sentito, seguendo in modo ligio le regole della grammatica; al contrario il fanciullo crea e dà alla luce

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produzioni scritte che rivelano i caratteri della sua personalità. Lo studente elementare è quindi spontaneo e originale nell’apprendere ed eseguire i compiti che gli vengono assegnati, non rimane intrappolato in schemi e formulari, ma improvvisa e sintetizza a modo proprio: è un’artista. Non solo, ciascuno di noi ha dal suo primo giorno di vita la percezione di qualcosa di immenso, una realtà infinita ed eterna che ci oltrepassa. Questa sensazione innata nell’essere umano è sentimento religioso: l’uomo sente che c’è qualcosa che esisteva anche prima della sua venuta al mondo e che continuerà a fluire quando egli sarà tornato cenere. Dietro ogni atto che compia durante la sua giornata e dietro ogni oggetto o questione su cui ponga la propria attenzione, c’è un universo che non si esaurisce nelle piccole cose. Così ogni individuo «com’è naturalmente artista, nasce religioso perché non può aprire gli occhi alla luce del sole, non può vedere nulla nella luce, nulla può concepire […] senza che l’oggetto della sua percezione ei lo veda campeggiare nell’infinito»405

. Questa realtà eterna e trascendentale di cui abbiamo immediatamente consapevolezza, è «la sola realtà vera»406, dirà Gentile, e su di essa è d’obbligo parlare. L’istruzione elementare, allora, non dovrà rivolgersi solo all’intelletto, ma soprattutto a quel che Gentile chiama lo spirito del bambino: oltre a far esercitare la scrittura, la lettura e il calcolo, bisognerà nutrire l’animo dell’alunno con un’educazione artistica e religiosa407.

La Scuola popolare invece, prima dell’intervento riformatore di Gentile, si era concentrata su una formazione esclusivamente intellettuale dell’individuo, debellando ogni traccia di arte e di religione, giacché discipline inservibili per una conoscenza scientifica del mondo. La seconda, in particolare, era ritenuta una presenza scomoda e deleteria, all’interno delle aule scolastiche, e si credeva opportuno confinarla nella dimensione privata della coscienza: quando la riflessione sulla religione diviene cosa pubblica, infatti, causa attriti e interminabili diatribe tra i cittadini. Ma, ribatte Gentile, se gli uomini dovessero confrontarsi solo su ciò su cui hanno la stessa opinione, il dialogo sarebbe borioso e superfluo. L’essere umano è, per essenza, portato a persuadere gli altri sulla verità che sente ardere dentro di sé: egli abbisogna del confronto dialogico autentico,

405

Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, Il maestro della scuola riformata, resoconto di un discorso tenuto a Firenze il 9 maggio 1926 per l’inaugurazione della Casa dei maestri toscani Roma

Mussolini, p. 305. 406 Ibi, p. 306. 407

Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, intervista a L’idea nazionale del 29 marzo 1923, p. 35 e ss.

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quello che parte da punti di vista discordanti e, attraverso l’ascolto reciproco, mira a trovare un punto d’incontro408

.

Così, nel 1926, Gentile potrà guardare con soddisfazione al passato, sapendo che il fascismo ha spodestato la Scuola della scienza, vile e rinunciataria, per sostituirvi la Scuola della verità, che accoglie integralmente l’anima del fanciullo – razionale, artistica e religiosa.

Vi è, tuttavia, un’altra ragione per cui è giusto restaurare l’IR nelle scuole elementari d’Italia: esso è una prosecuzione naturale della formazione infantile ricevuta nell’ambiente familiare, ed è una premessa indispensabile per un possibile futuro approfondimento degli studi. Educazione familiare, educazione religiosa ed educazione filosofica sono tre fasi di un unico processo che, dall’infanzia alla maturità, conduce l’uomo alla scoperta della vera realtà: lo Spirito. Semplificando potremmo dire che, nei primi anni di vita, il bambino individua nella madre un limite al suo egoismo: è lei la prima figura a ricevere un amore e un rispetto che trascenda l’ego dell’infante; inoltre, la mamma con i suoi ammonimenti è anche la prima portavoce di quella legge del dovere che l’uomo un giorno ritroverà in Dio, e successivamente in se stesso. Dall’elaborazione del capriccio frustrato, quindi, sorge in ogni civiltà il sentimento religioso: è un primo passo verso il concetto di spirito come unità, che oltrepassa e racchiude le singole anime individuali409.

Giunto alla scuola elementare il fanciullo comincia a sentir parlare di un Dio che sta nell’alto dei cieli: una divinità eterna e perfetta che incarna la legge morale a cui ogni uomo, mortale e imperfetto, dovrà sottomettersi per entrare nel regno divino. Nel fanciullo sarà instillata una fede, che egli serberà sempre nel cuore e che fungerà per tutta la vita da sprone ad avvicinarsi sempre di più all’Assoluto. La religione insegna, ancor più dell’educazione domestica, a porre dei limiti alle pretese della propria persona: ad amare il prossimo come se stessi e a sentirsi congiunti agli altri esseri umani come fossimo una cosa sola. Non solo, essa educa a oltrepassare tutto ciò che percepiamo con i sensi, che è soggetto al flusso del tempo e collocato nello spazio, per cogliere l’autentica realtà. Iniziamo a comprendere che ciò che abbiamo di più prezioso non è qualcosa di visibile e manipolabile, ma qualcosa che abita dentro di noi: quel Deus in interiore

homine di cui parlava Sant’Agostino.

