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Perchè il reato si intenda consumato, in entrambe le fattispecie è necessario che la condotta abbia prodotto un danno patrimoniale alla società o ai terzi, secondo la previsione del co. 2.

Il legislatore, infatti, per evitare un’eccessiva ingerenza del diritto penale nell’attività gestoria si è preoccupato di delineare in modo puntuale i requisiti necessari per poter qualificare come infedele la condotta degli amministratori. Per questo motivo la pericolosità dei comportamenti gestionali è ancorata alla sussistenza di una situazione di conflitto di interessi che vizia a priori un’assunzione di rischio di impresa; è richiesto, inoltre, che dalla stessa operazione sia derivato un danno patrimoniale alla società120. Come sostenuto da autorevole dottrina

«la rinuncia ad una anticipazione dell’intervento penale sulla soglia di un pericolo (concreto) per il patrimonio sociale, se pur sacrifica in qualche misura l’esigenza di tempestività della reazione punitiva, rappresenta un utile baluardo garantistico contro il

117 Secondo L. F

OFFANI, Le infedeltà, p. 353: «maggiormente consone alle effettive esigenze di tutela sarebbe (…) stata, probabilmente, una descrizione della condotta tipica in termini di “commissione (o concorso alla deliberazione) di operazioni sociali, cagionando un danno patrimoniale alla società”».

118 Cfr. E.A

MATI, Infedeltà patrimoniali, cit., p. 413.

119 C.B

ENUSSI, Infedeltà patrimoniale e gruppi di società, cit., p. 184.

120 E.M

rischio che la prassi interpretativa finisca con l’offuscare e scolorire la linea di confine fra conflitto, sovrapposizione e semplice commistione di interessi. Il danno per il patrimonio sociale vale, infatti, a segnalare ex post l’incompatibilità con gli interessi economici della società di un’assunzione di rischio d’impresa viziata ex ante dall’indebita intromissione di un interesse conflittuale»121.

Tale impostazione appare del tutto coerente alla finalità perseguita: l’obiettivo è quello di isolare i rischi di impresa leciti (e perfino utili) da quelli meritevoli di repressione perché effetto di scelte gestionali scorrette122.

L’inserimento di un requisito di natura strettamente oggettiva completa, in questo modo, l’opera di valorizzazione del principio di offensività e di selezione dei comportamenti penalmente rilevanti123.

La nozione di danno va necessariamente enucleata adottando un criterio ispirato non soltanto a canoni di proporzionalità quantitativa e qualitativa in relazione alle attività operative e gestionali, ma anche parametrata sull’entità del patrimonio societario: è necessario distinguere l’evento di danno da tutte quelle lesioni economiche che si risolvono in pregiudizi insignificanti ed irrilevanti124.

Come già evidenziato, il danno deve incidere sui beni sociali o del terzo.

Alcuni autori, facendo leva sull’ampiezza della nozione di “interesse sociale”, ritengono si possa prendere come riferimento una nozione ampia di danno125 comprensiva oltre che del danno emergente anche del lucro cessante e della perdita di chances126.

121 L.F

OFFANI, Le infedeltà, cit., p. 353.

122 E.M

USCO, I nuovi reati societari, cit., p. 218; in senso conforme A.CRISTIANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 175 rileva che «la ricerca di una sorta di determinismo fra il “conflitto di interesse”, (…) e la volontaria causazione del danno dovrebbe portare a distinguere gli effetti patrimoniali negativi di un certo atto di gestione scorretta, da quelli, eventualmente analoghi, di una determinazione amministrativa sbagliata. Non si devono confondere i profili oggettivi da quelli soggettivi (…) nonché nel caso dell’infedeltà patrimoniale, il danno che realizza l’evento tipico (…) deve risultare (…) come determinato da una scelta gestionale preferenziale dovuta all’interesse in conflitto (…)».

123 Ibidem, p. 218; contra cfr., V. M

ILITELLO, L’infedeltà patrimoniale (Art. 2634 c.c.), cit., p. 486, nell’esaminare l’inserimento della locuzione “altro vantaggio” all’interno del dolo specifico, afferma che in tal modo si incrina il carattere esclusivamente patrimoniale dell’offesa e si attribuisce l’intero compito di selezionare il rischio di impresa lecito dalle condotte penalmente rilevanti all’intenzionalità del danno stesso. L’A. rileva, infine, che tale spartiacque dovrebbe essere costruito, in modo più opportuno, dalle regole oggettive e prudenziali che caratterizzano la gestione d’impresa. Si legge: «la norma del nuovo art. 2634 c.c. ha invece ritenuto di non dover risolvere il problema sul piano oggettivo del rischio lecito ma di aggiungere il riferimento all’avverbio intenzionalmente rispetto alla causazione del danno patrimoniale».

