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Le condotte infragruppo abusive nel sistema previgente all’art 2634 c.c.: l’adattamento di norme “inadeguate” ad opera della dottrina e il riconoscimento del

IL FENOMENO DEI GRUPPI DI SOCIETA’.

5. Il legislatore penale e i gruppi: alcune problematiche.

5.1. Le condotte infragruppo abusive nel sistema previgente all’art 2634 c.c.: l’adattamento di norme “inadeguate” ad opera della dottrina e il riconoscimento del

gruppo anche come fattore di giustificazione.

L’analisi deve procedere dal contesto normativo che ha dato modo alla dottrina e alla giurisprudenza di confrontarsi, in quell’ottica bivalente poc’anzi evidenziata, sul tema delle aggregazioni societarie. Infatti, in mancanza di una disciplina ad hoc del fenomeno, onde sanzionare eventuali abusi era necessario fare ricorso a tipologie classiche di illecito, che venivano applicate, con i dovuti adattamenti, anche nei casi in cui le operazioni procedessero da società appartenenti ad un gruppo. Le figure alle quali giurisprudenza e dottrina hanno maggiormente fatto ricorso sono appunto quelle sulle quali si è incentrato il dibattito: l’appropriazione indebita, le false comunicazioni sociali, la bancarotta fraudolenta e, soprattutto, il conflitto di interessi. Lo studio delle soluzioni emerse costituisce pertanto il necessario punto di partenza se si vuole comprendere appieno la nuova normativa.

In particolare l’art. 2631 c.c. – nella versione antecedente alla riforma del 2002 – ha dato modo di riflettere su come dovesse essere concepito il conflitto di interessi allorchè la società partecipi ad un gruppo.

È questo uno dei temi che ha maggiormente evidenziato le carenze del diritto societario rispetto alla tematica dei gruppi poichè la disciplina in questione era stata pensata per far fronte a conflitti sporadici e occasionali285, in contesti nei quali l’autonomia delle singole società e l’indipendenza degli amministratori costituivano le premesse necessarie per una gestione delle risorse volta al perseguimento dell’interesse sociale.

284 Si esprime in questi termini G.M. F

LICK, Gruppi e monopolio, nelle nuove prospettive del diritto penale, in Riv. soc., 1988, p. 479.

285 F.D’A

LESSANDRO, Il diritto delle società da «i battelli del Reno» alle «navi vichinghe», cit., p. 48: «il conflitto di interesse avuto presente dal codice è invero una situazione episodica, occasionale, anzi addirittura e propriamente accidentale, che può determinarsi con riferimento ad uno specifico atto. Nei gruppi, per contro, il conflitto è o può essere un elemento per così dire istituzionale, sistematico, che non si limita ad investire incidentalmente questo o quell’atto, ma permea o può permeare, di sé l’intera attività. (…) Di fronte a siffatta dilatazione, quantitativa e qualitativa, del conflitto di interessi, gli strumenti del codice, pensati per il governo di tutt’altri problemi, sono, dicevo, sembrati appunto inadeguati, sia per difetto che per eccesso».

L’avvento dei gruppi rivoluziona lo stato dei fatti.

L’autonomia giuridica delle singole società (pur non direttamente posta in discussione) subisce gravi interferenze e gli amministratori, formalmente indipendenti, sono oggetto di continue pressioni da parte degli organi gestori della holding al fine di perseguire un interesse di gruppo trascendente la singola società.

Si pongono dunque all’interprete due problematiche che richiedono prese di posizione chiare.

Da un lato, la consapevolezza del fatto che il conflitto di interessi – all’interno dei raggruppamenti societari – è endemico e sistematico rende necessario definirne la portata per evitare le situazioni di incertezza che costringevano gli amministratori a ricorrere ad innumerevoli escamotage per non incorrere in responsabilità penali286. Dall’altro, occorre far chiarezza sul concetto di interesse sociale287, così da consentirgli di continuare a costituire il punto di riferimento per gli amministratori nello svolgimento della loro attività, e per il giurista nell’individuare le condotte abusive in quanto perpetrate in spregio allo stesso.

L’art. 2631 c.c., sotto entrambi i profili, si presentava inadeguato e carente.

