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Con la riforma societaria il legislatore ha attribuito rilevanza giuridica al fenomeno dei “gruppi” codificando la teoria dei c.d. vantaggi compensativi, ampiamente diffusa in dottrina già a partire dagli anni ’80 e recepita anche da alcune decisioni della giurisprudenza civile.

Dapprima il progetto Mirone e, in seguito, la legge delega e il decreto delegato «hanno scelto la strada – ambiziosa ma insidiosa – di una clausola espressa sui gruppi»180 sulla falsariga di quanto alcuni anni or sono già prevedeva il progetto di riforma del codice penale, elaborato dalla Commissione Pagliaro nel 1992.

La scelta ha origine nell’accresciuta consapevolezza del legislatore circa la necessità di regolare un fenomeno dalle rilevanti problematiche penalistiche sia in relazione all’individuazione delle responsabilità dei singoli soggetti, sia in relazione al fenomeno delle c.d. politiche di gruppo, che a loro volta si riverberano in atti gestionali dannosi per il patrimonio delle società controllate (ed anche controllanti).

Si è presa coscienza del fatto che il presupposto conflittuale assume, all’interno della dinamica dei gruppi, connotati del tutto peculiari. Il comportamento del singolo amministratore, pertanto, deve essere valutato non secondo normali criteri comportamentali ma tenendo conto del fatto che, spesso, è nella condizione di dover operare una scelta sull’interesse da perseguire181. Interesse non sempre coincidente con quello della società amministrata, ma non per questo da definirsi automaticamente extrasociale, potendo rispondere ad una logica di gruppo. Devono altresì essere valutati anche eventuali riflessi positivi dell’operazione per la singola società. Solo in questa luce potrà valutarsi se l’interesse perseguito dall’agente fosse da considerare del tutto extrasociale ed egoistico o, piuttosto, finalizzato al raggiungimento di una politica di gruppo vantaggiosa anche per la società da lui amministrata.

180 L.F

OFFANI, Le infedeltà, cit., p. 360 ss; ID, Art. 2634 c.c., cit., p. 2524 ss.

181 P.M

ONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. Comm., 1995, p. 710 ss., «la revisione della teoria atomistica del conflitto di interessi deve a mio avviso fondarsi sull’idea che la compatibilità dell’interesse di gruppo con l’interesse sociale deve valutarsi in termini di razionalità e coerenza di una singola scelta, ancorché pregiudizievole per la società che la pone in essere, rispetto ad una politica generale di gruppo di medio e lungo termine, da cui ragionevolmente può derivare un vantaggio alla singola società, anche su piani economici differenti, anche in tempi diversi rispetto al momento dell’operazione ed anche secondo un parametro non rigidamente proporzionale, né necessariamente quantitativo. In tal modo si lascia un maggiore margine di discrezionalità alle politiche di gruppo».

La Relazione illustrativa al progetto pone quale scopo della norma quello di “evitare che la fattispecie si presti a qualificare penalmente, in presenza di situazioni di conflitto formale tra società del medesimo gruppo, operazioni che, isolatamente considerate, avvantaggiano l’una società ai danni dell’altra, ma si inseriscano in un panorama di scambi infragruppo, anche «in fieri», idonei ad assicurare in prospettiva un complessivo riequilibrio dei rapporti” 182.

Sul piano del diritto positivo, tale intento ha portato alla formulazione dell’art. 2634 co. 3 c.c.: “in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo”.

La complessa tematica del conflitto di interessi all’interno dei gruppi può trovare soluzione nella c.d. teoria dei vantaggi compensativi, che parrebbe codificata dal nostro legislatore sulla scorta delle indicazioni di autorevole dottrina183.

Occorrerà valutare gli interessi del gruppo e quelli delle singole società

«bilanciando gli uni e gli altri in una logica che viene definita di tipo compensativo: l’interesse del gruppo non può a priori essere considerato extrasociale e quindi generare una situazione di conflitto»184.

La predisposizione di una disciplina tale da sanzionare gli abusi perpetrati dagli amministratori (direttori generali e liquidatori) senza, per ciò solo, criminalizzare e paralizzare le “nuove” modalità di organizzazione dell’impresa è stata di difficile elaborazione anche per l’insolita funzione “di battistrada” assegnata alla norma penale in esame rispetto alla disciplina civilistica dei gruppi185.