124 In termini analoghi si esprime A.C

RISTIANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 172.

125 Cfr. F.A

NTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Milano, 1987, p. 266 intende per danno «il nocumento causato dal comportamento illecito e il suo carattere patrimoniale consiste in una privazione o diminuzione del complesso dei valori che compongono il patrimonio presente o futuro, sia nella forma del pregiudizio emergente che del lucro cessante: può essere immediato e diretto o consequenziale e indiretto purchè reale».

Tale interpretazione del danno è contestata da altra parte della dottrina127 sulla base di due due ordini di ragioni:

1) così facendo si rischierebbe di confondere il danno penalisticamente rilevante da un lato con il concetto di nocumento di cui all’art. 2635 c.c., e dall’altro con la nozione civilistica di danno risarcibile;

2) si tutelerebbero utilità future non ancora entrate nel patrimonio sociale, che come tali non rappresentano un bene sociale e non possono ricevere alcuna tutela poiché non determinano una perdita patrimoniale.

Più di recente è stato sottolineato128 come un ulteriore indice a sostegno della tesi più rigorosa andrebbe ricavato da un lettura sistematica e dal confronto fra l’art. 2634 c.c. con la successiva fattispecie di corruzione tra privati di cui all’art. 2635 c.c., che sia nella versione introdotta nel 2002 che nella vigente riformulata ad operata del D.Lgs. n. 38/2017, individua l’evento con i termine nocumento la cui portata semantica – più ampia rispetto al concetto di danno patrimoniale – abbraccia anche il lucro cessante. La giurisprudenza129, chiamata di recente a pronunciarsi sul punto, sembra aderire alla tesi maggiormente rigorista che tende ad escludere la riferibilità del danno anche al lucro cessante finirebbe per estendere la nozione di bene sociale – oggetto dell’atto dispositivo dall’amministratore infedele – anche ai cespiti non ancora facenti parte del patrimonio della società sui quali vi è solo una aspettativa, per quanto ragionevole, di ingresso nell’attivo patrimoniale dell’ente.

126 In questo senso si esprimono L. F

OFFANI, Art. 2634 c.c., cit, 2518 ss.;G.SANDRELLI, L’infedeltà patrimoniale, in Il nuovo diritto societario, a cura di S. Ambrosini, II, Torino, 2005, p. 503; M. BELLACOSA, Obblighi di fedeltà dell’amministratore di società e sanzioni penali, Milano - Roma, 2006, 126; C.SANTORIELLO, Il reato di infedeltà patrimoniale, in La disciplina penale dell’economia, vol. II, Società, fallimento e finanza, a cura di C. Santoriello, Torino, 2008, p. 179.

127 Aderiscono a questa impostazione E. A

MATI, Infedeltà patrimoniale, cit., p 415; M. MASUCCI, Infedeltà patrimoniale e offesa al patrimonio nella disciplina penale dei gruppi di società, Napoli, 2006, 127; A.L.MACCARI, Art. 2634 c.c., cit, p. 157; C.BENUSSI, Infedeltà patrimoniale e gruppi di società, cit., p. 227; E.MEZZETTI, L’infedeltà patrimoniale nella nuova dimensione del diritto penale societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p. 226.

128 In questo senso P.C

HIARAVIGLIO,L’evento nei delitti di impedito controllo e di infedeltà patrimoniale: un confronto strutturale, in Le Società, 2017, n. 11, p. 1265 ss. il quale sottolinea come «(…) questa soluzione sembra suggerita anche dal raffronto terminologico fra il previgente art. 2631 c.c. - ove, al secondo comma, si evidenziava come evento dannoso un pregiudizio (nell’ambito del quale sarebbe rientrato sicuramente il lucro cessante) e l’attuale norma incriminatrice dell’infedeltà patrimoniale, per la quale il legislatore ha espressamente scartato le espressioni pregiudizio e nocumento e, scegliendo il danno patrimoniale, ha sottolineato un differente rationale anche dal punto di vista dell’individuazione degli effetti tipici della condotta.».

Come per tutte le figure criminose costruite sul modello di “reato ad evento di danno”, è necessario che il danno medesimo sia causalmente riconducibile alla condotta del soggetto e rappresenti la conseguenza diretta dell’atto di disposizione dei beni sociali. Pur senza voler confondere il piano sostanziale con il piano processuale, le peculiarità delle delibere collegiali e delle operazioni compiute in seno ai gruppi di società non sempre renderà agevole l’accertamento della concomitante presenza di tutti i requisiti.

8. La duplicità delle forme di dolo e i controversi margini di sopravvivenza del dolo

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