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Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi

2. l’IRC nella Scuola elementare: fu una scelta politica?

Il primo dubbio da fugare è se la presenza dell’IRC nelle scuole italiane poggi su ragioni pedagogiche, morali, spirituali o si debba, invece, a un atto di mera convenienza politica. Un dubbio che potrebbe sorgere in chi conosca il momento storico in cui questa scelta fu fatta, la conquista del potere da parte del fascismo. Se si dimostrasse, infatti, che furono semplici motivazioni di tipo pratico a prevalere, in un periodo tanto buio per la storia d’Italia, la legittimità dell’ora di religione negli istituti scolastici comincerebbe a vacillare.

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A quel tempo, senza dubbio, Mussolini era intento a procacciare sostenitori al suo progetto di rinnovamento nazionale, e guardava con gola alla Chiesa cattolica, istituzione tanto influente sugli animi del popolo italiano. Così quando, nell’ottobre del 1922, il Duce fu costretto ad assemblare in pochi giorni il suo governo, tra i candidati al dicastero della Pubblica Istruzione selezionò Gentile. A molti parve una scelta ad hoc; il neopresidente del Consiglio, infatti, si era preventivamente assicurato che la volontà dei popolari di introdurre un esame di Stato coincidesse con gli intenti riformatori del filosofo, nonostante pochi giorni prima il Partito nazionale fascista si fosse radicalmente dichiarato contrario a una simile innovazione369. La nomina di Gentile, quindi, fu con ogni probabilità l’esito di un calcolo politico.

Ci si potrebbe chiedere allora: se non fosse salito al Ministero proprio l’idealista Giovanni Gentile, le scuole avrebbero continuato a rimanere prive di un insegnamento confessionale? Ritengo che la risposta sia negativa. Di fatto, l’avvicinamento tra Stato e Chiesa proseguì ben oltre il limite che il filosofo aveva auspicato: con il Concordato del ’29 tra “i due giganti d’Italia” si arrivò a un reciproco riconoscimento di sovranità e si estese l’IRC lungo tutto l’arco delle scuole secondarie, passo nettamente osteggiato da Gentile. È facile immaginare come il Duce, con o senza l’ausilio del Ministro idealista, avrebbe in qualsiasi caso introdotto il corso di Religione nelle scuole, per compiacere i popolari e il Papa, a cui chiedeva docile approvazione e astensionismo politico.

Non può considerarsi una risposta soddisfacente. Che la volontà di un solo uomo, per giunta animato da interessi pragmatici, abbia preteso l’IRC nelle aule scolastiche, non serve a tranquillizzarci sulla sua liceità. È opportuno ampliare la visuale sino a comprendere l’intera società italiana e capire se le persone, quelle culturalmente umili e quelle più istruite, le famiglie e i docenti, acclamassero o meno il ritorno di un insegnamento cattolico nelle scuole del Paese. Abbiamo già accennato alle numerose e instancabili proteste da parte di genitori e associazioni cattoliche, affinché i comuni garantissero un’educazione sulla Religione anche nelle scuole pubbliche. È indiscutibile che la gran parte degli italiani abbracciasse la fede cattolica, e una porzione non indifferente pretendesse un insegnamento confessionale per i propri figli370. Quale clima si respirava, invece, tra le fila degli insegnanti e dei parlamentari? Quegli insegnanti che, a voler fare un esempio, durante il VI Congresso della Fism del 1907, votarono quasi

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Cfr. cap. 8.

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all’unanimità l’ordine del giorno Trojano, a favore di una «perfetta laicizzazione delle scuole pubbliche di tutti i gradi». Dopo giorni di dibattito, infatti, si era convenuto che il contenuto appropriato a una seria istruzione statale fosse un sapere di tipo scientifico e dimostrativo, antitetico rispetto a quello «opinativo e fiduciario» della fede371. A grande maggioranza era stato approvato anche l’ordine del giorno Conti che richiedeva: «una netta separazione della Chiesa dallo Stato»; la sottomissione dell’istruzione in tutti i gradi al controllo statale; l’abolizione dell’IRC nelle scuole materne ed elementari, nei convitti e nei collegi femminili dello Stato; la laicizzazione di tutto il corpo insegnanti statale. L’orientamento è lampante: dal punto di vista culturale, lo spirito positivista che aveva signoreggiato nella seconda metà del XIX secolo esercitava ancora un fortissimo ascendente sugli intellettuali di inizio ‘900 - solo ciò che è sperimentabile e dimostrabile è degno d’esser insegnato, la Scuola è la dimora della scienza. Inoltre, da un punto di vista sociale e politico, la Chiesa cattolica era considerata l’abbindolatrice delle masse, con le sue favole che obnubilavano la forza della ragione, o l’anziana conservatrice che non si rassegnava al progresso dello spirito umano.

I parlamentari, dal conto loro, non erano stati meno rigidi nei confronti dell’istanza cattolico-religiosa. Se dalle scuole secondarie l’IRC era stato bandito già dal 1977- 1979372, dai programmi per le scuole primarie veniva sistematicamente esclusa, sin dalla legge Coppino del ’77, qualsiasi traccia di Religione, soppiantata da una formazione etico-civile di carattere laico. Risale al 1905 la revisione compiuta dal filosofo Francesco Orestano, secondo il quale la Scuola deve aver finalità pratiche e sociali, e impartire una morale compatibile con qualsiasi convinzione religiosa. Ed ancora nel 1910 l’IRC veniva respinto dai programmi per la V e per la VI elementare.