Come rilevato dalla dottrina maggioritaria sarebbe stato opportuno prevedere, innanzitutto, una disciplina del fenomeno dei gruppi e una regolamentazione degli interessi in gioco sul piano civilistico, e solo in un secondo tempo, su questa base, individuare “spazi di liceità” che garantiscano al fenomeno di sviluppare le sinergie virtuose, reprimendo solo le condotte residuali, abusive e finalizzate al perseguimento di vantaggi ingiusti (generalmente, a scapito di tutti quei soggetti che non partecipano al gruppo di controllo).

182 A.M

IGNOLI, Interessi di gruppo e società a sovranità limitata, in Contr. Impr., 1986, p. 731.

183

Ci si riferisce in particolare a P.MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, cit., p. 710 ss.

184 Ibidem, p. 710. 185 L.F

Anche il legislatore civile, seppur in un momento successivo, ha regolamentato il fenomeno all’art. 2497 c.c., sotto la rubrica «Direzione e coordinamento di società». Già da un sommario raffronto tra le due discipline – un’analisi dettagliata verrà svolta in seguito – emerge quanto sostenuto da alcuni autori:

«sembra che, la fattispecie civilistica, meglio esprima quel giudizio di bilanciamento tra il danno subito dalla singola società – in luogo del profitto perseguito di cui parla la norma penale – e il risultato di vantaggio complessivo per il gruppo»186.

Anche il campo di applicazione dell’art. 2497 c.c. risulta più ristretto rispetto all’art. 2634 c.c. co. 3 per due ordini di motivi.

Innanzitutto, la compensazione richiesta dalla norma civile deve essere effettiva: si parla di un danno “mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”, in luogo della dizione penalistica “compensato da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili”187.

Inoltre, la compensazione non si estende ai casi in cui ci sia solamente un collegamento188, essendo ancorata al più ristretto criterio di direzione unitaria189. Tali differenze, secondo parte della dottrina, possono essere giustificate come espressione della natura sussidiaria e di extrema ratio svolta dalla disciplina penale.

186 E.M

USCO, I nuovi reati societari, cit., p. 225.

187

Secondo L.FOFFANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 2525; ID,Le infedeltà, cit., p. 357, «si tratta di una chiave di valutazione equivoca, in quanto la compensazione della società svantaggiata e un corretto riequilibrio dei rapporti infragruppo devono necessariamente passare dall’elemento del danno (della singola società sacrificata), e non già del profitto (della società collegata o del gruppo) perseguito dal soggetto agente»; nello stesso senso E.MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 224.

188 Critica il riferimento alla nozione di collegamento L.F

OFFANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 2525 affermando che «non segnala null’altro che la presenza di una influenza notevole di una società nei confronti di un’altra; senza che debba in alcun modo da ciò necessariamente inferirsi l’esistenza di legami di gruppo in senso proprio, né di rapporti di controllo, che presuppongono invece un’influenza dominante»; in senso conforme F.MUCCIARELLI, Il ruolo dei «vantaggi compensativi» nell’economia del delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, cit., p. 633, ritenendo la formula «eccessivamente flessibile, in qualche misura esangue e non facilmente compatibile con le esigenze di tassatività proprie di una norma penale».

189 Secondo R.A

CQUAROLI, Alcune osservazioni sul reato di infedeltà patrimoniale alla luce del nuovo diritto societario, cit., p. 182, «mentre nell’art. 2634 c.c. (il legislatore) ricorre alla locuzione di gruppo facendo riferimento ad un generico criterio di appartenenza, l’art. 2497 c.c., muovendosi con grande cautela, segue la diversa strada dell’individuazione dell’elemento caratterizzante la holding nell’attività di direzione e coordinamento svolta dalla società capogruppo, evitando, rispetto al fenomeno dei gruppi, i rischi sottesi ad una definizione che, proprio per le forme poliedriche che essi assumono, correva il rischio di rivelarsi inadeguata al dato fenomenico».

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