Inadeguato, poiché non era in grado di contemperare gli interessi delle diverse società coinvolte: «la direzione unitaria rischia di inciampare nell’ostacolo dell’art. 2631 c.c., la cui impostazione formalistica, di stampo procedimentale, mal si adatta all’obiettivo di una tutela realistica dell’interesse sociale»288. D’altra parte la dichiarazione del conflitto

286 A.M

IGNOLI,Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, cit., p. 733 sostiene che la norma sul conflitto di interessi applicata in modo rigido e formale costringe ad «inutili comportamenti che mortificano le persone degli amministratori, ne diminuiscono la statura e ne appannano il prestigio, e li costringono a trasferire ad altri, sia pure solo formalmente, l’impegno e l’onore delle decisioni; abbassando le società a piccoli giochi per eludere la legge (…)».

287 Rileva A. M

IGNOLI, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, cit., p. 735 che risulta necessario, per le società di gruppo ridefinire il concetto di interesse sociale. L’A. sostiene che essendosi ampliato notevolmente lo scopo della società, – da sempre individuato nella produzione di utili da dividere tra i soci che partecipano all’attività in comune – sino a ricomprendervi anche il fatto di profiter d’une économie (secondo la dizione del legislatore francese L. 78/9 1974 che modifica l’art. 1832 Code Napoléon), comporta che «non si può non cambiare anche l’interesse sociale, che rappresenta l’adeguamento del mezzo allo scopo. Diventa così sempre più arduo individuare una nozione di interesse sociale. Da noi, già con il codice del 1942, l’interesse sociale si è arricchito di contenuti diversi (…) questa essendo la situazione reale, occorre individuare e ridefinire l’interesse sociale nei suoi nuovi atteggiamenti e contenuti: e allora occorre anche studiare gli interessi con i quali è possibile l’incontro o il componimento» tanto più che a norma della V Direttiva si sancisce che i membri degli organi di direzione e vigilanza «devono esercitare le loro funzioni nell’interesse della società, tenendo conto degli interessi degli azionisti e dei lavoratori».

288 C. P

EDRAZZI, Dal diritto penale delle società al diritto penale dei gruppi: un difficile percorso, in AA.VV., I gruppi di società, vol. III, p. 1787, Milano, 1996 evidenzia come la norma non permetta di considerare la circostanza per cui le scelte degli amministratori debbano essere valutate e inquadrate alla

per il fatto di aver perseguito l’interesse del gruppo – in quanto reputato a priori un interesse extrasociale – rischiava di paralizzare l’attività gestoria impedendo qualsiasi operazione intragruppo289.

Carente, perché non consentiva «all’interprete di prendere in considerazione gli eventuali benefici che la società figlia potrebbe, in prospettiva, conseguire limitandosi a sanzionare la mancata astensione»290.

Le problematiche esaminate costituirono la premessa di tre principali orientamenti interpretativi:

a) alcuni291, ponendo l’accento sull’autonomia della società, ritenevano che gli amministratori dovessero perseguire esclusivamente l’interesse sociale della stessa senza che questo potesse essere influenzato dalle politiche di gruppo; b) sul versante opposto si poneva chi292, qualificando il gruppo come un’impresa

unitaria, riteneva prevalente l’interesse di gruppo in quanto reputato il comune punto di equilibrio tra i diversi interessi delle singole società;

c) in una posizione intermedia, infine, vi era chi293 riteneva necessario superare il formalismo delle teorie analizzate in una logica di tipo compensativo,

luce di un più ampio interesse comune, con la conseguenza rilevata da F.BRICOLA,Lo statuto di impresa: profili penali e costituzionali, in Imprenditore e legge penale, Ancona, 1985, p. 99 di «attribuire rilievo penale ad una forma di conflittualità per così dire transitoria (e del tutto apparente) in presenza di un interesse superiore di gruppo, del quale sia destinata a beneficiare la stessa società figlia».

289

L.FOFFANI, Le infedeltà, cit., p. 140 rileva in senso critico che «tanto equivarrebbe ad affermare, infatti, che a qualsivoglia deliberazione consiliare concernente l’assetto dei rapporti interni al gruppo, dovrebbe far seguito, quale conseguenza pressoché automatica, l’applicazione della normativa sul conflitto di interessi, con gli effetti paralizzanti che è facile prevedere». Nello stesso senso A.MIGNOLI, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, cit., p. 732: «una norma sul conflitto di interessi (specie nella sua interpretazione più lata) vanifica gli scopi della formazione del gruppo, rende costantemente malsicure e pericolose le relazioni tra le società facentine parte, e, bloccando gli amministratori, impedisce o limita gravemente la libertà di movimento del complesso».

