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La condotta tipica: il compimento o il concorso nella delibera di atti dispositivi.

La fattispecie è stata strutturata come reato di azione con evento di danno98.

Sono previste due condotte alternative, in sé «neutre»99 in quanto non descrivono altro che il contenuto dell’attività gestionale dell’organo amministrativo e dei dirigenti. Trattandosi di qualificazione estremamente ampia, l’interprete deve muoversi – come di norma, peraltro, in materia penalistica – nel pieno rispetto del principio di legalità100 di cui all’art. 1 c.p.

Non si rinviene alcun richiamo espresso a forme tipiche con cui si realizza la violazione del dovere di fedeltà, quali l’abuso di potere e/o la violazione di dovere101. Dunque, unico filtro selettivo per attribuire o meno rilevanza penale alla condotta tipica è il presupposto conflittuale unito alla particolare ‘colorazione’ del dolo e alla causazione del danno.

Per maggiore chiarezza espositiva, devono delinearsi innanzitutto i contorni delle due condotte alternativamente richieste dall’art. 2634 c.c.: “compiere” o “concorrere a deliberare”. Poi, dovrà essere analizzata la nozione di “atto di disposizione”.

Con la prima condotta in esame – compimento di atti dispositivi – il legislatore ha voluto dar rilievo a qualsiasi impiego dei beni sociali, da parte del titolare dei poteri gestori, in violazione ai doveri che da tale posizione conseguono.

«alla connotazione in termini sostanziali del conflitto di interessi si aggiunge il requisito della sua negoziabilità, rimessa alla valutazione dell’organo gestorio. La decisione di procedere al compimento dell’operazione, anche se viziata dalla situazione di conflitto, proietterà la sua efficacia scriminante rispetto all’amministratore infedele, anche dinanzi all’esito sfavorevole dell’operazione».

98 Così la Relazione illustrativa allo Schema di disegno di legge delega per la riforma del diritto

societario, in Riv. soc., 2000, p. 79.

99 E.A

MATI, Infedeltà patrimoniale, cit., p. 410.

100 A. C

RISTIANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 170 ritiene «questa riflessione (…) fondamentale perché si riferisce a condotte comunemente dovute, e comunque lecite, che assurgono al livello di rilevanza penale solo nel contesto dell’interesse individuale in conflitto».

101

La Relazione illustrativa allo Schema di disegno di legge delega per la riforma del diritto societario, cit., p. 79, espressamente afferma “scartando soluzioni imperniate su concetti del tipo «abuso dei poteri» o «violazione dei doveri», il cui impiego rischierebbe di dilatare eccessivamente la figura criminosa, rendendone insufficientemente definiti i confini (…)”.

Sono sicuramente sussumibili nella formulazione numerosi comportamenti infedeli posti in essere dall’amministratore unico, le attività gestorie compiute al di fuori di una deliberazione collegiale e i comportamenti non deliberativi. Si è voluto, così, colmare quel vuoto normativo da tempo denunciato dalla dottrina in relazione alla previgente disciplina di cui all’art. 2631 c.c.

Maggiori difficoltà si presentano all’interprete in relazione alla seconda condotta, definita dal legislatore come “concorrere a deliberare atti di disposizione”.

La condotta è strutturata sull’attività collegiale e presuppone la compartecipazione di più soggetti: si è domandato, pertanto, quali fossero i caratteri di tale attività congiunta. Benché la lettera della norma si incentri sul momento deliberativo, secondo la dottrina maggioritaria non è richiesta tanto una compartecipazione materiale102 nell’approvazione della delibera, quanto l’apporto, da parte dell’agente, di un contributo causale effettivo103 all’approvazione stessa.

Con tali premesse, è evidente come non siano più consentite le numerose interpretazioni formalistiche, coniate in relazione alla vecchia figura sanzionatoria del conflitto di interessi, che attribuivano rilevanza alla mera partecipazione alla formazione della delibera anche se adottata con il voto contrario dell’amministratore in conflitto. L’impiego del verbo “concorrere”, infatti, richiama la necessità di un contributo apportato dal soggetto agente all’adozione della delibera. Ciò non implica, tuttavia, che il voto dell’amministratore in conflitto debba essere stato decisivo, ben potendosi ritenere responsabile anche l’amministratore che si sia astenuto dal voto o che addirittura – ma la dottrina è controversa – non abbia partecipato alla seduta consiliare, pur avendo posto in essere una condotta causalmente idonea all’approvazione della delibera stessa104.

