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Il gruppo come impresa giuridicamente unitaria: irrilevanza della questione e persistenza delle problematiche connesse all’esercizio dell’attività di gruppo.

IL FENOMENO DEI GRUPPI DI SOCIETA’.

1. La nascita e lo sviluppo dei gruppi: nuovi fenomeni imprenditoriali e nuove forme organizzative per l’esercizio dell’impresa.

1.4. Il gruppo come impresa giuridicamente unitaria: irrilevanza della questione e persistenza delle problematiche connesse all’esercizio dell’attività di gruppo.

La tesi innanzi esposta ha il pregio di ascrivere l’attività svolta dal gruppo, pacificamente qualificata come unitaria sotto il profilo economico, ad un’unica impresa.

244 Trib. Verona 7 febbraio 1990, ric. Merlini, in Società, 1990, p. 1665 e Riv. dir. comm., 1993, II, p. 259;

App. Roma 22 febbraio 1996, Banco Sicilia c. soc. Martini e Neri, in Foro it., 1997, I, c. 1, p. 1616.

245 A. M

IGNOLI, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, cit., p. 729 ss.; P. MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, cit., p. 710 ss. secondo i quali affermare la legittimità del perseguimento dell’interesse di gruppo a condizione che la singola società controllata non subisca un pregiudizio equivarrebbe a negare la possibilità al gruppo di operare sfruttando i vantaggi di tale organizzazione.

Tale operazione ermeneutica è consentita in quanto, ormai, la categoria dell’impresa è generalmente riconosciuta e qualificata sul piano dell’attività246.

Occorre però valutare quali corollari derivino da siffatta impostazione. Infatti, una volta accettato che, almeno in certi casi, l’attività svolta attraverso una struttura di gruppo possa assumere i caratteri necessari per configurare un’attività di impresa in senso giuridico, bisogna analizzare le potenziali conseguenze.

Come rilevato da gran parte della dottrina, allo stato attuale (ed a seguito della soppressione dell’ordinamento corporativo) la disciplina ricollegabile all’art. 2082 c.c. (ossia all’impresa) è «di dubbia identificazione e difficilmente pensabile come sistema (cioè razionalmente ordinabile)» 247. All’interno di tale scarna disciplina ciò che assume rilievo è la differenza tra l’impresa agricola, il piccolo imprenditore e l’impresa commerciale medio-grande. Solo per quest’ultima, infatti, il legislatore ha previsto una vera e propria regolamentazione (il c.d. statuto dell’imprenditore commerciale) mentre la qualificazione delle altre ha un rilievo esclusivamente negativo: in pratica, consiste nella disapplicazione per tali soggetti della disciplina stessa, sostanziandosi nell’assoggettabilità o meno dell’imprenditore alle procedure concorsuali248.

Si condivide quanto sostenuto da Tombari:

«ne consegue che, allo stato attuale della legislazione, il problema del gruppo come impresa giuridicamente unitaria rileva essenzialmente, per non dire esclusivamente, al fine di ricostruire la disciplina applicabile al gruppo in ipotesi di crisi ed è invece del tutto irrilevante nella prospettiva di un diritto dei gruppi come diritto di organizzazione (…) siamo proiettati, in altri termini, nella dimensione patologica della vita del gruppo e non in quella fisiologica»249.

Può affermarsi, quindi, che il tentativo teorico di ricondurre un’attività economica, esercitata da una pluralità di società distinte, ad un’impresa unitaria è possibile – in

246 C.A

NGELICI, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2008, p. 217 ss.

247 P.S

PADA,voce Impresa, in Dig. discipl. priv., Sez. comm. VII, Torino, 1992, p. 38

248 P.G.J

AEGER-F.DENOZZA,Appunti di diritto commerciale, Milano 1997, p. 81 sottolineano come «la ragione principale che induce a dedicare tanta attenzione alla possibilità di definire un imprenditore come agricolo oppure come commerciale, come piccolo oppure come medio-grande, è costituita proprio dalla necessità di decidere se egli deve o meno fallire».

249 In questi termini U. T

OMBARI, Il gruppo di società, Torino 1997, p. 93 ss. Dallo stesso si trae ispirazione per le soluzioni che si prospetteranno nel corso del paragrafo.

quanto l’impresa è «giuridicamente una attività e non è mai soggetto o centro di imputazione»250 – ma di scarsa rilevanza pratica251.

Infatti, pur riuscendo ad individuare nel gruppo un’attività di impresa giuridicamente unitaria, persiste il problema dell’imputazione della disciplina alla fattispecie dell’impresa: occorre, in altri termini, ricercare il soggetto a cui ricollegarla.

