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Il comune denominatore economico come mezzo per riportare ad unità il fenomeno anche dal punto di vista giuridico: un’ipotesi dottrinale.

IL FENOMENO DEI GRUPPI DI SOCIETA’.

1. La nascita e lo sviluppo dei gruppi: nuovi fenomeni imprenditoriali e nuove forme organizzative per l’esercizio dell’impresa.

1.3. Il comune denominatore economico come mezzo per riportare ad unità il fenomeno anche dal punto di vista giuridico: un’ipotesi dottrinale.

Fin dagli anni ’70, Francesco Galgano sostiene doversi riconoscere la soggettività giuridica in capo al gruppo, non solo nella fase patologica ma anche in quella fisiologica dell’operare, come portatore di interessi ulteriori rispetto alle singole società che lo compongono.

Galgano ha sostenuto – e sostiene – che non si debba parlare di gruppi di imprese quanto piuttosto di impresa di gruppo poiché la forma di organizzazione di gruppo è caratterizzata dall’esercizio di una medesima attività tramite una pluralità di società, ricondotta ad unità sotto la direzione e il coordinamento della holding.

«Bisognava superare il diffuso luogo comune, presente anche nella giurisprudenza di merito, secondo il quale realtà economica e costruzione giuridica divergono fra loro in materia di gruppi, che per la scienza economica danno vita ad un’unica impresa, mentre il giurista è costretto ad ammettere che, essendo il gruppo formato da una pluralità di soggetti di diritto, ciascuno di questi esercita una propria e distinta impresa»238.

Tale impostazione permette di risolvere – o almeno di attenuare – alcune delle problematiche sopra menzionate. Infatti, pur riconoscendo l’autonomia delle singole società, permette di guardare il gruppo sotto una nuova ottica, e non – come spesso è stato – nella dimensione di una “mera situazione di fatto” caratterizzata dal possesso azionario di una società rispetto all’altra.

Occorre precisare che la tesi, accolta anche dalla Suprema Corte nella vicenda Caltagirone239, lungi dal considerare il gruppo come soggetto a sé stante240 chiarisce, tuttavia, i rapporti tra la holding e le altre società controllate.

238 F.G

ALGANO,L’oggetto della holding è dunque, l’esercizio mediato e indiretto dell’impresa di gruppo, cit., p. 402.

239 La vicenda giudiziaria dei fratelli Caltagirone (Gaetano, Francesco e Camillo) inizia con la

dichiarazione di fallimento ad opera del Tribunale di Roma con sentenza datata 15 marzo 1980 per concludersi con la sentenza della Suprema Corte del 26 febbraio 1990 n. 1439. Il giudice di merito ritiene i tre soggetti non solo imprenditori commerciali a titolo individuale in quanto ciascuno titolare di una impresa edilizia, ma anche in quanto titolari di una holding individuale. I Caltagirone, infatti, esercitavano un’attività di finanziamento, di gestione e di amministrazione di un patrimonio costituito dalle società di capitali controllate, mediante una vera e propria osmosi di capitali formalmente intestati alle varie società partecipate ma sostanzialmente concentrati in una sola mano per ciascun gruppo. L’attività svolta piuttosto che essere ascritta alla normale gestione di un pacchetto azionario viene considerata una vera e propria attività imprenditoriale (di direzione unitaria). Per un maggiore approfondimento si veda Il fallimento Caltagirone, in Annali della facoltà di giurisprudenza di Genova, 1991-1992, p. 424.

Dal punto di vista del diritto d’impresa, si riconosce alla holding l’esercizio di una propria attività che non si esaurisce nella mera gestione di pacchetti azionari, ma consiste nella direzione e nel coordinamento delle società controllate. Ne deriva che l’oggetto sociale della capogruppo si determina – e identifica – in ragione dell’attività (produttiva o di scambio) esercitata dalle controllate, ed anche l’interesse sociale è omogeneo giacché la prima esercita in modo mediato e indiretto la stessa attività svolta in modo immediato e diretto dalle controllate241.

Gli aspetti di maggior rilievo si riscontrano sul terreno del diritto delle società in quanto:

«l’interesse della holding non è, nell’assemblea delle controllate, un interesse extrasociale, e gli amministratori della prima, che votano nell’assemblea delle controllate secondo gli interessi di gruppo, non sono in conflitto di interessi con la società. Unico limite al voto della holding nell’assemblea delle controllate è, da questo punto di vista, la salvaguardia degli interessi degli azionisti esterni e dei creditori delle controllate»242.