102 Di questo avviso è A.C

RISTIANI, Art. 2634 c.c., cit., p 170 secondo il quale «il verbo “concorrono a deliberare” deve chiaramente essere inteso non soltanto con riferimento al momento giuridico formale della deliberazione direttamente partecipata, ma anche alla sua formulazione e preparazione tecnica»; contra E.AMATI, Art. 2634 c.c., cit., p. 411 il quale sostiene che «la condotta dell’amministratore inerte al momento della votazione non pare possa assumere rilevanza alla luce del dettato normativo. La condotta tipica, invero, è incentrata sul momento deliberativo e non su tutte quelle attività meramente prodromiche alla deliberazione assembleare».

103 Sottolinea l’esigenza del nesso di causalità tra condotta del soggetto attivo e approvazione della

delibera E. AMATI, Infedeltà patrimoniale, cit., p. 410: «la condotta di partecipazione alla delibera presuppone che il soggetto abbia apportato “un contributo causale effettivo”».

104

C.BENUSSI, Infedeltà patrimoniale e gruppi di società, cit., p. 183, ritiene «che non vi siano ostacoli per affermare la rilevanza penale di queste condotte quando abbiano sortito l’effetto di indurre gli altri componenti dell’organo sociale a votare contro l’interesse sociale»; in senso contrario E.AMATI, Art. 2634 c.c., cit., p. 411 ss.

La lettera della legge, secondo l’opinione dominante, rimanda ad un comportamento di tipo attivo105, d’onde l’inammissibilità di condotte omissive: l’amministratore che rimane inerte o diserta l’assemblea non potrebbe quindi essere sanzionato. Occorrono, al riguardo, alcune precisazioni.

Innanzitutto, ai sensi dell’art. 48 c.p., viene reputato responsabile il soggetto che abbia taciuto la sua posizione di conflitto così da indurre in errore gli altri consiglieri.

In secondo luogo, l’irrilevanza della condotta omissiva non esclude che il soggetto sia ritenuto responsabile, ai sensi dell’art. 110 c.p., in concorso con l’intraneus e sempre che, in capo a quest’ultimo, sussistano tutti gli estremi della fattispecie tipica e che l’extraneus abbia una corretta rappresentazione e volizione degli stessi106.

Infine, potrebbe emergere una responsabilità omissiva, a norma dell’art. 40 co. 2 c.p., allorchè l’amministratore non abbia impedito il compimento dell’atto dispositivo in danno della società107. L’art. 2392 c.c., infatti, pone un principio di ordine generale per il quale è obbligo giuridico degli amministratori impedire gli atti pregiudizievoli per la società.

«In tale ipotesi coloro che omettono di provvedere cagionano l’evento vietato in forza anche di una loro condotta propria consistente nel mancato esercizio dei loro poteri-doveri. Ovviamente occorre che vi sia la prova che l’omissione abbia avuto un ruolo di condizione necessaria per la commissione del reato»108.

105 Cfr. E.M

USCO, I nuovi reati societari, cit., p. 212; V.MILITELLO, Infedeltà patrimoniale e corruzione nel futuro del diritto penale societario, cit., p. 483; in senso contrario C.BENUSSI, Infedeltà patrimoniale e gruppi di società, cit., p 183 e A.DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Milano 2003, p. 177.

106 Sul punto si veda Cass. pen., Sez. III, 20 luglio 2017, n. 35767 fattispecie nella quale è stato assolto

per non aver commesso il fatto un soggetto che era stato accusato in concorso con il padre, amministratore della società danneggiata, del reato di cui all’art. 2634 c.c. per aver acquistato un terreno ad un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato. In particolare la Corte ha rilevato come «(…) il convincimento circa la partecipazione concorsuale dell'extraneus (figlio dell'amministratore della società) fosse stata tratta esclusivamente dal vantaggio patrimoniale che, per il tramite del reato commesso dall'intraneus, il concorrente ha realizzato il quale, sebbene idoneo a costituire un indizio grave circa la compartecipazione criminosa del concorrente esterno, non può certo ritenersi sufficiente per pervenire ad un giudizio di colpevolezza fondato sul canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio, dovendosi distinguere la condotta dell'intraneus che vende, ad un soggetto in relazione al quale sussiste conflitto di interessi, un bene di proprietà della società della quale sia l'amministratore ad un prezzo inferiore rispetto al reale valore di mercato, integrando così pienamente il delitto di infedeltà patrimoniale, dalla condotta dell'acquirente extraneus per il quale occorre un "quid pluris", ricavabile dalle modalità e circostanze del fatto, che dimostrino concretamente il raggiungimento di un'intesa con il concorrente qualificato o, quanto meno, una pressione diretta a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illecito».

107 Per un’ampia disamina, cfr. C.B

ENUSSI, Infedeltà patrimoniale e gruppi di società, cit., p. 138 ss.

108 G.S

Alcuni autori rilevano però l’indeterminatezza di tali obblighi, da un lato, e dall’altro l’insussistenza in capo al singolo amministratore di poteri adeguati a fronteggiare l’assunzione della delibera dannosa109.