290

In questi termini G.ZUCCALÀ, Dei delitti di infedeltà degli organi verso la società, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1988, p. 149.

291 In questo senso F.S

TELLA, Profili penalistici del conflitto di interessi degli amministratori di società commerciali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1960, p. 939; F.D’ALESSANDRO, Il diritto delle società da «i battelli del Reno» alle «navi vichinghe», cit., p. 48 considera l’ingerenza della capogruppo “patologica” e l’appartenenza al gruppo della singola controllata come una circostanza giuridicamente irrilevante. Pertanto, nell’intento di tutelare i soci esterni al gruppo di controllo e i creditori sociali delle singole controllate, ritiene in conflitto qualsiasi operazione infragruppo che causi un depauperamento alla società.

292 Sostiene tale impostazione P.M

ANGANO, L’infedeltà patrimoniale degli amministratori nei gruppi di imprese, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1989, p. 1014.

293 Tra i tanti si veda in particolare P.M

ONTALENTI, Conflitto di interessi nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, cit., p. 722 il quale, nel delineare i caratteri della c.d. clausola dei vantaggi compensativi, ha sostenuto che all’interno di un gruppo «i vantaggi devono dialetticamente confrontarsi con i sacrifici dei singoli membri». Nel senso di un necessario contemperamento degli interessi in gioco si è espresso anche A.MIGNOLI,Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, cit., p. 735 secondo il quale nel momento in cui «si entra in un mercato comune, si vuole fruire dei vantaggi: e questo comporta,

ammettendo una composizione dell’interesse sociale con l’interesse di gruppo, e la conseguente legittimità di operazioni economicamente svantaggiose se controbilanciate da altre in grado di riequilibrare il pregiudizio subito.

Peraltro – come sostenuto da Pedrazzi294 – si osservava come la tesi formalistica non fosse più compatibile con l’evoluzione della realtà economica e come, per contro, fosse necessario valutare, caso per caso, la compatibilità in termini di razionalità e coerenza fra l’interesse del gruppo, sottostante ad una determinata operazione, e l’interesse sociale della singola società controllata o dipendente.

«Altro è, infatti, perseguire una politica economica generale di gruppo, di medio e lungo termine, da cui ragionevolmente e fondatamente possa conseguire un vantaggio – anche in tempi diversi rispetto alla data di compimento dell’operazione – alla singola società controllata, che pure ha subito un pregiudizio immediato; altro è, invece, ipotizzare che, attraverso l’operazione pregiudizievole per la singola controllata, si sia in realtà perseguito un interesse extrasociale proprio del soggetto qualificato o del gruppo nel suo insieme, in contrasto con la controllata stessa: si pensi, ad esempio, a quelle forme di c.d. vassallaggio o di spoliazione di singole società del gruppo a favore di quest’ultimo o di altre società di esso»295.

Le c.d. politiche di gruppo emergono anche sotto il diverso profilo della responsabilità. Ci si è chiesti, infatti, in che misura i rapporti di controllo, quali esistono all’interno dei gruppi, possano influire sulle responsabilità penali degli amministratori delle singole società. In altre parole, ferme restando le regole sul concorso di persone nel reato, l’indagine è stata rivolta ad accertare se i rapporti di gruppo potessero agire nel senso di

come corrispettivo, taluni sacrifici»; pertanto andrebbe rivista la nozione di interesse sociale e anche quella «di pregiudizio va valutata non separatamente, ma confrontata dialetticamente con i vantaggi dell’appartenenza ad una comunità allargata». Anche altri autori riconoscono la legittimità delle operazioni che perseguono un interesse di gruppo pur configurando modelli diversi, più o meno attenuati, di compensazioni in favore della società pregiudicata. Alcuni sostengono legittime le politiche di gruppo a condizione che il risultante surplus venga equamente diviso tra tutte le società (G.SCOGNAMIGLIO, Prospettive di tutela dei soci esterni nei gruppi di società, cit., p. 420); altri richiedono un contro bilanciamento dell’operazione svantaggiosa tramite la stipulazione di altri contratti volti a ritrasferire i vantaggi economici dalla controllante alla controllata sacrificata (F.BONELLI,Conflitto di interessi nei gruppi di società, in Riv. comm., 1992, I, p. 226); altri ancora (P.SPADA, L’amministrazione delle società per azioni tra interesse sociale e interesse di gruppo, in Riv. dir. civ., 1989, I, p. 223) ritengono necessario, per l’operatività della compensazione, un indennizzo a favore della società danneggiata: indennizzo non accordabile successivamente alla deliberazione, ma che dovrebbe già essere stato corrisposto alla controllata, così da costituire elemento essenziale della deliberazione.

