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Come già esposto, tra le innovazioni apportate dal legislatore della riforma deve annoverarsi anche l’introduzione del regime di procedibilità a querela di parte.

Si tratta di una scelta per così dire obbligata e determinata dal forte spirito di privatizzazione che ha pervaso tutta la riforma della disciplina penal-societaria; in effetti,

«una volta scelta la strada della perseguibilità a querela persino nel settore della tutela dell’informazione societaria – luogo di maggior emersione di interessi istituzionali e sovraindividuali – sarebbe stato contraddittorio e irragionevole non prevedere un analogo regime di perseguibilità nel settore dove, viceversa, con maggior nitidezza emerge un’istanza di tutela di natura squisitamente patrimoniale»160.

Questa novità, se per un verso non comporta particolari problemi in relazione alla fattispecie di infedeltà disciplinata dal secondo comma, di contro, nell’ambito

160 L.F

OFFANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 2526; ID, Le infedeltà, cit., p. 364, dove sottolinea la coerenza del dato con il «quadro generale di forte privatizzazione della reazione penale» che ha caratterizzato la riforma societaria nel suo complesso.

dell’infedeltà c.d. societaria, ha originato numerose critiche e considerazioni pessimistiche sulle effettive chances di applicazione pratica della norma161.

Invero, già nella prima dizione della norma – ad opera del progetto Mirone – era stata prevista una perseguibilità a querela, pur gestita da un “curatore speciale” nominato ad hoc dall’assemblea dei soci, e con l’eccezione per i casi di infedeltà ex art. 2634 co. 2 c.c., ove era devoluta direttamente ai terzi danneggiati.

I pareri formulati dalle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato hanno evidenziato la preoccupazione di “non tutelare sufficientemente tutti i soggetti che possono subire un danno a seguito della condotta illecita di infedeltà, come, ad esempio, i creditori o i soci di minoranza, nel caso in cui l’assemblea non abbia deliberato a favore dell’esercizio del diritto di querela162”. Conseguentemente, si è suggerito di “sopprimere ogni limitazione soggettiva al diritto di proporre querela163”, prospettando al legislatore delegato “l’ulteriore necessità di prevedere, con riferimento all’esercizio del diritto di querela da parte della società, particolari modalità di convocazione e costituzione dell’assemblea in funzione di un rafforzamento degli strumenti di tutela (anche) delle minoranze e di una maggiore ed immediata effettività della previsione alla luce di condotte ostacolanti facilmente immaginabili164”.

I suggerimenti, forse, avrebbero dovuto far propendere per la procedibilità d’ufficio – tenuto conto dell’interesse generale sotteso ad una corretta gestione delle società commerciali – piuttosto che ritornare, come è stato fatto, alla tradizionale formula della procedibilità «a querela della persona offesa».

La scelta non solo risponde in modo inadeguato alle perplessità espresse, ma è anche fonte di forti squilibri di tutela e di ulteriori problemi esegetici.

E’ opinione pacifica che la persona offesa dal reato debba essere individuata nel titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice165.

161

Cfr., R.ACQUAROLI, Alcune osservazioni sul reato di infedeltà patrimoniale alla luce del nuovo diritto societario, cit., p. 180; in senso conforme V.MILITELLO, L’infedeltà patrimoniale. Art. 2634 c.c., cit., p. 488.

162 Il testo dello schema di decreto è pubblicato in Il Sole 24 Ore, 15 e 16 gennaio 2002. 163 Parere formulato dalla Commissione Giustizia della Camere dei Deputati il 6 marzo 2002. 164 Parere votato alla Commissione Giustizia del Senato il 19 marzo 2002.

165 In questo senso cfr. Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 2003, n. 20267, in Il Fisco, 2003, p. 4900ad avviso

della quale «(…) la questione relativa alla titolarità del diritto di querela per il reato di infedeltà patrimoniale può fondatamente risolversi nel senso che, trattandosi di un reato strutturato a tutela dell’integrità patrimoniale della società, è quest’ultima l’effettivo ed esclusivo soggetto passivo dell’evento di danno». Nella stessa direzione cfr. Cass. pen., Sez. V, 21 novembre 2006, n. 2260, in Riv. Guardia di finanza, 2007, p. 142 ss.

Ne consegue che, essendo tutelati da un lato il patrimonio sociale e dall’altro il patrimonio dei terzi, i titolari del potere di sporgere querela saranno rispettivamente la società e i terzi medesimi.