408 Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, Il maestro della scuola riformata, pp. 304-305. 409

Giovanni Gentile, La riforma della scuola, L’educazione della famiglia, discorso tenuto al III Congresso nazionale delle Donne italiane il 4 maggio 1923, p. 62 e ss.

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«Il divino della religione è […] la parola che dal di dentro ammonisce e testimonia all’uomo la sua umanità più vera, la quale non è fatta di cose numerabili e utilizzabili, non vive nel tempo, non è sottoposta alla vicenda dei casi o al capriccio del sentimento individuale, ma ab aeterno guida ed incuora l’umanità»410.

Grazie a una formazione religiosa, quindi, si comincia a familiarizzare con quel concetto di spirito, il cui mistero solo la filosofia svelerà completamente.

Il passaggio alla speculazione filosofica, per chi avrà le capacità per compierlo, non sarà quindi un trauma: un salto nel vuoto dal mondo delle favole all’isola felice della verità. Al contrario, Gentile asserirà più volte che la filosofia non è la morte della religione, bensì una forma più razionale e sublime di religione; così nella scuola media si giunge, finalmente, ad affrontare l’assoluto senza i veli del mito. Tuttavia lo studente non potrebbe aver fede in questo principio unitario, che è al contempo trascendente e immanente al mondo empirico ed è fondamento di tutto l’essere e di tutto il bene, se non avesse prima sentito parlare del Dio-persona che crea in sette giorni il mondo, che sta al di là del finito ma veglia costantemente su di noi, che è padre amorevole e autorevole, e trasmette ai suoi figli i principi della morale. Senza un’educazione religiosa, quindi, non sarebbe mai aperto un varco verso una conoscenza filosofico-scientifica.

«Quella filosofia che io vorrei governasse la scuola dalla media in su […] quella filosofia veramente libera e liberatrice, se ha da criticare e liberare lo spirito religioso, ciò non potrà mai fare se questo spirito religioso non si sarà svegliato. Senza religione con i suoi miti e i suoi dommi non c’è mai stata filosofia»411

.

In conclusione, l’ultima ragione che supporta il reinserimento della religione tra le materie di studio per la scuola primaria, è il vantaggio che lo Stato ricava nel guidare un popolo educato secondo principi etici e religiosi. A parere di Gentile, infatti, lo Stato non è forma politica e burocratica del potere, ma è anzitutto Nazione, spirito che incarna e in sé riunisce le anime dei cittadini. Così la comunione tra tutti gli uomini che la religione promuove ben si sposa con l’esigenza statale di una cittadinanza compatta e solidale, pronta a sacrificarsi per un ideale che oltrepassi i singoli interessi: la Patria. Inoltre ogni nazione sceglierà di accogliere nelle proprie scuole quella confessione che più ha segnato la sua tradizione, così anche l’IR contribuirà a cementare la comunità nazionale attorno agli stessi valori identitari. Tuttavia in Italia, secondo i detrattori dell’insegnamento religioso, qualora questo venisse reintrodotto nei programmi scolastici e il suo contenuto

410 Giovanni Gentile, La riforma della scuola, L’insegnamento religioso, circolare del 5 gennaio 1924

rivolta ai Provveditori, agli Ispettori, ai Direttori e ai Maestri, p. 174.

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fosse stabilito dall’autorità ecclesiastica, tra Stato e Chiesa si creerebbe un conflitto di interessi, e la seconda tenterebbe di restaurare la propria autorità temporale corrodendo l’armonia statale dall’interno degli istituti educativi. Secondo Gentile questa concezione è inattuale: l’essenza dello Stato moderno è una libertà politica talmente radicata da contrastare qualsiasi forza provi a soverchiarla. Al contrario, lo Stato dovrà servirsi tanto della religione, quanto della filosofia e della scienza, per adempiere a uno tra i suoi fini fondamentali: la formazione dei cittadini; così, dal momento che esso riconosce l’importanza dell’IR come initium del percorso conoscitivo che conduce alla verità e al bene, è giusto che a esso sia concesso un posto all’interno della Scuola. Ciò non significa, continua Gentile, che lo Stato diventi confessionale: esso non abbraccia per natura una fede piuttosto che un’altra, ma sceglie di avallare quella reclamata dalla maggioranza del popolo; sarebbe illogico che aprisse una scuola per ogni religione professata sul suo territorio, favorendo in tal modo la divisione tra i cittadini. Mentre, se il popolo per lo più non dovesse desiderare un’educazione religiosa, lo Stato dovrebbe ugualmente imporla, dal momento che ne riconosce l’enorme valore pedagogico e «il fine di cultura e di moralità propria dello Stato deve prevalere sui pseudo fini dei privati»412.

Lo Stato laico, dal canto suo, possiede una sua religiosità intrinseca e non ha bisogno che alcuna Chiesa gliela trasmetta dall’esterno: è attività dello spirito che assume se stessa come fine, si divinizza413. È dunque indispensabile che ogni individuo dia il proprio contributo affinché lo Stato si realizzi come continuo superamento di se stesso. Se il popolo non avesse fede e non fosse disposto a sacrificarsi per il sacro ideale della Patria, ciò non sarebbe possibile.