Per meglio comprendere le condotte sopra analizzate occorre soffermarsi sul concetto di “atti dispositivi di beni sociali”, autorevolmente considerato «il punto nevralgico nell’esegesi di questa norma, in quanto facilmente esposto al doppio rischio di interpretazione in difetto110 o in eccesso111».

Si tratta certamente di una formulazione volta a ricomprendere tutte quelle condotte che implicano un trasferimento di elementi patrimoniali nell’ambito dell’esercizio di impresa. Secondo la ancora attuale definizione di Pietro Nuvolone sembra doversi intendere «per atti di disposizione (…) quegli atti che, in parte o totalmente, sono rivolti a mutare la funzione economica della res».

Secondo la dottrina maggioritaria, la lettera della norma non è compatibile con le condotte omissive112, che potranno assumere rilevanza solo nel caso di concorso di persone nel reato113.

109 G.S

CHIAVANO, Riflessioni sull’infedeltà patrimoniale societaria (art. 2634 c.c.), cit., p. 821; contra C. BENUSSI, Infedeltà patrimoniale e gruppi di società, cit., p. 191 ss. ove sostiene che «i doveri che incombono sui soggetti attivi del reato hanno una latitudine i cui confini non sono incerti, essendo tutti desumibili dalla disciplina civilistica».

110 F. M

UCCIARELLI, Il ruolo dei «vantaggi compensativi» nell’economia del delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, in Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, in Giur. comm., 2002, I, p. 630 afferma che il riferimento agli atti di disposizione sarebbe «enormemente limitativo, perché sembra escludere dall’ambito di operatività della norma una serie amplissima di operazioni (fusioni, scissioni ecc.) che ben possono essere deliberate o compiute seguendo un interesse confliggente e che non paiono certo riconducibili alla nozione di «atto di disposizione dei beni sociali».

111

A. DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, cit., p. 176 secondo il quale «il concetto di atto di disposizione è di tale ampiezza da ricomprendere non solo le ipotesi di contratti con i terzi, ma anche quelle di contratto con se stesso (…)».

112 Già in sede di lavori della commissione Mirone si riteneva opportuno tenere fuori dalla portata del

precetto la condotta omissiva, «considerata la natura meramente normativa dell’omissione e l’estrema varietà e genericità degli obblighi gravanti sui destinatari del precetto» come si può leggere nella Relazione illustrativa allo Schema di disegno di legge delega per la riforma del diritto societario, cit., p. 79 ss; in senso conforme anche V. NAPOLEONI, Prospettive di riforma in tema di tutela penale del patrimonio sociale contro gli abusi dell’organo gestorio, in Le società, 2000, p. 208 dove afferma che “il carattere meramente normativo dell’omissione, da un lato; l’estrema ampiezza e genericità delle norme che delineano i doveri degli amministratori, dall’altro, farebbero ripiombare inevitabilmente nelle nebbie i confini delle fattispecie oggettiva, rimettendo all’estro del giudice penale la formulazione del rimprovero «dovevi fare e non hai fatto»; E.MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 143 si mostra critico nei confronti di tale scelta in quanto potrebbe derivarne «un pericoloso vuoto di tutela tutte le volte in cui il titolare del potere gestorio, in conflitto di interessi, cagioni intenzionalmente un danno patrimoniale alla società da lui amministrata semplicemente decidendo di non compiere una determinata operazione per essa vantaggiosa». Altra argomentazione di carattere sistematico si ricava dall’inclusione espressa di condotte omissive nell’art. 2635 c.c., con conseguente applicazione del brocardo ubi lex voluit, dixit; afferma la possibilità di far rientrare nella figura criminosa anche le condotte omissive C. BENUSSI, Infedeltà patrimoniale e gruppi di società, cit., p. 191 ss.

Sul punto di recente la giurisprudenza si è espressa in senso favorevole all’integrazione della condotta mediante omissione statuendo che

«(…) in via di principio, pertanto, le condotte omissive non rientrano nel fuoco della norma incriminatrice. Ciò non toglie, però, che le omissioni possano, in particolari situazioni, assumere la medesima valenza delle "azioni", determinando - in sinergia con l'azione di terzi o con l'evoluzione di situazioni sfavorevoli all'impresa, non contrastate dall'amministratore - la compromissione dell'interesse protetto dalla norma (l'integrità del patrimonio sociale). In casi siffatti la condotta omissiva dell'amministratore assume i medesimi connotati della condotta commissiva, perchè si avvale dell'azione di terzi o di forze estranee all'impresa per raggiungere il medesimo risultato antigiuridico contemplato dalla norma. Non v'è ragione, pertanto, di trattare l'inazione dell'amministratore - quando sia inequivocabilmente espressione, rispetto ai diritti della società amministrata, di una volontà abdicatrice - quale "omissione", invece che come condotta positivamente volta a compiere l'azione vietata dall'ordinamento dell'impresa114»

