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Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi

9. Perché non insegnare Religione a Scuola

Dopo quanto esposto nei capitoli precedenti, attorno alle idee di religione e di cultura presenti nella riflessione di Gramsci, non sarà difficile motivare la sua ostilità nei confronti dell’IRC.

Si consideri quello che rimase costantemente il fine di tutto il suo percorso politico- filosofico: abolire il vigente sistema sociale, economico e politico – posto in essere dal capitalismo e dallo Stato liberale –, poiché visceralmente permeato da sperequazioni e angherie ai danni delle classi subalterne. In sua vece, Gramsci puntava all’instaurazione di uno Stato autenticamente egualitario, la cui direzione fosse affidata alla maggioranza della popolazione – rappresentata nel Partito.

A suo parere, l’unico mezzo possibile per stravolgere i rapporti di forza allora dominanti, era la rivoluzione proletaria: una guerra disputata con le idee e con le armi,

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che non avrebbe potuto aver successo se non fosse stata condivisa e combattuta dalle masse popolari. Al Partito «moderno principe» spettava allora il compito di preparare il terreno all’atto rivoluzionario: da un lato proseguendo la lotta di classe sul fronte economico – si leggano in tal senso scioperi e rivendicazioni sindacali –; dall’altro diffondendo una riforma intellettuale e morale tra gli strati più umili e svantaggiati della popolazione.

Posta questa premessa, si comprende immediatamente quanto conti per Gramsci la formazione culturale ed etica dei cittadini; dal momento che «si “è” solo quando “si conosce” […]: un operaio “è” proletario quando “sa” di essere tale e opera e pensa secondo questo suo “sapere”»468. In altre parole, senza un’adeguata educazione, nessuno diverrebbe consapevole della propria condizione e potrebbe tentare di cambiarla qualora fosse ingiusta. E la Scuola è considerata l’ambiente educativo per eccellenza, nonché uno dei più potenti organismi atti a generare consenso attorno a una determinata ideologia.

«L’uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura. […] Ciò vuol dire che ogni rivoluzione è stata preceduta da un intenso lavoro di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee»469.

Si è già ricordato anche come Gramsci adottasse, in materia di cultura, una posizione totalmente divergente rispetto a Gentile: il primo, infatti, considerava ogni individuo perfettamente capace di elevarsi fino alle cime della filosofia, non essendo questa un sapere settario a cui solo pochi eletti potevano accedere. Anzi, egli si spingerà sino a dire che ogni uomo è spontaneamente un filosofo, ossia custodisce una propria concezione del mondo, corrispondente a quella del gruppo sociale in cui si trova immerso o in cui sceglie di immergersi470. Se ogni individuo ha la stessa possibilità di accrescimento culturale, dunque, perde di senso la distinzione tra un sapere a misura di popolino e un sapere a misura di intellettuale, e diventa illogica la ripartizione della Scuola in due aree: la primaria dominata dall’insegnamento religioso e la secondaria permeata dalla filosofia. È questa la prima ragione per la quale Gramsci rifiuta tassativamente la presenza dell’IRC nella Scuola dell’infanzia: i bambini non abbisognano di favole, ma sono

468 Antonio Gramsci, Scritti Giovanili, Misteri della cultura e della poesia, 19 ottobre 1918, p. 328.

Gramsci afferma che il marxismo condivide con l’idealismo questo assunto: che l’essere e il conoscere sono lo stesso.

469 Antonio Gramsci, Scritti Giovanili, Socialismo e cultura, 14 febbraio 1916, p. 24.

470 Gramsci tratta di questo tema in Quaderni, II – 12, pp. 1375-1376, e afferma che, pur essendo noi tutti

conformisti – giacché partecipiamo a un’ideologia condivisa e mai individuale –, esiste una differenza fondamentale tra chi accetta passivamente una filosofia imposta dall’esterno e chi sceglie la propria, esercitando liberamente il proprio giudizio critico.