In relazione a questi ultimi non v’è problema, poiché il titolare del potere può autonomamente manifestare all’esterno la sua volontà. Riguardo alla società, invece, l’organo legittimato alla proposizione della querela deve essere individuato in base alla normativa vigente e in conformità a quanto previsto dallo statuto della società stessa, con una sostanziale convergenza di opinioni in dottrina e giurisprudenza circa la titolarità del potere di esercitare o meno querela in capo all’organo di gestione.

La conclusione discende direttamente dalla riconducibilità dell’atto di querela all’attività di «gestione della società (…) in quanto concerne in via diretta o indiretta la conservazione del patrimonio e l’attuazione dell’oggetto sociale»166.

Tale conclusione, pacifica se riferita alle c.d. offese esterne – ossia quelle provenienti da soggetti estranei alla compagine societaria – suscita non poche perplessità qualora venga riferita alle c.d. offese interne – ossia quelle promananti dalla cerchia dei detentori del potere sociale – come avviene per il delitto di infedeltà patrimoniale. E’ oltremodo evidente il rischio che l’esercizio della querela possa essere turbato da situazioni di conflitto d’interessi che inevitabilmente verrebbero a crearsi in seno all’organo gestorio qualora si debba valutare sull’opportunità di procedere nei confronti di alcuno dei componenti; non senza arrivare alla estrema e paradossale conseguenza di lasciare nelle mani dello stesso autore dell’illecito la scelta di attivare o meno il procedimento penale.

Nei casi di «provenienza dell’offesa dall’interno dell’organigramma della società», autorevole dottrina167 riteneva che la legittimazione a proporre querela dovesse comunque rimanere in capo all’organo di gestione, salvo l’obbligo di astensione dell’amministratore autore della condotta incriminata e salva una legittimazione concorrente dell’assemblea ordinaria, in quanto organo competente a deliberare le azioni di responsabilità ex art. 2364 co.1 n. 4 c.c.

In dottrina prevale tuttavia il diverso orientamento per il quale la provenienza dell’offesa dall’interno della società spoglierebbe l’organo di amministrazione della

166 L.F

OFFANI,Art. 2634 c.c., cit., p. 2526 ss.

167 C.P

legittimazione (di norma spettantegli) a proporre la querela, trasferendo la relativa competenza, in via esclusiva, all’assemblea dei soci168.

Solo quando l’autore del reato abbia successivamente perduto la titolarità della carica di amministratore, ovvero l’autore sia un «semplice» direttore generale, estraneo all’organo amministrativo, verrebbe meno la ratio sottostante all’attribuzione del potere di querela all’assemblea, che mantiene un carattere di eccezione rispetto alla regola generale.

Si evince come la nuova fattispecie crei una forte disparità di trattamento che potrebbe forse, come sostenuto da alcuni, essere fonte di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 47 Cost.

I terzi che hanno affidato alla società beni da amministrare possono, infatti, tutelarsi autonomamente; la tutela dei soci, invece, resta in capo alla maggioranza assembleare, cui compete l’azionabilità del controllo penale sulla condotta degli amministratori, con l’inevitabile conseguenza di possibili collusioni e ricatti in una logica di scarsa trasparenza169.

Alcuni autori hanno proposto un’interpretazione che permetterebbe di estendere il potere di sporgere querela al singolo socio170 sostenendo che

«il patrimonio della società non è protetto come valore in sé, bensì in funzione diretta dell’interesse dei soci e dei creditori, motivo per cui si deve ritenere che anche questi ultimi possano subire un danno diretto ed autonomo rispetto a quello della società per cui devono essere legittimati a proporre querela»171.

Si è ribattuto172 criticamente affermando che l’espressione cagionando intenzionalmente un danno alla società non lascia dubbi circa l’identificazione (nel patrimonio sociale)

168 Anche tale soluzione, però, non è esente da profili critici in quanto l’assemblea dei soci, chiamata ad

esprimere la volontà della società nel rispetto del principio di maggioranza, è soggetta a possibili «(…) connivenze tra soci di maggioranza e amministratori i quali ben potrebbero aver agito nell’interesse dei primi che in sede assembleare potrebbero perciò “ratificare” l’operato del vertice amministrativo, garantendogli la sostanziale impunità» in questi termini F.M.FRASCHETTI,

169 Cfr., P.A

LESSANDRI, Art. 2634 c.c., cit., p. 813; in senso conforme L.FOFFANI, Le infedeltà, cit., p. 356.

