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L’equivoca chiave di valutazione cui rapportare la sussistenza della compensazione.

LA CLAUSOLA DEI VANTAGGI COMPENSATIVI.

3. La soluzione accolta dal legislatore: la clausola dei vantaggi compensativi.

3.3. La formulazione penalistica.

3.3.2. L’equivoca chiave di valutazione cui rapportare la sussistenza della compensazione.

Il legislatore penale ha ancorato la sussistenza della compensazione all’accertamento del conseguimento di un profitto non ingiusto da parte della società collegata o del gruppo. L’utilizzo di siffatta chiave di valutazione per verificare la sussistenza di vantaggi compensativi ha suscitato le maggiori problematiche a causa di divergenti – e spesso addirittura contrapposte – opinioni dottrinali.

A tal riguardo Foffani ha rilevato come sia proprio questo uno degli aspetti più spinosi della clausola in esame: si tratterebbe, infatti, di

«una chiave di valutazione equivoca, in quanto la compensazione della società svantaggiata e un corretto riequilibrio dei rapporti infragruppo deve necessariamente passare per la

sarebbe stata di lì a poco colmata dall’intervento del legislatore civile. Aspettativa che è stata totalmente disattesa: il legislatore civile non si è impegnato in una definizione del gruppo e «pudicamente» evita di menzionarlo.

517 Si esprime in questi termini G.B

ERSANI,Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi nel diritto penale societario e fallimentare, in Il Fisco, 2004, p. 6629. Si ricorda, infatti, che il Progetto Pagliaro all’art. 112 n. 2 specificava non essere «ingiusto il profitto dell’impresa collegata, ove questo sia compensato dai riflessi favorevoli per l’impresa per il cui conto l’atto è compiuto». In senso analogo si esprime A.D’AVIRRO,L'infedeltà patrimoniale. Art 2634 c.c., cit., p. 126 ove afferma che l’omissione «non desta particolari perplessità» in quanto «la norma, facendo riferimento ai vantaggi derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo si richiama implicitamente all’impresa che ha posto in essere l’atto di disposizione da cui può derivarle, proprio per l’appartenenza al gruppo e in maniera anche indiretta o mediata, un vantaggio compensativo. D’altra parte anche se la norma non ne fa un espresso richiamo, non si vede a chi debba essere riferito il vantaggio compensativo se non all’amministratore dell’impresa che ha posto in essere l’atto di disposizione dei beni sociali».

considerazione dell’elemento del danno (della singola società sacrificata), e non già del profitto (della società collegata o del gruppo) perseguito dal soggetto agente»518.

Altra parte della dottrina si mostra di avviso diametralmente opposto argomentando che il riferimento ad un mero calcolo costi/benefici (ovvero rapportare il pregiudizio subito dalla società per l’atto di disposizione impostole con i vantaggi derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo) avrebbe l’effetto di garantire maggiore certezza per l’amministratore sui margini di liceità della propria condotta, ma comporterebbe un prezzo eccessivo. Infatti, delimitare la tipicità della condotta sul piano oggettivo comporta che la valutazione di liceità debba operarsi sul semplice raffronto tra la verificazione – o meno – di un danno in un determinato momento per la singola società; considerato che il danno, o comunque il pregiudizio, è sempre in agguato nel rischio di impresa, si giungerebbe a «trasformare ogni operazione rischiosa in un tentativo di amministrazione abusiva»519.

Entrambe le tesi mirano a specificare i termini di valutazione dei vantaggi compensativi. La prima si pone in una prospettiva oggettiva, o meglio tenta di oggettivizzare il procedimento valutativo al fine di circoscrivere l’elemento materiale del reato. La difficoltà consiste nel fatto che non può mai trattarsi di una vera e propria compensazione in senso tecnico-giuridico, poichè il procedimento tende a “pareggiare” entità non perfettamente omogenee né immediatamente raffrontabili: un elemento certo (pregiudizio subito dalla singola società) con altro incerto (vantaggio fondatamente prevedibile derivante dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo).

La teoria in esame mostra i suoi benefici effetti in relazione ai vantaggi «conseguiti», qualora il giudizio compensativo abbia esito positivo: l’amministratore può fondare la

518

L. FOFFANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 2525 ritiene che «sulla base della peculiare formula adottata, paradossalmente, quello che meno rischierebbe sotto il profilo penale sarebbe il gruppo programmaticamente inefficiente, ossia quello che, pur penalizzando l’interesse sociale particolare di taluna sua componente, non riveli lo scopo di perseguire – ne si riveli capace di produrre – alcun profitto. Dello stesso avviso N.ABRIANI,Gruppi di società e criterio dei vantaggi compensativi nella riforma del diritto societario, cit., p. 619 propone una rilettura della norma in questi termini «non si considera ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo qualora il danno patito a seguito di tale operazione da altra società del gruppo sia compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo».

519 V.M

ILITELLO, L'infedeltà patrimoniale. Art 2634 c.c., in AA. VV., I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di A. GIARDA, S. SEMINARA, Padova 2002, p. 490 sostiene che «a far preferire il riferimento all’ingiustizia del profitto è tuttavia il dato che per questa via si segnala subito all’interprete la necessità di non considerare in modo atomistico la società interessata, ma di collocarla nella più ampia dimensione del gruppo. Riferirsi invece all’oggettiva considerazione costi-benefici, ancorchè solo ragionevolmente attesi, potrebbe indurre a sottovalutare i benefici derivanti dall’appartenenza al gruppo, almeno finchè non vi sia alcun riconoscimento generale del gruppo e della sua legittimità di principio».

sua innocenza su un dato oggettivo consistente nella sopravvenuta mancanza del danno o, più precisamente, l’integrale eliminazione dello stesso.

La seconda tesi, strettamente legata al dato letterale, valorizza l’elemento psicologico permettendo una valutazione più libera ed elastica. Ritiene soddisfatta la clausola non se il pregiudizio venga compensato, ma quando lo stesso non costituisca il prezzo del conseguimento di un vantaggio ingiusto, essendo l’operazione finalizzata al perseguimento di un vantaggio non solo per il gruppo ma (pur se solo fondatamente prevedibile) anche per la società amministrata. La legittimità della gestione viene valutata con parametri più elastici, alieni da altrimenti innumerevoli difficoltà probatorie, e valorizzando i vantaggi derivanti dall’appartenenza al gruppo.

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