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anch’essi avidi di verità. Il nostro autore rimprovererà severamente gli idealisti italiani –

in primis Croce e Gentile – perché, annebbiati dal loro concetto elitario di cultura, non

hanno elaborato un degno surrogato della filosofia per la Scuola elementare, lasciando campo libero al “mito” religioso.

«Dalle filosofie immanentistiche non è stato nemmeno tentato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione nell’educazione infantile, quindi il sofisma pseudo-storicistico per cui pedagogisti areligiosi (aconfessionali), e in realtà atei, concedono l’insegnamento della religione perché la religione è la filosofia dell’infanzia dell’umanità»471

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La dannosa conseguenza di un simile impianto educativo è, secondo il nostro filosofo, quella di creare uno iato incolmabile tra massa e intellettuali, precludendo così la possibilità di qualsiasi dialogo o azione congiunta. Ogni religione e ogni filosofia per trasformarsi in prassi e informare di sé l’intera società civile, invece, hanno bisogno di questa unità ideologica tra “alto” e “basso”. È naturale che esista un’avanguardia intellettuale, ma essa dovrà essere organica alla moltitudine, se vuole che le proprie idee “si storicizzino” e portino un cambiamento nel mondo: le menti più brillanti si faranno interpreti dei bisogni e delle aspirazioni delle masse, mentre queste riconosceranno nelle prime una guida spirituale e politica. Il comunismo, quindi, ambisce a realizzare questa prossimità tra intellettuali e masse popolari sulla base di una comunanza di principi etici e filosofici; diversamente, la Chiesa cattolica, nel corso della storia, ha mantenuto una apprezzabile omogeneità dottrinale tramite una “disciplina di ferro”.

«Il processo di sviluppo è legato a una dialettica intellettuali-massa; lo strato degli intellettuali si sviluppa quantitativamente e qualitativamente, ma ogni sbalzo verso una nuova “ampiezza” e complessità dello strato degli intellettuali è legato a un movimento analogo nella massa di semplici, che si innalza verso livelli superiori di cultura e allarga simultaneamente la sua cerchia di influenza»472.

Gramsci, pertanto, riteneva opportuno che la filosofia della prassi fosse instillata, sin da subito, nelle menti dei giovani studenti, le quali non avrebbero dovuto avere a che fare, al contrario, con un insegnamento di tipo religioso. Questo poteva sortire solamente l’effetto di confonderli e di allontanarli da un’autentica e razionale comprensione del reale.

È evidente come, nella visione gramsciana, la Religione risulti inadeguata a svolgere la funzione di philosophia inferior, dal momento che essa rappresenta una concezione

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Antonio Gramsci, Quaderni, II – 12, p. 1381.

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spirituale antitetica rispetto al comunismo. Il cattolicesimo, infatti, ripone in un Dio trascendente la fonte dell’essere e della verità, mentre nega valore duraturo a ciò che è contingente e terreno. Il pensiero socialista, al contrario, ripudia qualsiasi a-priori metafisico e individua nel divenire storico l’unica fonte dell’esistenza, nonché il solo criterio per discernere il vero dal falso. A due ideologie così divergenti, corrispondono due etiche altrettanto incompatibili: se la morale cristiana educa l’uomo a rimanere inerte durante questa vita transeunte e a chinare il capo davanti all’onnipotente volontà divina (oppio del popolo); quella comunista pone al centro l’uomo e il suo volere, esortandolo ad agire concretamente nella società e ad assumersi la responsabilità di ciò che compie (risveglio del popolo).

«La coscienza religiosa è tutta materiata di queste impressioni crepuscolari, di questo vago riecheggiare di ricordi lontani, che rendono morbido il cervello, che spappolano la coscienza o la staccano dalla terra per dei vagabondaggi sublunari in un cullamento perpetuo della propria inerzia, con la abdicazione della propria volontà nelle mani della Onnipossenza e dei suoi ministri in terra»473.

