• Non ci sono risultati.

Parte III – Conclusioni

1. Una formazione democratica

Dopo aver considerato – nella prima parte di questo lavoro – l’iter storico-giuridico percorso dall’IRC dall’unità d’Italia a oggi, e dopo aver passato in rassegna – nella seconda parte – le ragioni a favore e le ragioni contro l’insegnamento scolastico di Religione, così come presentate nella riflessione filosofica di Giovanni Gentile e Antonio Gramsci, voglio cercare di proporre una soluzione attuale alla questione.

Mi accingo quindi a metter in luce quali siano – nel discorso gentiliano e gramsciano – gli spunti validi ancora oggi, che non possono essere trascurati se si vuol dare una risposta esauriente alla domanda sull’opportunità e la legittimità dell’IRC nelle scuole italiane odierne.

Come abbiamo potuto constatare, Gentile propugnò il reinserimento della religione cattolica nei programmi per la Scuola elementare. Tra le diverse motivazioni che egli addusse a sostegno della sua tesi, ci sono – a mio avviso – due indicazioni che meritano di essere approfondite. Per semplificare potrei chiamarle: la ragione etico-spirituale e la ragione storico-culturale.

Egli riteneva, infatti, che ai fanciulli fosse necessaria un’educazione di intonazione morale e che essa derivasse – in prima istanza – da una formazione di tipo religioso. In secondo luogo, affermava che lo studio dei precetti e dello sviluppo storico del cattolicesimo, fosse una base indispensabile per comprendere gran parte della storia e della cultura del nostro Paese.

Sono pienamente d’accordo sul fatto che la Scuola non debba pensare a nutrire solamente l’Intelletto, ma che la dimensione spirituale e morale dell’individuo sia degna di altrettanto rilievo e necessiti di essere educata. Una formazione esclusivamente letteraria, scientifica, tecnica risulterebbe carente, se non fosse integrata dalla discussione attorno ai principi etici e civili dell’agire e alle radicali domande di senso che insorgono spontaneamente nell’animo umano. Né voglio mettere in dubbio la capacità della religione cattolica di rispondere in modo persuasivo a entrambe queste esigenze.

Tuttavia, non ritengo che – all’interno della Scuola – il punto di vista cattolico debba essere l’unico a occuparsi dei bisogni morali, civili e spirituali degli studenti. Innanzi tutto perché una riflessione completa in materia non dovrebbe esaurirsi nella trattazione di

189

un’unica prospettiva; ma, al contrario, partendo da una pluralità di orizzonti, dovrebbe cercare punti di incontro condivisibili da tutti i partecipanti. In secondo luogo perché, se affidiamo la riflessione morale e spirituale a un insegnamento scolastico confessionale, precludiamo agli allievi che scelgono di esentarsi dall’IRC – in nome della sua impostazione religiosamente schierata – la possibilità di coltivare anche la loro dimensione interiore e relazionale.

Sono anche d’accordo sul fatto che larga parte del nostro patrimonio artistico e letterario e del nostro passato storico-politico ci rimarrebbe muta, se non possedessimo una nitida conoscenza sui dogmi e sulle vicende storiche del cristianesimo e del cattolicesimo. Non c’è alcun dubbio che l’Italia sia un paese anche di tradizione cattolica – come è, ad esempio, di tradizione latina e in parte greca –, e che questa religione abbia fortemente influenzato la cultura e la storia nazionale. Anche sotto questo secondo rispetto, tuttavia, una preparazione sui contenuti del credo cristiano-cattolico e sulle vicende della Chiesa mi sembra raccomandabile per la totalità degli studenti. E, nuovamente, se questo tipo di istruzione fosse affidata esclusivamente all’ora di religione, per i non avvalentisi dell’ora di Relgione l’offerta formativa risulterebbe incompleta. Inconsistente, invece, ritengo possa dirsi l’argomento che considera la fede della maggioranza degli italiani una ragion sufficiente per introdurre l’IRC nelle scuole. In una democrazia che meriti di chiamarsi tale, infatti, il criterio della maggioranza non può che essere un metodo pratico da applicarsi in determinati contesti – l’approvazione di una legge, l’elezione di un presidente, etc. –, pena l’impossibilità di agire e di destreggiarsi in ambito politico, economico e giuridico. E tuttavia, l’autentica democrazia non soddisfa solo le prerogative della maggioranza, ma deve garantire i medesimi diritti all’intero corpo civico. Sulla scorta della riflessione crociana del ’23, vorrei ribadire che le minoranze, all’interno di uno stato democratico, devono avere un peso e devono trovare ascolto e protezione. Così la Scuola non può accontentarsi di offrire una formazione a tutto tondo solamente ai più; né può porsi l’obiettivo di trasmettere una specifica fede religiosa, senza fare un torto a una parte (anche piccola) della popolazione.

Da respingere ritengo anche la volontà gramsciana di espungere l’IRC dagli istituti scolastici in quanto disciplina erronea e menzognera. La verità, soprattutto in ambito morale-spirituale-religioso, non abita in un unico tempio e non si esprime attraverso una sola voce; al contrario, essa emerge dal dialogo – da un confronto al plurale –, che non si cristallizza mai in una forma definita una volta per tutte. Il tentativo compiuto da Gramsci

190

di azzerare l’influsso religioso in nome della verità comunista, precipita nel rischio di attribuire i caratteri del divino a un solo pensiero umano, innalzandolo ad autorità assoluta: è la morte della democrazia.

Dalle considerazioni emerse, quindi, concludo dicendo che l’insegnamento scolastico di religione non vada affatto abolito, se non si vuole miseramente compromettere la qualità e lo spessore dell’educazione offerta nelle scuole italiane; bensì vada reso obbligatorio per tutti gli studenti, dopo esser stato opportunamente reindirizzato. Inaccettabile, all’interno di un istituto statale, è che l’IRC diventi indottrinamento cattolico; esistono luoghi diversi dove il figlio del credente può essere introdotto alla fede cristiana: il catechismo, la Chiesa, la parrocchia, la famiglia. Essenziale, al contrario, è che lo Stato curi la formazione morale e civile di tutti i suoi cittadini e fornisca a ciascuno gli stessi mezzi per comprendere a fondo la cultura e la storia nazionali.