Si riconosce, quindi, una certa permeabilità degli interessi di gruppo nelle delibere delle società controllate: le operazioni poste in essere dagli amministratori di queste non si dovranno ritenere illegittime (rectius: viziate da conflitto di interessi) per il solo fatto che perseguono un interesse facente capo al gruppo nel suo complesso.

Il raggiungimento di una politica unitaria può essere considerato lecito fin tanto che non si assumano, in suo nome, operazioni in aperto contrasto con gli interessi particolari della singola società al punto da recarle pregiudizio243 e sempre che «le relazioni

240 La configurazione del gruppo come soggetto a sé stante è sempre stata rifiutata dalla Corte di

Cassazione e dalla giurisprudenza di merito: App. Milano, 9 settembre 1988, in Riv. dir. comm., 1989, II, p. 215 con nota di B. LIBONATI.

241 Gli sviluppi pratici di questa impostazione sono in linea con alcuni dei principi già da tempo acquisiti

dalla giurisprudenza della Cassazione. A sostegno di quanto affermato si ricorda la massima secondo la quale la fideiussione della holding a favore della controllata non è atto estraneo all’oggetto sociale della prima: Cass., 14 settembre 1976, n. 3150, in Riv. dir. comm., 1978, II, p. 220; o ancora la remissione del debito della holding alla controllata non è atto di liberalità, la prima essendo mossa da proprio interesse patrimoniale, anche se mediato e indiretto: Cass., 2 aprile 1969, n. 1693, in Riv. leg. Fisc., 1969, p. 1948; Cass., 20 marzo 1968, n. 2215, ivi, 1969, p. 263; Cass., 20 ottobre 1969, n. 907, ivi, 1970, p. 1853.

242 F.G

ALGANO,L’oggetto della holding è dunque, l’esercizio mediato e indiretto dell’impresa di gruppo, cit., p. 402. L’A. enuclea come corollari della tesi sopra esposta anche i seguenti assunti: a) la conversione di una società operante in società holding non comporta modificazione dell’oggetto sociale; b) gli atti posti in essere dagli amministratori della holding, se rientranti nell’oggetto sociale delle controllate, non sono atti estranei all’oggetto della holding.

243 Trib. Milano 2 ottobre 1986, SIAC S.p.A. c. Accetti ed altri, in Le Società, 1987, p. 301; Trib. Napoli

2 febbraio 1994, soc. Iper c. soc. Sotea, in Foro it., 1995, I, c. 1, p. 1676; App. Milano 21 gennaio 1994, Doronzo c. soc. Fidimpresa, in Società, 1994, p. 929.

privilegiate non si traducano in scelte che non trovano altra giustificazione che quella di favorire la capogruppo a danno della società controllata244».

La soluzione a cui si è pervenuti ha il pregio di mettere in evidenza come l’interesse di gruppo non deve essere considerato a priori extrasociale, rendendosi necessario (a tal fine) un concreto accertamento sulle peculiarità del caso. La tesi è stata anche oggetto di aspre critiche in quanto si è sostenuto che lo spazio operativo rimesso alle c.d. politiche di gruppo risulterebbe eccessivamente angusto. Per tale via, infatti, tutte le operazioni che, nell’immediato, comportano un pregiudizio per la società controllata sarebbero ritenute illegittime anche se idonee a produrre, in un futuro, dei ritorni di utilità. Unico rimedio sarebbe quello di un contestuale indennizzo a favore della società pregiudicata ma, così operando, si vanificherebbero i vantaggi derivanti dall’adozione di siffatto modello organizzativo245.

L’impostazione fin qui seguita attenua il divario tra il gruppo unitariamente inteso e le singole società e fa breccia, in parte, nell’arcaico muro che ravvisa nella società per azioni un soggetto necessariamente autonomo e indipendente.

Tuttavia, come riconosciuto a chiare lettere dallo stesso Autore, il gruppo non può essere qualificato come entità a sé stante distinta dalle sue singole componenti. Ne consegue che la maggior parte delle problematiche che derivano dall’adozione di tale modello organizzativo non possano essere risolte in modo compiuto semplicemente riconoscendo, in capo alla holding, la possibilità di influire sulle decisioni delle controllate e in capo a queste la possibilità di perseguire una politica di gruppo peraltro entro gli angusti limiti poc’anzi individuati.

1.4. Il gruppo come impresa giuridicamente unitaria: irrilevanza della questione e

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