LA CLAUSOLA DEI VANTAGGI COMPENSATIVI.
3. La soluzione accolta dal legislatore: la clausola dei vantaggi compensativi.
3.2. La formulazione civilistica.
L’art. 2497 c.c. determina il campo di applicazione della clausola in esame tramite il riferimento alla nozione di attività di direzione e coordinamento alla quale è affidato il compito di individuare l’esistenza del gruppo.
La principale peculiarità della nozione adottata consiste nella necessità di procedere volta per volta, seppur con le notevoli agevolazione probatorie offerte dalle presunzioni di cui agli artt. 2497-sexies e 2497-septies c.c., ad un accertamento dell’effettivo esercizio di suddetta attività.
L’indice utilizzato permette di circoscrivere il fenomeno ai casi in cui venga esercitata un’effettiva influenza e direzione da parte della holding. Solo in questo caso, infatti, può venire ad evidenza una politica globale caratterizzata dall’imposizione di sacrifici ad alcune collegate, con potenziali vantaggi per la medesima sacrificata e/o per altre componenti.
Già il dato letterale consente di evincere linearmente quali siano i soggetti interessati dall’operazione (holding e società pregiudicata) e quale l’oggetto della compensazione (pregiudizio/vantaggio). La holding, autrice delle politiche di gruppo, sarà responsabile verso la società controllata se il pregiudizio richiestole non venga compensato da altrettanti vantaggi498.
497 Negli stesi termini Cass. civ., Sez I, 5 dicembre 1998 n, 12325, in Giur. it., 1999, p. 2318 ss. con nota
adesiva di P. MONTALENTI, Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi: l’evoluzione giurisprudenziale.
498 La puntualizzazione di entrambi gli aspetti non deve essere trascurata. Gli stessi punti, a causa della
infelice formulazione datane dal legislatore, sono, in sede penale, tutt’altro che pacifici: il vantaggio compensativo, secondo un’interpretazione strettamente letterale, andrebbe rapportato al profitto che
Il fulcro della clausola – sul quale maggiormente si è incentrata l’attenzione dei commentatori – è costituito dalle modalità di valutazione della compensazione499. La rilevanza dei vantaggi compensativi è strettamente correlata al danno subito dalla società soggetta ad attività di direzione e coordinamento.
Ed infatti, a norma dell’art. 2497 c.c. il danno deve essere: a) mancante, ovvero, se sostenuto500, «deve essere eliso in senso ragionieristico e sul piano quantitativo»; b) oppure integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a ciò dirette. La specificazione avvalorerebbe l’ipotesi di «una rigida proporzionalità tra pregiudizio prodotto dalla singola operazione infragruppo e vantaggio compensativo»501.
La lettera della norma, prima facie, appare caratterizzata dall’impiego di termini anelastici, così da indurre l’interprete a ravvisare requisiti estremamente rigidi, tali da
dall’operazione deriva alla società collegata o al gruppo lasciando aperte numerose perplessità circa il beneficiario della compensazione e i termini della stessa. Perplesso sulla fattispecie di cui al co. 3 dell’art. 2634 c.c. anche R.SACCHI,Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma della società di capitali, in Giur. Comm., I, 2003, p. 673 il quale ritiene corretto non raffrontare il pregiudizio col profitto «dato che non necessariamente le dimensioni di questo profitto coincidono con l’entità dell’effetto pregiudizievole» e, di conseguenza, reputa la disposizione civilistica un «chiaro miglioramento tecnico». Sul punto ci si soffermerà più diffusamente infra cap. III, par. 3.3.2.
499 E. C
ODAZZI, Vantaggi compensativi e infedeltà patrimoniale (dalla compensazione “virtuale” alla compensazione “reale”): alcune osservazioni alla luce della riforma del diritto societario, commento a Cass. Civ., Sez. V, 7 ottobre 2003 n. 38110, in Giur. Comm., 2004, II, p. 599 ss. individua le maggiori problematiche del procedimento compensativo: a) se la commisurazione del vantaggio debba avvenire in termini quantitativi o qualitativi; b) se, conseguentemente, ai fini di tale valutazione, rilevi solo il vantaggio certo ed attuale o anche quello ragionevolmente prevedibile; c) se la mancanza del danno alla luce del “risultato complessivo” debba essere rapportata alla situazione della singola società danneggiata o all’intero gruppo; d) l’individuazione del momento in cui verificare il risultato complessivo di detta attività.