170 R.A

CQUAROLI, Alcune osservazioni sul reato di infedeltà patrimoniale alla luce del nuovo diritto societario, cit., p. 180.

171 A. D

I AMATO, Diritto penale dell’impresa, cit., p. 179, in senso conforme anche Cass., Sez V, 16 giugno 2006, n. 37033, in www.dejure.it ove motiva: «poiché tale fattispecie è posta a tutela del patrimonio sociale, ne consegue che parte lesa non è solo la società nel suo complesso ma anche – e disgiuntamente – il singolo socio».

172 G. S

CHIAVANO, Riflessioni sull’infedeltà patrimoniale societaria (Art. 2634 c.c.), cit., p. 825 ove afferma che si è «cercato di aggirare l’ostacolo».

del bene giuridico tutelato: soltanto la società danneggiata, quale titolare del bene giuridico tutelato, può sporgere querela.

I soci e i creditori potranno essere considerati danneggiati soltanto secondo la disciplina civilistica. La soluzione opposta comporterebbe, invece, un’inaccettabile commistione tra i concetti di «danneggiato» e «persona offesa»173.

Di recente la giurisprudenza si è orientata nel senso di riconoscere la legittimazione alla proposizione della querela, oltre che alla società, anche al singolo socio il quale non deve ritenersi un mero danneggiato ma anch’egli persona offesa dal reato in quanto

«(… ) la condotta dell’amministratore infedele è diretta a compromettere le ragioni della società, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l’infedele attività dell’amministratore subiscono il depauperamento del proprio patrimonio174».

Tale orientamento viene si fonderebbe, come rilevato in dottrina, su un triplice ordine di motivi.

Innanzitutto viene posto in rilievo come il delitto di cui all’art. 2634 c.c. offenda sia il patrimonio della società sia quello del singolo socio (o quotista) il quale, in conseguenza dell’attività infedele, subirebbe un depauperamento del proprio cespite.

Ulteriore conferma della soluzione adottata viene individuata dalla giurisprudenza sopra citata nel particolare regime di responsabilità previsto dall’art. 2642, comma 2, c.c. il quale prevede una responsabilità illimitata del socio unico di società di capitali con la conseguenza che, a tale peculiare regime di responsabilità, sarebbe irragionevole non facesse da contraltare l’attribuzione di analoghi poteri finalizzati ad esercitare una difesa degli interessi patrimoniali della società.

Infine, l’adozione della citata soluzione, si imporrebbe al fine di evitare una paralizzazione della procedibilità per il reato di infedeltà patrimoniale che sussisterebbe

173 Le figure non vanno confuse in quanto indicano situazioni differenti. La persona offesa dal reato è il

soggetto sul quale materialmente ricade la condotta delittuosa. E’ esclusivamente la società quale titolare del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Il danneggiato, invece, è colui che subisce dal reato un danno patrimoniale o non patrimoniale. Può trattarsi di qualunque soggetto, socio o creditore, che reputandosi danneggiato dal comportamento infedele potrà intraprendere un’azione di natura civilistica nei suoi confronti volta ad ottenere un risarcimento del danno o potrà costituirsi come parte civile a norma dell’art. 74 c.p.p. In questo senso si esprime anche F.M.FRASCHETTI,“

174 Cfr. Cass. pen., Sez. V, 7 maggio 2014, n. 35080. L’estensione della legittimità in capo al singolo

socio di proporre la querela per il delitto di infedeltà patrimoniale è stata prospettata in Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 2003, n. 20267 la quale in un obiter dictum e in formula dubitativa si esprimeva in termini problematici sull’argomento. L’orientamento si è poi consolidato, oltre che con la sentenza citata, con le pronunce di Cass. pen., Sez. II, 25 febbraio 2009, n. 24824 e Cass. pen., Sez. V, 16 giugno 2006, n. 37033 le quali hanno ribadito la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale spetti, oltre che alla società, anche in via disgiunta al singolo socio.

nel caso in cui unico soggetto legittimato alla proposizione della querela fosse proprio l’amministratore quale legale rappresentante legale della società175.

Tuttavia, come rilevato in dottrina, l’estensione della legittimità alla proposizione del diritto di querela anche al singolo socio se da un lato evita il rischio di ineffettività e disapplicazione della norma incriminatrice dall’altro presta il fianco ad un’eccessiva dilatazione del diritto che, per tale via, dovrebbe essere riconosciuto a tutti i singoli soci anche nel caso di imprese multinazionale nell’ambito delle quali la singola partecipazione assume un rilievo minimale con i rischi che ne possono derivare176.

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