Ed ancora, il cattolicesimo porta a considerarsi come individui isolati, ciascuno in dialogo con Dio nell’intimo della propria coscienza; il comunismo incoraggia, invece, la coalizione di classe, che deve sfociare in una pressione energica e travolgente sulle istituzioni vigenti. Il primo è teologia, il secondo umanesimo: due fedi totalizzanti che inevitabilmente si escludono a vicenda.

«Il socialismo è precisamente la religione che deve ammazzare il cristianesimo. Religione nel senso che è anch’essa fede, che ha i suoi mistici e i suoi pratici; religione perché ha sostituito nelle coscienze al Dio trascendentale dei cattolici la fiducia nell’uomo e nelle sue energie migliori come unica realtà spirituale»474

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Presentato come disciplina menzognera e deresponsabilizzante, l’IRC è una presenza estremamente pericolosa all’interno della Scuola statale, soprattutto ai livelli in cui il fascismo ha voluto riabilitarlo: l’istruzione primaria e secondaria. Gli studenti, infatti, in così tenera età, si prestano facilmente a essere manipolati, e la forma mentis che ricevono durante i primi anni di studio, è difficile da rimodellare una volta cresciuti. Sono proprio questi bambini che un giorno costituiranno la forza più conservativa e reazionaria contro qualsiasi tentativo di progresso sociale e politico.

Se la Scuola statale vuole essere, al contrario, un’istituzione moderna, erede del processo di rinnovamento che, passando per la riforma protestante e le rivoluzioni

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Antonio Gramsci, Sotto la mole, L’appello ai pargoli, 31 luglio 1916, p. 212.

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borghesi (in primis quella francese), giunge fino alla formazione o al rafforzamento delle potenze nazionali, dovrà assorbire l’ideologia comunista. Quest’ultima infatti rappresenta il progresso e apre la strada a un promettente avvenire; a differenza dell’anacronismo peculiare dell’ “ideologia cattolica”, che ha ormai fatto il suo tempo e la cui salvaguardia non può che essere un elemento regressivo per il Paese.

L’ultima ragione, rintracciabile negli scritti gramsciani, avversa alla presenza della religione cattolica nelle scuole, è la convinzione che la Chiesa possa riuscire così a monopolizzare il settore educativo e, di conseguenza, a recuperare l’egemonia ideologica – e a breve anche politica – sui cittadini italiani. L’autore argomenta dicendo che molte persone non hanno la disponibilità economica per continuare gli studi oltre la Scuola media, e potranno pertanto ricevere solamente un’istruzione contaminata dalla confessione cattolica. Inoltre, anche chi riesca a spingersi sino all’Università sarebbe già stato abbondantemente condizionato, nella sua lettura della vita, dalla Religione; cosicché smantellarne i pregiudizi diventa un compito davvero faticoso. Infine, non si dimentichi che le Università cattoliche sono ben organizzate e fiorenti, e non stupirebbe la scelta di chi, per coerenza con i primi anni di studio, scegliesse queste al posto di un’istituzione statale. Come è facile prevedere, la Chiesa ha colonizzato quasi l’intero settore educativo e, con poche mosse, riuscirà a convertire lo Stato laico in una teocrazia.

Vorrei concludere dicendo che la critica gramsciana contro la religione si scaglia contro ogni sorta di confessione religiosa; anzi, molti dei suoi punti sono applicabili – secondo l’autore – contro qualsiasi ideologia metafisica o immanentistica che postuli l’esistenza di categorie a-priori: tra esse rientra, ad esempio, la nozione di Spirito assoluto che è il fulcro dell’idealismo gentiliano. La ragione per la quale Gramsci si concentra proprio sull’erosione del cattolicesimo non è altro che una motivazione storica e pratica: questa è la confessione più diffusa in Italia e rappresenta l’avversario più ostinato contro l’attecchimento del socialismo. A onor del vero, però, negli scritti di Gramsci si riconosce la differenza tra il credo protestante-calvinista e il credo cattolico; come abbiamo visto, il primo incarna più del secondo l’istanza del progresso, grazie allo spirito di iniziativa e ai rapporti democratici che promuove nella società.