500
Così R. SACCHI, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, cit., p. 673. Anche R.RORDORF,I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in Le Società, 2004, n. 5, p. 543 sostiene che per far venir meno la responsabilità di cui all’art. 2497 c.c. «occorre che essi (i vantaggi) si siano effettivamente realizzati».
501
In questi termini ancora R.SACCHI,Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, cit., 673; R.RORDORF,I gruppi nella recente riforma del diritto societario, cit., p. 543 ritiene tale disposizione una via d’uscita per consentire alla holding di rimediare nel caso il pregiudizio arrecato alla controllata non sia stato compensato del tutto. Si tratterebbe di «una sorta di ravvedimento operoso che, se ed in quanto effettivamente idoneo ad eliminare il danno di cui potrebbe essere chiesto il risarcimento, ovviamente preclude l’esercizio dell’azione risarcitoria da parte di chi avrebbe altrimenti titolo ad esercitarla». V. CARIELLO, Direzione e coordinamento di società e responsabilità: spunti interpretativi iniziali per una riflessione generale, in Riv. soc., 2003 p. 1248, nt. 49 sottolinea come «l’integrale eliminazione del danno possa, ma non debba necessariamente essere l’effetto di operazioni aventi ad oggetto tale eliminazione; come possa essere, alternativamente, l’effetto (esclusivo ovvero immediato) di un’operazione specificamente a ciò diretta ovvero l’effetto (concorrente oppure mediato) di un’operazione diretta ad altro».
esser soddisfatti solo allorchè la compensazione sia effettiva ed aritmeticamente corretta502.
Il momento in cui deve essere operato il raffronto, tuttavia, è individuato con una formulazione dai contorni alquanto vaghi: “alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento”503.
Ciò apre la strada a nuove e diverse interpretazioni, capaci di ampliare il ventaglio dei vantaggi compensativi.
La valutazione del pregiudizio patito dalla società, infatti, è destinata ad avere esiti differenti a seconda del momento temporale in cui avviene: la dilazione temporale consentirebbe l’ingresso a vantaggi «futuri» o «fondatamente prevedibili», e la fondatezza si attenua correlativamente all’allontanarsi del termine504.
502 In questi termini si è espressa di recente la giurisprudenza (cfr. Cass. pen., Sez. V, 29 febbraio 2016, n.
8253) la quale, delineando i confini tra la clausola in esame e quella contenuta nel comma 3 dell’art. 2634 c.c. ha statuito che « (…) nella disposizione strettamente civilistica dei "vantaggi compensativi", il legislatore, con la previsione di cui all'art. 2497 c.c., comma 1, ha privilegiato una dimensione di tipo aritmetico, laddove nella causa di esclusione della responsabilità penale, ai sensi dell'art. 2634 c.p., comma 3, ha ampliato l'ambito operativo della clausola, estendendone i confini anche ai vantaggi "fondatamente prevedibili": la responsabilità civile viene ad essere esclusa allorquando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo della attività di direzione e coordinamento, ovvero integralmente eliminato a seguito di operazioni a ciò dirette; (…). Tale clausola presuppone che i vantaggi compensativi dell'appropriazione e del conseguente danno provocato alle singole società, siano concreti, non essendo sufficiente la mera speranza, e che i vantaggi corrispondenti, compensativi della ricchezza perduta siano "conseguiti" o "prevedibili" "fondatamente" e, cioè, basati su elementi sicuri, pressochè certi e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa: deve trattarsi, quindi, di una previsione di sostanziale certezza».
503In senso parzialmente difforme si veda Cass. civ. Sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26362 la quale circoscrive
il “vantaggio compensativo” oggetto del parametro valutativo di cui all’ultimo capoverso del primo comma dell’art. 2497 c.c. esclusivamente «(…) quello causalmente legato, al pari del danno, al medesimo, specifico atto di gestione compiuto dall'amministratore, e non quello costituente l'effetto di una distinta serie causale. Né potrebbe essere altrimenti, trattandosi di determinare il danno derivante appunto da ciascun atto di gestione (assunto come colpevole fonte di responsabilità), e non già di tracciare un generico bilancio dei vantaggi e svantaggi della complessiva gestione di un amministratore (…)» la quale, tuttavia, si scontra con il dettato letterale della norma la quale facendo riferimento al “risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento” sembra aprire la strada proprio al giudizio più ampio rigettato dalla sentenza appena citata.
