Parte II – Insegnare religione a scuola: opportunità e rischi
9. Chiesa e Religione nel pensiero di Gramsci
9.3 Chiesa e Religione negli anni della lotta al fascismo
Negli anni che vanno dalla fondazione del Partito comunista d’Italia (21 gennaio 1921) all’incarcerazione (8 novembre 1926), Gramsci ritorna gradualmente a un atteggiamento di totale ostilità nei confronti della Chiesa Cattolica. In questo periodo, infatti, il filosofo passerà dalla convinzione che, di lì a poco, i comunisti avrebbero ottenuto il controllo sulle istituzioni statali, alla costatazione che il regime fascista si era imposto sulla scena politica italiana, sabotando il contributo degli altri schieramenti. Anche se in lui la speranza di una rivoluzione proletaria non si spegnerà mai del tutto, fu costretto a riconvertire il suo progetto a breve termine in un disegno a lungo termine. La situazione, già compromessa dal dispotismo fascista, gli sembrerà aggravarsi proprio a causa del ruolo giocato dalle istituzioni ecclesiastiche: fascisti e clericali, infatti, si avvicineranno sempre più, fino a stipulare un’alleanza, ufficializzata nel Concordato del 1929. Entrambi gli schieramenti avevano il proprio tornaconto: il Regime si garantiva il consenso delle masse cattoliche, neutralizzando l’opposizione di gran parte del popolo italiano; il Papato otteneva importanti privilegi, tra i quali il riconoscimento dell’egemonia spirituale e culturale tra i cittadini.
Ma andiamo per ordine. Già in un articolo del 5 gennaio 1921457 Gramsci profetizza la crisi del Partito popolare: questo, sorto per rispondere ai bisogni dei ceti rurali, si lasciava sempre più manovrare dagli industriali, trasformandosi in un partito conservatore. Così il filosofo avocherà al Partito comunista il compito di risolvere le problematiche più scottanti anche per il mondo agricolo; in particolare, egli auspicava una saldatura tra operai del Nord e contadini del Sud, così da costituire un unico blocco sociale con fini rivoluzionari.
456 Antonio Gramsci, Sotto la mole, Socialisti e cristiani, 26 agosto 1920, p 495. 457
Antonio Gramsci, Crisi dei popolari?, 5 gennaio 1921, in Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo 1921-
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Al III Congresso del Pcd’I, tenutosi a Lione nel gennaio del 1926, Gramsci aveva propugnato un atteggiamento più rigido, rispetto al passato, nei confronti dei contadini cattolici: bisognava aiutarli a comprendere le origini sociali di tutti i conflitti sorti in ambito religioso – la guerra di religione diventa guerra di classe – , e non favorire in alcun modo «soluzioni religiose dei conflitti di classe»458. Inoltre, il Partito avrebbe dovuto convogliare le proprie energie belliche non solo contro capitalisti e borghesi, ma anche contro il prestigio del Vaticano, considerato il maggiore ostacolo all’alleanza tra ceto rurale e ceto proletario. Dal momento che gli umili agricoltori sono sempre stati considerati dalla Chiesa un «esercito di riserva della reazione», premessa indispensabile alla rivoluzione comunista sarà «la distruzione della influenza del Vaticano sui contadini dell'Italia centrale e settentrionale in particolar modo»459.
