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Alcuni rilievi critici circa l’efficienza della clausola: un revirement rigoristico e la prospettazione di una soluzione alternativa.

LA CLAUSOLA DEI VANTAGGI COMPENSATIVI.

2. Compensazione tra vantaggi e pregiudizi: i passi «incerti» della giurisprudenza italiana.

2.3. Alcuni rilievi critici circa l’efficienza della clausola: un revirement rigoristico e la prospettazione di una soluzione alternativa.

La teoria dei vantaggi compensativi si presenta, o almeno viene presentata dai suoi fautori, come il necessario punto di equilibrio per garantire ampi margini operativi alle politiche di gruppo senza rinunciare ad un’adeguata tutela dei soggetti deboli. In tal modo, si sostiene, il sistema raggiunge la massima efficienza.

Tuttavia, è proprio sul terreno dell’efficienza che sono state mosse le più accese critiche all’intera impostazione: le riserve si incentrano non tanto sulla capacità della formula di offrire un adeguato ristoro agli interessi pregiudicati, quanto, piuttosto, sulla stessa possibilità che, per tale via, si possa ottenere un sistema complessivamente efficiente480. Il problema viene individuato – conformemente a quanto già sostenuto dai fautori del filone «elastico» – nella costante conflittualità tra esigenze allocative ed esigenze redistributive. Non si condivide l’opinione secondo la quale, anche in questo settore, un maggiore benessere vada ricercato nel passaggio dalla teoria di Pareto a quella di Kaldor-Hicks481.

Si sostiene482 che lo schema, applicato al fenomeno dei gruppi di società, comporta il rischio di qualificare come efficienti, e di conseguenza leciti, tutti gli atti che, pur arrecando svantaggi ad una società del gruppo, consentono di avvantaggiare altre società dello stesso in misura tale da compensare la società svantaggiata e ravvisare comunque una convenienza per l’operazione.

480 In questi termini si esprimono F. D

ENOZZA, Rules vs Standard nella disciplina dei gruppi: l'inefficienza delle compensazioni «virtuali», cit., p. 327 ss; L.ENRIQUES,Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli azionisti esterni: appunti per un'analisi economica, cit., p. 698 ss. In particolare il primo autore evidenzia come «le ragioni che militano in favore del riconoscimento delle politiche di gruppo non sono di tipo equitativo, ma di tipo efficientistico» e individua la ragione di una siffatta impostazione nell’impossibilità di dimostrare l’equità di una politica decisa dalla holding alla quale tutte le componenti si devono attenere pur non avendo partecipato al procedimento deliberativo; riconosce maggiori margini argomentativi per sostenere l’efficienza.

481 Nell’impostazione paretiana, infatti, un cambiamento può essere considerato efficiente solo quando

esista almeno un soggetto avvantaggiato dal cambiamento stesso e nessun soggetto svantaggiato. Nell’impostazione che si richiama a Kaldor-Hicks, invece, si riconoscono come miglioramenti tutti i cambiamenti che, pur danneggiando un certo soggetto, arrecano ad un altro un vantaggio tale da consentirgli di compensare il danneggiato, e di trovarsi, tuttavia, in una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il cambiamento non fosse intervenuto. Così F.DENOZZA,Rules vs Standard nella disciplina dei gruppi: l'inefficienza delle compensazioni «virtuali», cit., pp. 328-329.

482

Ci si riferisce al saggio di F.DENOZZA,op. ult. cit.,p. 327 ss.del quale si ripercorre il procedimento argomentativo per evidenziare come l’A. prediliga, nell’ambito della teoria dei vantaggi compensativi, una soluzione rigida ritenendola tuttavia non ottimale e proponendo, in alternativa ad uno standard per le operazioni intragruppo pregiudizievoli, l’adozione di una bright rule.

Con tali premesse si riconosce la costante opposizione che divide i fautori degli avversi schieramenti e, scartata l’adottabilità di compensazioni future o soltanto presunte (ritenute una sorta di legalizzazione del furto), si aderisce al pensiero di chi richiede una compensazione effettiva e quantitativamente adeguata, tale da garantire alla società danneggiata pieno ristoro dei pregiudizi subiti483.

Individuato quale fondamentale obiettivo della teoria il “consentire le operazioni che aumentano il benessere complessivo e vietare le altre”, si sostiene l’inefficienza delle politiche di gruppo che assicurano ad una società vantaggi superiori agli svantaggi arrecati alle altre. L’assunto è basato sul riconoscimento delle potenziali divergenze che, nelle operazioni infragruppo, si possono riscontrare tra l’aumento del benessere del gruppo e la crescita del benessere sociale delle singole aggregate.

Ne conseguono – secondo l’Autore – tre profili di potenziale inefficienza: a) nel mercato mobiliare, perché si introduce un rischio non diversificabile da un investitore razionale così da far attestare il mercato dei capitali su un equilibrio sub ottimale; b) nel mercato del credito, perché risulta difficile monitorare il debitore con un conseguente aumento dei costi connessi al ricorso al credito; c) nel mercato finale, in quanto il gruppo di comando mira a realizzare la politica che gli permette di ottenere maggiori benefici privati.