Ma la situazione rapidamente si trasformò, innanzi tutto in ambito politico: dal 1904 Papa Pio X ritirò il non expedit e acconsentì al graduale intervento dei cittadini cattolici negli affari pubblici. La Chiesa si rivelava una realtà meno claustrale di come fosse apparsa dopo la Breccia di Porta Pia, e lasciava intravvedere speranze di svecchiamento e interazione. Al contempo i liberali, inorriditi dalle prospettive vagheggiate dal partito socialista, cominciarono a guardare ai cattolici come i possibili interlocutori della loro azione politica. Ne discese il Patto Gentiloni del 1913, in base al quale alcuni deputati liberali si impegnarono a meglio tutelare, da un punto di vista giuridico, l’IRC e

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Giovanni Gentile, Educazione e scuola laica, Le lettere, Firenze 2003, pp. 331-332.

134 l’istruzione privata373

. Dalle stesse frange parlamentari da cui era stato propugnato il bando della Religione dalle scuole statali, ora si elargivano promesse di maggiori garanzie: è un chiaro segno di rinnovamento. Nel gennaio del 1919, inoltre, era sorto il Partito popolare italiano, le cui posizioni trovavano una certa risonanza sia nelle Camere, che tra la popolazione; questo partito si era apertamente schierato, sin dal ’21, per una restaurazione dell’insegnamento religioso nella scuola primaria, oltre che per l’introduzione dell’esame di Stato parificante tutti gli istituti scolastici della Nazione374

. Non solo, da parte di alcuni dei pensatori più eminenti del tempo era stato intrapreso un processo d’accusa contro il sistema culturale e scolastico instaurato dal positivismo italiano. Erano determinati a erodere dalle fondamenta il modello di istruzione glaciale e amorfa che aveva tiranneggiato nei licei italiani per quasi mezzo secolo, quella «spiritualità a pezzettini […] da cui la religione era stata scacciata, e in cui la filosofia non riusciva a spuntare»375. La giovane scuola idealista, che oltre a Gentile include i brillanti nomi di Benedetto Croce e Giuseppe Lombardo Radice, era in prima linea nella battaglia contro quello che ritenevano l’insipido nozionismo dei positivisti, anelando a un ripensamento radicale della Scuola, capace di ridarle profondità intellettuale e spirituale. Mi è sembrato necessario ricreare, per sommi capi, la temperie politica, culturale e sociale sul tema della Religione nelle scuole, maturata prima che la riforma gentiliana trovasse terreno fertile per la sua attuazione. È fondamentale appurare che essa non sia stata frutto dell’arbitrio di un solo uomo, una volontà particolare ed egoistica in netto contrasto con le tendenze maggioritarie del Paese. Ritengo che, alla luce di quanto esposto, questo timore possa essere dissipato e che la società italiana fosse pronta per rivalutare le precedenti prese di posizione sull’IRC. «Nella vecchia Italia […] c’erano già tante belle idee; si può dire che ci fossero tutte le idee che oggi attuiamo», avrebbe asserito Gentile durante un discorso tenuto a Firenze il 19 maggio 1926376.

Affermare che non fu la decisione di un singolo, tuttavia, non equivale a sostenere che la reintroduzione dell’ora di religione non sia stata problematica e che essa venne accolta entusiasticamente dalla parte rilevante della popolazione italiana. Non fu così; i decreti che costituiscono il corpo della riforma di Gentile furono subissati di polemiche, accuse che perseguitarono Gentile fino agli ultimi anni della sua vita.

373 Cfr. par. 1.7. 374 Cfr. par. 1.8.

375 Giovanni Gentile, Educazione e scuola laica, p. 88. 376

Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, Il maestro della scuola riformata, p. 295. Si tratta di un discorso pronunciato per l’inaugurazione della Casa dei maestri toscani Rosa Mussolini.

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La questione posta nel titolo, tuttavia, non ha ancora trovato completa soluzione. Si chiedeva: fu una scelta politica? Da parte del Capo del Governo sì, lo fu senz’altro. Ma per quanto riguarda il ministro Gentile? Tra le innumerevoli recriminazioni che gli piovvero contro, infatti, fu spesso presente quella di aver agito per mero opportunismo, con l’intento di avocare a se stesso e al regime fascista l’appoggio del Partito popolare in Parlamento, della gerarchia ecclesiastica e dei cittadini cattolici nella società. La prova che Gentile adduce per scagionarsi da queste calunnie è sempre la medesima: rinvia alle parole pronunciate al VI Convegno della Fism nel 1907377. Datare la sua posizione favorevole all’IRC a una quindicina d’anni prima della riforma risponde all’esigenza di dimostrare che Gentile credeva profondamente nell’importanza di un’educazione religiosa nella scuola popolare, tanto che aveva professato la sua tesi sin da tempi insospettabili. L’aveva proclamata a gran voce anche quando il clima culturale gli era completamente avverso, persino dinnanzi a un uditorio di orientamento schiettamente agnostico che interruppe spesso il suo discorso con segni di dissenso.