504 Diversi Autori si mostrano sensibili alle problematiche derivanti dalla mancata menzione di un termine
entro il quale procedere alla verifica della sussistenza della compensazione. Dalla soluzione adottata, infatti, discendono indubbie differenze circa la portata del criterio. Tra gli altri si ricordano R.RODORF,I gruppi nella recente riforma del diritto societario, cit., p. 543; G.CIAMPOLI, I «vantaggi compensativi» nei gruppi di società, in Le Società, 2005 pp. 177-178; R.SACCHI,Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, cit., p. 673. In particolare V.CARIELLO,Direzione e coordinamento di società e responsabilità: spunti interpretativi iniziali per una riflessione generale, cit., p. 1248 individua quali momenti per apprezzare il risultato complessivo: a) la chiusura dell’esercizio nel corso del quale l’atto pregiudizievole è stato compiuto e/o ha prodotto i suoi effetti (secondo quanto previsto dal § 311 AktG anche se, a tale impostazione, si mostra fermamente contrario G. SBISÀ, Responsabilità della capogruppo e vantaggi compensativi, in Contr. e impr., 2003, p. 604 il quale afferma che «il riferimento all’esercizio sociale è incompatibile con il criterio del risultato complessivo e non potrebbe valere per le operazioni di lunga durata», dubbioso su tale soluzione P. SPADA,
Altra incertezza capace di minare una interpretazione in termini strettamente quantitavivi è data dalla individuazione del soggetto a cui debba essere riferito il risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento. Nulla quaestio, se si guarda alla singola società: il riferimento al risultato ottenuto avvalora la compensazione del pregiudizio solo in presenza di un’utilità (quantomeno) equivalente. Conclusioni diametralmente opposte possono essere tratte se si guarda al risultato complessivo del gruppo il quale, pur potendo essere positivo, non garantisce alle affiliate un ritorno di vantaggi idonei a compensare gli eventuali sacrifici loro richiesti in esecuzione della politica unitaria.
Per tale via, nel giudizio compensativo verrebbero introdotti anche parametri di natura non strettamente quantitativa ma qualitativa505.
In conclusione, i punti salienti del problema possono essere così individuati:
- dal concetto di «danno mancante» si ricava un’applicazione tendenzialmente rigida e ragionieristica dei vantaggi compensativi, i quali ultimi dovrebbero essere proporzionali al pregiudizio e tali da farlo venir meno allorchè «quantitativamente» eliminato506;
L'amministrazione della società per azioni tra interesse sociale e interesse di gruppo, cit., p. 241); b) il momento (anche se eventuale) della c.d. uscita dal gruppo della società diretta e coordinata (anche se la soluzione è avvertita subito come problematica in quanto eccessivamente incerta nell’an); c) un altro momento ancora, con valutazione da compiersi al tempo dello svolgimento del giudizio instaurato con l’azione facultata dall’art. 2497 c.c. (questa la soluzione preferita dall’A. anche se pone dei problemi pratici in quanto la valutazione della mancanza del danno si estenderebbe fino al momento di esercizio dell’azione risarcitoria, la quale potrebbe anche essere inibita, secondo l’opinione di R.SACCHI,Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, cit., p. 671 ss. dal compimento di operazioni dirette ad eliminare integralmente il danno).
505 Secondo V.C
ARIELLO,Direzione e coordinamento di società e responsabilità: spunti interpretativi iniziali per una riflessione generale, cit., p. 1247 la formula andrebbe letta nel senso che «l’entità in compensazione» dovrebbe essere rappresentata da «situazioni apprezzabili con riferimento comunque alla società diretta e coordinata, nel senso che atto pregiudizievole e risultato complessivo dell’attività dovrebbero riguardare questa società». Di quest’ordine di idee è anche G.SCOGNAMIGLIO,Poteri e doveri degli amministratori nei gruppi di società dopo la riforma del 2003, in Profili e problemi dell’amministrazione nella riforma delle società, a cura di G.Scognamiglio, Milano, 2003, p. 189 ss. secondo la quale esigenze di carattere sistematico, oltre che equitativo, consiglierebbero di riferire la valutazione circa il risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento alla società controllata e non al gruppo nel suo insieme. Peraltro si dà conto del fatto che l’intima – anche se non si comprende fino a che punto possa ritenersi esclusivamente personale – convinzione di F.GALGANO, I gruppi nella riforma delle società di capitali, cit., p. 1033, componente della Commissione, sia nel senso di ritenere il risultato complessivo afferente alla realizzazione dell’interesse di gruppo cui mira la holding.