Essendo attualmente del tutto pacifico che nel nostro ordinamento il criterio di imputazione è quello della spendita del nome, ne consegue che «centri di imputazione» sono necessariamente le singole società, nel nome delle quali sono state svolte le varie sub-attività (che a loro volta costituiscono una parte dell’attività unitaria svolta dal gruppo nel suo complesso).

Persino chi sostiene che si possa parlare di un’unica impresa riconosce di non poterla attribuire ad un unico soggetto ed è costretto ad introdurre il concetto di «fase» del processo di produzione. Solo in questo modo ogni fase è ricondotta ad un soggetto – le diverse società appartenenti al gruppo – quale destinatario della relativa disciplina252. Dunque, la configurazione del gruppo come più imprese giuridicamente indipendenti facenti capo ad altrettanti imprenditori ovvero come impresa unitaria le cui fasi sono riferite a soggetti diversi non risolve il problema: la disciplina di riferimento si applica, in entrambi i casi, a soggetti differenti253.

250 F.G

ALGANO, Il punto sulla giurisprudenza in materia di gruppi di società, in Contr. Impr., 1991, p. 900-901 sostiene: «nella letteratura in materia di gruppi talvolta affiora un equivoco del quale bisogna liberarsi. Si suppone che, per affermare l’esistenza di un'unica impresa di gruppo, occorra superare lo schermo della distinta personalità giuridica delle società e ricondurre il gruppo ad un unico soggetto di diritto. Va ribadito che l’unicità dell’impresa non richiede affatto l’unicità del soggetto che la esercita»

251 In questo senso anche F. S

ETTE, Dal gruppo di imprese all’impresa di gruppo, in Riv. dir. civ., 1992, p. 282 il quale cerca di costruire il gruppo come impresa unitaria, anche se in una prospettiva più ristretta rispetto a Galgano, in quanto ritiene possibile ravvisare un’unica impresa solo nei c.d. gruppi integrati. L’A. si spinge sino ad attribuire «la titolarità dell’impresa unitaria di gruppo (…) alla società capogruppo in quanto in quest’ultima è dato rinvenire quel potere di organizzare e governare che è elemento essenziale della qualifica di imprenditore». Tuttavia, pur difendendo la tesi sostenuta, l’A. è costretto ad ammettere che, de jure condito, una tale operazione non avrebbe rilevanza ai fini del diritto societario e in particolare in tema di responsabilità patrimoniale (pp. 279 e 280) e che «alcuni dei fenomeni studiati come profili di emersione della rilevanza positiva dell’impresa unitaria di gruppo possono essere spiegati anche altrimenti (p. 280)».

252 Ci si riferisce a F. G

ALGANO, L’oggetto della holding è dunque l’esercizio mediato e indiretto dell’impresa di gruppo, cit., p. 401 secondo cui «società holding e società controllate non esercitano imprese diverse, ma esercitano fasi diverse della medesime impresa», e ribadisce che il fenomeno della scomposizione dell’impresa per fasi, ciascuna imputata ad un soggetto diverso, è già conosciuto dal nostro ordinamento all’art. 2602 c.c., in materia di consorzi tra imprenditori.

253 Ibidem, p. 401 rileva come l’operazione non sia del tutto priva di significato evidenziando diversi

Senza indugiare oltremodo, si potrebbe sostenere (de jure condendo, essendo gli appigli normativi per una interpretazione de jure condito eccessivamente esigui) che di fronte all’incalzare dei tempi e all’emersione di nuove strutture organizzative per l’esercizio dell’impresa – come, appunto, nel caso del gruppo – sia opportuno ricercare nuovi criteri di imputazione idonei a far assumere la qualifica di imprenditore a chi di fatto dirige la struttura imprenditoriale.

Tuttavia un’operazione interpretativa (rectius: creativa) di questo tipo avrebbe un ben preciso costo giuspolitico: verrebbero vanificati i principali motivi che sono all’origine della formazione dei gruppi, ossia la possibilità di fruire di quella maggior limitazione di responsabilità garantita dal riferire ogni singola parte dell’attività unitaria a soggetti diversi. Un ovvio canone ermeneutico impone invece di prediligere, tra le diverse strade percorribili, quella che permette di far sopravvivere un fenomeno esistente e ritenuto – almeno nella sua fase fisiologica – legittimo e meritevole di tutela254.

Per tentare una risposta alle problematiche connesse all’esercizio dell’attività di impresa sotto forma di gruppo occorre fare un passo indietro ed esaminare le disposizioni normative disseminate dal legislatore nel corso degli anni nei diversi rami dell’ordinamento. Data la frequente disorganicità di tali norme non si potrà prescindere dall’interpretazione della dottrina e dalle applicazioni della giurisprudenza, sempre sensibili al tema.

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