Negli anni del carcere, si conclude in modo irreversibile il passaggio da una strategia di compromesso con le forze cattoliche, alla tattica della lotta frontale e annientatrice. Nelle analisi compiute da Gramsci in quegli anni si alternano motivi di ammirazione a motivi di critica nei confronti dell’apparato ideologico e istituzionale della Chiesa. Il filosofo riconosce nel «Papa come capo e guida della maggioranza dei contadini italiani e delle donne, […] la più grande forza politica del paese, dopo il Governo»460
. La robustezza del cattolicesimo in Italia, dipende da un lato dalla sua vastissima ed efficiente organizzazione; dall’altro dalla sua “elasticità” ideologica: esso si è dimostrato capace, nel tempo, di sopravvivere a diversi momenti di crisi. I movimenti ereticali, infatti, per quanto testimonino una rottura dell’unità concettuale, non si sono mai spinti al punto di una definitiva lacerazione. La Chiesa ha saputo ricucire le ferite apertesi nel proprio ventre esercitando una rigida disciplina nei confronti degli intellettuali, e servendosi ora di Ordini mendicanti ora dei Gesuiti per tenersi stretta la popolazione. Essa costituisce quindi, sotto un certo rispetto, un modello per il Partito, che ambisce anch’esso a conquistare l’appoggio della gran parte degli italiani. Ad esempio, per riuscire a penetrare negli strati più modesti della società, i comunisti dovranno rifarsi al metodo clericale:
458 Antonio Gramsci, Cinque anni di vita del Partito, relazione che sintetizza le decisioni prese al III
Congresso del Pcd’I, svoltosi a Lione il 20-26 gennaio 1926. Il testo, da cui è tratta la citazione, fu pubblicato per la prima volta su L’Unità, il 24 febbraio 1926.
Cfr. http://www.nuovopci.it/classic/gramsci/cinque.html.
459 Citazione tratta dall’intervento di Gramsci alla Commissione Politica del Congresso di Lione, pubblicato
nel L’Unità, il 24 febbraio 1926.
Cfr.http://xoomer.virgilio.it/primomaggiointernazionalista/testi/altricomunisti/gramsci/intervento_nella_co mmissione_politica.htm.
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quello di ripetere instancabilmente i principi basilari della loro ideologia, giacché «la ripetizione è il metodo didattico più efficace per operare sulla mentalità popolare»461, e quello di formare élites di intellettuali «che sorgano direttamente dalla massa, pur rimanendo a contatto con essa per diventare le “stecche” del busto»462
. Proprio questo legame tra luminari e “semplici”, che – pur nella diversità di prospettiva – rimangono all’interno della stessa concezione morale e intellettuale, rappresenta un fattore essenziale al successo del comunismo.
Non mancano tuttavia gli argomenti che motivano una feroce critica all’ordinamento ecclesiastico e cattolico: primo tra tutti, il fatto che esso abbia impedito a lungo che l’Italia assurgesse a nazione unitaria. Infatti lo Stato pontificio, per non perdere il suo dominio territoriale e temporale, ha sempre cercato di conferire un carattere universale – e non patriottico – alle idee dei più illuminati, e di tenere le folle distanti da aneliti di unificazione nazionale. Questo si è verificato sia nell’epoca umanistica, sia in quella rinascimentale, che viceversa sono stati momenti di grande sviluppo e rafforzamento per gli altri Stati europei. E in età risorgimentale, il Papa ha tentato di impedire, con mezzi ideologici, politici e militari, che si portasse a compimento l’Unità d’Italia.
Ai rimproveri rivolti al passato, si aggiungono quelli che attengono al presente: Gramsci rinfaccia ai cattolici l’assoluta incoerenza tra i principi spirituali cui dichiarano fedeltà e l’etica sottesa al loro comportamento concreto. Infatti, se il Dio cristiano comanda sopportazione delle sventure terrene e martirio, in vista di una beatitudine celeste, gli autentici credenti non dovrebbero affannarsi nel mondo materiale per imporre attivamente il proprio pensiero, né avanzare rivendicazioni attraverso organizzazioni e partiti d’ispirazione religiosa. In questa pretesa di passiva rassegnazione, il cattolicesimo rivela la sua assurdità e la sua inattuabilità, in un’epoca in cui le masse si stanno risvegliando e vogliono veder garantiti i propri diritti: ne deriva che tra la teoria e la prassi dei fedeli ci sia patente contraddizione.
«Tutti hanno la vaga intuizione che facendo del cattolicismo una norma di vita sbagliano, tanto vero che nessuno si attiene al cattolicismo come norma di vita, pur dichiarandosi cattolico. Un cattolico integrale, che cioè applicasse in ogni atto della vita le norme cattoliche, sembrerebbe un mostro, ciò che è, a pensarci, la critica più rigorosa del cattolicismo stesso e la più perentoria»463.