Parimenti, restano fuori dal campo applicativo della fattispecie incriminatrice gli atti meramente organizzativi115 – quali l’aumento di capitale, le fusioni o le scissioni di società – poiché tali operazioni, pur potendo essere realizzate in una situazione di conflitto di interessi e causare un danno patrimoniale alla società, non comportano alcuna immediata disposizione dei beni sociali. Rientrano invece le assunzioni di obbligazioni116, in quanto determinano un vincolo giuridico sui beni della società. Si tratta, però, di una soluzione non unanimemente condivisa in dottrina poiché alcuni autori sostengono la soluzione negativa, pur criticando i risultati a cui si perverrebbe in

113

G. SCHIAVANO, Riflessioni sull’infedeltà patrimoniale societaria (art. 2634 c.c.), cit., p. 819 ss, afferma che «se si ha riguardo al fatto che il soggetto è titolare di una posizione di garanzia e, quindi, di poteri-doveri da esercitare nell’interesse altrui (la società), ne deriva che anche l’omissione di atti dovuti, che pregiudicano patrimonialmente l’interesse sociale, devono ritenersi punibili». L’A. precisa poco dopo che «la condotta omissiva rilevante deve necessariamente intervenire in concorso con la condotta effettiva di altri soggetti legittimati ad operare per la realizzazione della disposizione patrimoniale che si rileverà poi dannosa per la società»; conforme E.AMATI, Art. 2634 c.c., cit., p. 411.

114 Cfr. Cass. pen., Sez. V, 28 luglio 2017, n. 37932 fattispecie in cui un amministratore è stato ritenuto

responsabile del reato di bancarotta fraudolenta societaria ex art. 223, comma 2, n. 2 l.f. con riferimento all’art. 2634 c.c. per aver omesso di riscuotere un credito.

115 L.F

OFFANI, (voce) Società, cit., p. 1879; P.ALDROVANDI, Art. 2634 c.c., cit., p. 138; E.MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 216 ss; A.L.MACCARI, Art. 2634 c.c., cit., p. 156; V.MILITELLO, L’infedeltà patrimoniale. Art. 2634 c.c., cit., p. 483; vedasi G.SCHIAVANO per una dettagliata analisi di singoli casi in quanto evidenzia come «(…) nel relativo complesso iter formativo di ciascuna operazione vi sono deliberazioni con possibile incidenza patrimoniale negativa per la società (…). Esse possono realizzare la condotta di infedeltà patrimoniale in presenza di tutti gli altri dati normativi richiesti».

116 V.M

ILITELLO, L’infedeltà patrimoniale. Art. 2634 c.c., cit., p. 482 fa notare come tali obbligazioni, sia pure indirettamente, si traducono pur sempre in una disposizione di beni sociali essendo il patrimonio sociale a doverne sopportare il relativo costo; P. ALDROVANDI, Art. 2634 c.c., cit., p. 138; in senso adesivo, A.D’AVIRRO, L’infedeltà patrimoniale, cit., p. 352; contra, L.FOFFANI, Le infedeltà, cit. , p. 351; E. AMATI, Infedeltà patrimoniali, cit., p. 413 ss., rileva che «pur se l’opinione di chi estende l’operatività della figura di reato in esame alla mera assunzione di obbligazioni destinate a gravare sul patrimonio sociale persegue il meritevole fine di evitare una evidente lacuna di tutela, ci pare che la stessa tenda a sfociare in un’inammissibile applicazione analogica della norma».

quanto consci del fatto che tale condotta rappresenti proprio una delle modalità tradizionalmente più idonee a realizzare un’ipotesi di infedeltà gestoria117.

Rimangono escluse anche le ipotesi di approfittamento personale di occasioni d’affari (che avrebbero potuto e dovuto, invece, essere utilizzate a vantaggio della società) poiché manca un atto di disposizione di beni sociali118. Siffatte ipotesi, secondo costante orientamento della giurisprudenza tedesca, sono tutelate dalla fattispecie dell’Untreue. In conclusione, il comune denominatore delle condotte esaminate consiste nell’effettiva diminuzione del patrimonio sociale, accompagnata da una riduzione dell’attivo, e conseguente all’atto di disposizione compiuto dall’agente. La fattispecie è dunque incentrata non tanto sulla forma dell’atto quanto sull’effetto economico del danno. In ultima analisi: il danno patrimoniale delimita l’ambito e il contenuto dell’atto di disposizione e svolge – unitamente al presupposto del conflitto d’interesse – una funzione selettiva dei comportamenti penalmente rilevanti119.

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