Nel senso che l’interesse del gruppo non necessariamente è in conflitto con quello delle controllate (non doveva essere ritenuto a priori un interesse extrasociale costantemente in conflitto con quello della singola società) si veda F.GALGANO,L'oggetto della holding è, dunque, l'esercizio mediato e indiretto dell'impresadi gruppo, cit., p. 403 ss.

294 C. P

EDRAZZI, voce Società commerciali (Disciplina penale), in Dig. disc. Pen., vol. XIII, Torino, 1998, p. 381.

295 C.B

escludere la punibilità e se la politica di gruppo potesse fungere da limite della fattispecie di reato296.

Sotto tale prospettiva, in relazione al delitto di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p. ed in un’ottica sostanzialmente identica a quella delineata supra circa il conflitto di interessi, è stato evidenziato che:

«l’esistenza di un rapporto di controllo, di un legame di gruppo, può funzionare, prima ancora che si ponga un problema di «giustificazione», come limite interno della fattispecie di appropriazione indebita. L’operazione posta in essere dagli amministratori della società controllata vuole essere valutata in concreto, come episodio di gestione, tenendo conto della realtà rappresentata dalla solidarietà di gruppo e dei benefici che dall’appartenenza al gruppo possono ricavare le singole società. Il sacrificio affrontato dalla controllata nell’interesse della controllante va pertanto bilanciato con gli eventuali benefici che direttamente o indirettamente rifluiscono sulla controllata. Fino a quando il bilancio è positivo, fino a quando il sacrificio della controllata risulta adeguatamente compensato, viene meno la «materia prima» dell’appropriazione indebita»297.

Laddove, invece, il sacrificio richiesto alla controllata sia del tutto sproporzionato o addirittura privo di contropartite:

«potrà allora entrare in campo la politica di gruppo, ma come limite esterno della fattispecie, come scriminante di un comportamento di per sé conforme al tipo. L’istituto del consenso rappresenta, a mio avviso, il canale attraverso il quale la politica di gruppo può esercitare efficacia scriminante: ma a patto che il consenso emani dalla totalità del capitale»298.

Il problema di fondo, come evidenzia lo stesso Autore, è in sostanza un problema di disponibilità dell’interesse penalmente tutelato. A norma dell’art. 50 c.p. è necessario essere titolari del bene tutelato dalla norma incriminatrice per poter acconsentire a lesioni dello stesso.

Conseguentemente, la scriminante non potrà operare in altri reati, dove pure i rapporti infragruppo sono alla base di condotte potenzialmente illecite.

Immediatamente sovviene il delitto di false comunicazioni sociali (art. 2621 n. 1 c.c.), considerato «plurioffensivo»: il consenso non potrebbe scriminare falsità potenzialmente lesive, oltre che per la società e i soci, per i creditori, i terzi, il pubblico in generale. Altrettanto dicasi della bancarotta fraudolenta (art. 216 l. fall.), ove le condotte appropriative scriminate, in presenza del fallimento, si connotano come

296 In questi termini C. P

EDRAZZI, Gruppo di imprese e responsabilità penale, in AA.VV., Disciplina giuridica del gruppo di imprese, Atti del Convegno di studi svoltosi a Bellagio nei giorni 19-20 giugno 1982, Milano, 1982, p. 157.

297 Ibidem, p. 160. 298 Ibidem, pp. 160-161.

distrazioni non scriminabili in quanto la tutela concerne il patrimonio della controllata, non più considerato come bene di proprietà della controllante ma come garanzia dei creditori, e quindi indisponibile per la controllante. Considerazioni analoghe valgono per l’illegale ripartizione di utili (art. 2621 n. 2 c.c.) o per l’illegale restituzione di conferimenti (art. 2623 n. 2 c.c.).

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