506 Condivide la nozione più rigorosa dei vantaggi compensativi R. S
ACCHI, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, cit., p. 673 il quale valuta in modo positivo la scelta operata dall’art. 2497 c.c. al punto da attribuirgli una valenza sistematica anche al di fuori dei gruppi (dubbioso sul punto˛L. ENRIQUES,Gruppi di società e gruppi di interesse, in AA. VV., Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di P.BENAZZO,S.PATRIARCA,G. PRESTI, Milano, 2003, p. 250).
- i vantaggi compensativi dovrebbero apprezzarsi in concreto e non con riferimento a fondate previsioni, valorizzando l’espresso riferimento all’integrale eliminazione del danno piuttosto che vaghe interpretazioni basate sul concetto di risultato complessivo507;
- il risultato complessivo deve essere accertato in termini quantitativi ed in relazione alla singola società sacrificata, e non invece comprendendo anche vantaggi qualitativamente positivi per il gruppo nel suo complesso;
- il momento in cui operare il giudizio sulla mancanza del danno ovvero sulla sua integrale eliminazione deve essere individuato con criterio di ragionevolezza, in un intervallo di tempo non troppo vicino (poichè pregiudicherebbe tutte le operazioni durevoli) né troppo lontano (poiché rischierebbe di vanificare gli indici oggettivi previsti dal legislatore)508.
Secondo parte della dottrina, molte delle problematiche appena menzionate potrebbero essere risolte attraverso una corretta valorizzazione, ad opera della giurisprudenza, del disposto di cui all’art 2497-bis co. 5 c.c. laddove impone agli amministratori di indicare nella relazione sulla gestione i rapporti intercorsi con chi esercita l’attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono soggette, nonché l’effetto che tale attività ha manifestato sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati509.
Le soluzioni prospettate sono condivise dalla dottrina maggioritaria.
Numerosi Autori, tuttavia, ritengono che le due formule derivino da una matrice comune, e considerano necessario uniformare i due criteri, con interpretazioni ora
507 La necessità di una compensazione in concreto ha portato alcuni autori a sostenere che l’art. 2497 c.c.
non recepisse la teoria dei vantaggi compensativi ma si limitasse ad individuare i casi in cui la responsabilità nei confronti dei soci di minoranza e dei creditori sociali dovesse venir meno. In questi termini A.D’AVIRRO,L'infedeltà patrimoniale. Art 2634 c.c., cit., p.137.
508 Sul punto, in attesa che si formi un orientamento giurisprudenziale o intervenga nuovamente il
legislatore, poco altro si può aggiungere dato che la scelta di una delle molteplici interpretazioni (tutte astrattamente percorribili) dipende, in fin dei conti, dalla concezione più o meno rigida della teoria dei vantaggi compensativi cui si aderisce o dal rapporto che si assume intercorrere tra questa disciplina e quella penalistica.
509 Secondo R.S
ACCHI,Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, cit., p. 673 si potrebbe nella pratica eliminare in limine lo stesso problema di determinare la nozione di vantaggio compensativo. Infatti, prosegue l’A. come intuito da Vincenzo Di Cataldo, «l’opinione che intende in modo ampio ed elastico i vantaggi compensativi nasce per rispondere all’esigenza, seria ed importante, di far fronte alla difficoltà di provare l’entità dei vantaggi compensativi e, quindi, il loro effetto di eliminazione del pregiudizio prodotto dalla singola operazione intragruppo. Basti pensare alla difficoltà di quantificare i vantaggi, in termini di risparmio di oneri finanziari, derivanti da un servizio di tesoreria accentrato. La difficoltà ora menzionata viene bypassata ove questa norma venga intesa dalla giurisprudenza in modo rigoroso (…) o meglio, viene spostata sugli amministratori in sede di redazione della relazione sulla gestione».
estensive (della norma civilistica) ora restrittive (della norma penalistica) per riportarli ad unità510.
Altra dottrina, invece, rileva come non vi sia «nulla di strano nel fatto che in tema di vantaggi compensativi la soglia di legalità in sede civile sia più alta che in sede penalistica»511.