461 Antonio Gramsci, Quaderni, II – 12, p. 1392. 462
Ibidem.
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La condanna definitiva arriva con la firma dei Patti Lateranensi: tramite questo accordo definito “internazionale”, lo Stato, involontariamente, abdica alla sua egemonia sul popolo italiano, consegnandola nelle mani della Chiesa cattolica. Infatti, a parere di Gramsci, non si tratta del riconoscimento reciproco tra due sovranità indipendenti, giacché i cittadini su cui eserciterebbero il loro dominio sono i medesimi: «ecco in che consiste la capitolazione dello Stato, […] di fatto esso accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui praticamente riconosce la superiorità»464. Il Governo italiano, nel ricercare il sostegno dell’autorità ecclesiastica «così come una stampella sostiene un invalido»465
, ammette implicitamente la propria incapacità nel procacciarsi autonomamente il consenso dei cittadini. Lo Stato perde così la sua essenza laica e moderna, gettando la Nazione in una grave fase di regresso.
Irrecuperabile sarà, a quel punto, l’avversione gramsciana, che si troverà dinnanzi un nemico dalla doppia anima – capitalista e cattolica. La Chiesa è diventata ai suoi occhi una creatura mostruosa, assetata di potere, che potrà esser sconfitta solo con l’arma della guerra. Non è più sufficiente screditarla su un piano ideologico – esplicitando l’inattualità e la falsità del suo messaggio –, bisognerà invece contrastarla con una violenta reazione pratico-politica, privandola del consenso sociale e della legittimazione statale. Filosofia e prassi si saldano così indissolubilmente, tanto che l’una sarebbe inefficace senza l’altra.
«La Chiesa è uno Shylok anche più implacabile dello Shylok shakespeariano: essa vorrà la sua libbra di carne anche a costo di dissanguare la sua vittima e con tenacia, mutando continuamente i suoi metodi, tenderà a raggiungere il suo programma massimo. […] La Chiesa non può essere ridotta alla sua forza “normale” con la confutazione in sede filosofica dei suoi postulati teorici e con le affermazioni platoniche di una autonomia statale (che non sia militante): ma solo con l’azione pratica quotidiana, con l’esaltazione delle forze umane creatrici in tutta l’area sociale»466.
Contro la potenza delle istituzioni ecclesiastiche dovrà sorgere quello che Gramsci chiama il “Partito moderno principe”, incarnazione della Weltaschauung proletaria. Si tratta di un organismo socialmente attivo e sapientemente organizzato, atto a fronteggiare, da una posizione di parità, il potentissimo e capillare radicamento cattolico. Il Partito dovrà formulare i principi di una nuova morale integralmente laica e una nuova concezione a-tea del mondo, e dovrà saperli diffondere tra le masse nazionali,
464 Antonio Gramsci, Quaderni 16 – 11, p. 1867. 465
Ibidem.
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debellandovi ogni sedimento di cattolicesimo. Il compito del riformatore – etico e intellettuale – spetta dunque non a un ministro o a una personalità eminente, ma a un corpo collettivo, seppur ristretto e particolarmente emancipato dal punto di vista filosofico. Questo “moderno Principe”, dovendo sostituirsi alla divinità confessionale nelle coscienze degli italiani, si trasmuterà in una sorta di Dio laico: divenendo legge a se stesso e l’unico punto di riferimento normativo per i suoi adepti.
«Il moderno Principe, sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume»467.
Si è cercato di mostrare come il pensiero di Gramsci, nei confronti della Chiesa cattolica e della religione da essa rappresentata, si sia declinato in modo differente lungo l’arco della sua vita, adattandosi – di volta in volta – alla mutata temperie sociale e politica. E tuttavia le convinzioni di base sono rimaste ferme: il cattolicesimo resta una dottrina involutiva e scorretta sull’uomo e sulla vita. Da questo assioma gramsciano discende, inevitabilmente, la radicale avversione a un insegnamento religioso nelle scuole italiane, in qualsiasi forma e a qualsiasi livello esso fosse proposto.