Si scorge nella maggior parte delle formulazioni un errore di base, ravvisato essenzialmente nel fondare la necessità della compensazione su ragioni equitative piuttosto che nell’esigenza di prevenire l’attuazione di politiche inefficienti484. Il problema centrale, quindi, non consisterebbe tanto nel grado di correttezza richiesto agli amministratori della controllata (quando comparano l’interesse del gruppo alle politiche efficienti con l’interesse dei soci all’equa remunerazione) quanto, piuttosto,

483 Ibidem, p. 330. L’A. afferma che, consentendo la legittimità di compensazioni future non certe ma

soltanto prevedibili, si avrebbe l’effetto pratico di una «moltiplicazione di stucchevoli tentativi di dimostrare che l’appartenenza alla rete distributiva, creditizia, produttiva ecc. del gruppo è fonte di vantaggi in grado di compensare qualsiasi perdita possa essere stata inflitta da ogni singola scelta della capogruppo». Ribadisce a chiare lettere che «ben diverso è l’effetto che conseguirebbe alla regola per cui ogni azione svantaggiosa deve essere compensata da un vantaggio specifico suscettibile di essere stimato in base a precisi criteri di mercato. Analogamente, un conto è richiedere che il vantaggio compensativo sia certo e immediato, altro conto è accettare, come idoneo a realizzare la compensazione, un vantaggio futuro e magari neppure ragionevolmente certo, ma solamente prevedibile».

484

Ibidem, p. 337. L’A. sostiene che frutto di tale errore è «la tendenza a ritenere accettabili standards anche molto elastici, che puntano l’attenzione molto più sullo stato psicologico di chi prende le decisioni, che non sulla effettività e congruità dei comportamenti dovuti ai soci di minoranza delle società danneggiate».

nell’identificazione di un criterio che consenta di impedire le politiche di gruppo inefficienti.

Vengono così enucleati i requisiti essenziali del criterio: a) non riconoscere come rilevante qualsiasi vantaggio che tale abbia ad apparire al giudice (in particolare un vantaggio connesso alla semplice appartenenza al gruppo); b) dubitare oltre che dei vantaggi preesistenti (ma ignoti), anche di quelli «futuri». Questi potranno essere oggetto di compensazione solo se ne sia esattamente stimabile il grado di probabilità e se l’incertezza così misurata possa essere monetizzata secondo puntuali valori di mercato.

In conclusione, la soluzione che l’Autore ritiene più efficiente è costituita

«da una regola precisa che imponga di compensare la società svantaggiata in maniera specifica, comprensiva anche degli eventuali rischi che la politica di gruppo le costringe a correre, che preveda un obbligo di informazione relativo all’operazione nel suo complesso e che imponga lo svolgimento di un’istruttoria, tanto più accurata quanto più l’operazione infragruppo si allontana da standardizzate transazioni di mercato».

La soluzione – condivisa da parte della dottrina485 – comporta il rischio, sottolineato ed accettato dallo stesso Autore, di over-deterrence ossia di imporre precauzioni inutili ed evitabili con il ricorso ad uno standard 486.

485 In termini analoghi L.E

NRIQUES, Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli azionisti esterni: appunti per un'analisi economica, cit., p. 698 ss. il quale: a) sostiene l’impraticabilità di una teoria «rigida» dei vantaggi compensativi a causa dalle insormontabili difficoltà probatorie derivanti sia dalla mole delle valutazioni da operare che dalla complessità delle stesse; b) reputa che la soluzione prospettata in dottrina (il passaggio ad una teoria maggiormente «elastica») non sia soddisfacente in quanto, pur permettendo una valutazione più agevole del rapporto costi/benefici delle operazioni intragruppo, è costellata dal rischio di falsi (giudizi) negativi e positivi; c) prospetta l’adozione di un sistema di default rigido (almeno per le società quotate) che impone delle vere e proprie regole secondo le quali operare la compensazione.

486 Così F.D

ENOZZA, op. ult. cit, p. 338 ove sostiene di preferire tali maggiori oneri rispetto ai «rischi di sottovalutazione dei danni (da) eccessiva discrezionalità». In senso diametralmente opposto si esprime P. MONTALENTI, Gruppi e conflitto di interessi nella legge delega per la riforma del diritto societario, in Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 2002, pp. 240 e 241 ove afferma criticamente «ecco dunque come argomenti plausibili – ma non supportati neppure essi da indagini empiriche – sfociano in un’opzione di fondo sulle tecniche di regolamentazione. E l’opzione è nel senso di accettare il rischio di over-shoting piuttosto che ipotizzare il rischio di abusi. Una logica rispetto alla quale il mio dissenso è netto: come ammoniva Luigi Einaudi è la norma eccessivamente rigida che ne stimola la violazione, non il contrario. Conformare, in conclusione, la regola fisiologica ai comportamenti di massima devianza è un ottimo sistema per impedire anche i comportamenti virtuosi».

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