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Il comma 3 dell’art. 2634 c.c., come già esposto, sarebbe la “trasposizione normativa” della c.d. teoria dei «vantaggi compensativi»190.

Questa propone un procedimento valutativo incentrato sull’accertamento dell’esistenza di vantaggi compensativi, appunto, che controbilancino il sacrificio economico subito da una società in seguito ad un’operazione infragruppo.

Solo tramite questa verifica può emergere come la condotta del soggetto agente non sia finalizzata al perseguimento di interessi extrasociali, bensì alla realizzazione di una politica di gruppo che, seppure non in via diretta, può rivelarsi vantaggiosa anche per la società (apparentemente) svantaggiata191.

In altre parole si tratta di valutare se

«il danno derivante da alcune operazioni compiute dagli amministratori per una società (sacrificata) appartenente al gruppo può essere ‘bilanciato’ da un corrispondente vantaggio che può aversi nella stima costi-benefici infra-gruppo192, sicché esso viene ‘diluito’ nella complessiva politica economica dei profitti dell’intero comparto di società appartenenti al gruppo di riferimento»193.

Proprio su tale dinamica “compensativa” si è focalizzata l’attenzione della dottrina194, preoccupata innanzitutto di analizzarne i termini, per poi definirne la natura e l’ambito di applicazione.

L’elaborazione della clausola è stata piuttosto travagliata: dai vantaggi “ragionevolmente prevedibili” della commissione Pagliaro si è passati alla dizione “fondatamente attesi”, pervenendo all’odierna “fondatamente prevedibili”.

190 P.M

ONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, cit., p. 731.

191 Secondo E.M

USCO, I nuovi reati societari, cit., p. 223, «in tutte le ipotesi in cui il danno patrimoniale sopportato dalla singola società può apparire funzionale al raggiungimento di obiettivi nel complesso vantaggiosi per il gruppo viene a cadere ex lege il requisito dell’ingiustizia del profitto, non potendosi cioè connotare come extrasociale la finalità in concreto perseguita dagli amministratori e, dunque, come infedele il loro comportamento».

192 Sul fenomeno dell’interesse di gruppo si veda F.G

ALGANO,I gruppi di società, in Le società, Torino 2001, passim.

193 E.M

EZZETTI, L’infedeltà patrimoniale nella nuova dimensione del diritto penale societario, cit., p. 232 ss..

194

La formulazione più compiuta della teoria in questione si deve a P. MONTALENTI,Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, cit., p. 710 ss. Tra i penalisti si rinvia per tutti a F.MUCCIARELLI,Il ruolo dei «vantaggi compensativi» nell'economia del delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, cit., p. 633 ss.

La titubanza non è da ricercare in questioni terminologiche intese a segnalare la sicura riferibilità a valutazioni personali dell’agente, quanto nella stessa perplessità di attribuire alla locuzione un senso prettamente “soggettivistico”. Occorre pertanto “recuperare” un’accezione oggettiva che richiami aspettative di vantaggi mediamente e ragionevolmente auspicabili in base a valutazioni economico-finanziarie standard, secondo parametri dettati dal mercato e tenuto conto dei margini di rischio insiti in alcune operazioni195.

Siffatta valutazione non può essere svolta ex post poiché ciò che deve essere verificato non è già il risultato finale positivo o negativo, bensì il risultato complessivo che ci si poteva ragionevolmente (o meglio, fondatamente, come dice la norma) attendere. Occorrerà dunque effettuare un giudizio ex ante che, però, non sfoci in una chiave di lettura esclusivamente psicologica196.

Gran parte della dottrina si è preoccupata di identificare (e delimitare) in modo preciso la portata della clausola in questione, data l’ampia formulazione normativa197, e molteplici sono le soluzioni proposte.

Alcuni – preoccupati di garantire una tutela efficace ai soci esterni e ai creditori sociali – hanno optato per un’interpretazione restrittiva, richiedendo una compensazione praticamente effettiva in analogia a quanto previsto in sede civile198.

Altri, invece, onde assicurare una maggiore sfera d’azione alle politiche di gruppo, hanno sostenuto che il bilanciamento non va commisurato in senso stretto al pregiudizio subito199 – secondo la cosiddetta tecnica dell’indennizzo – pur tuttavia riconoscendo che la compensazione debba fondarsi su previsioni oggettive.

195 A. L. M

ACCARI, Infedeltà patrimoniale. (Art. 2634 c.c.), cit., p. 165, ritiene che la locuzione fondatamente prevedibili debba essere intesa «come una prognosi obiettivo-postuma, vale a dire come una valutazione concreta, di natura tecnico-economica, formulata in base agli elementi noti al momento in cui l’operazione è posta in essere ed il cui esito indichi non una mera probabilità ma quasi certezza sul futuro riequilibrio dei vantaggi tra le società e il gruppo».

196

In questi termini si esprime E.AMATI, Art. 2634 c.c., cit., p. 424.

197 L.F

OFFANI, Art. 2634 c.c., cit., p. 2525 rileva che, «la tipizzazione, in sede normativa penale, (della c.d. clausola dei vantaggi compensativi) risulta elastica fino al limite massimo consentito (e forse anche oltre) per una norma penale (…)».

198 Particolarmente critici nei riguardi di una interpretazione elastica della teoria suddetta si mostrano F.

DENOZZA, Rules vs Standard nella disciplina dei gruppi: l'inefficienza delle compensazioni «virtuali», in Giur. Comm., 2000, I, p. 327 ss. e L.ENRIQUES,Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli azionisti esterni: appunti per un'analisi economica, cit., p. 698 ss.

199

Secondo P. MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, cit., p. 1415, «la compatibilità con l’interesse sociale dell’interesse di gruppo deve valutarsi in termini di razionalità e coerenza di una singola scelta, ancorché pregiudizievole per la società che la pone in essere, rispetto ad una politica economica generale di gruppo di medio e lungo termine, da cui

Entrambe le soluzioni presentano luci ed ombre200. In conclusione, la clausola

«può trovare applicazione solo se i vantaggi compensativi della ricchezza perduta siano basati su elementi sicuri, pressoché certi e non meramente aleatori (…) non essendo sufficiente la mera speranza o l’aspettativa di benefici futuri»201.

La dottrina ha espresso diversi orientamenti sulla natura della clausola. Poiché l’argomento verrà analizzato diffusamente in seguito, sarà sufficiente, per il momento, una semplice rassegna delle principali opinioni.

Secondo un primo orientamento la formula normativa che definisce a quali condizioni poter ritenere assente il carattere di ingiustizia del profitto non rappresenta una mera causa di non punibilità, bensì inerisce alla struttura stessa del reato, determinando l’esclusione del dolo specifico, e, per conseguenza, la stessa tipicità del fatto202.

In senso parzialmente diverso altri individuano una causa di esclusione della tipicità del fatto e inquadrano la clausola in esame come “limite esegetico” dell’offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice203.

Altri ancora ritengono trattarsi di scriminante e dunque di circostanza che elide l’antigiuridicità del fatto tipico204.

E’ problema molto dibattuto, infine, la possibilità o meno di estendere la clausola di esclusione della responsabilità penale di cui all’art 2634 c.c. co. 3 anche ad altre fattispecie quali il falso in bilancio consolidato (art. 2622 c.c.), la bancarotta societaria (art. 223 l.f.) e l’appropriazione indebita (art. 646 c.p.). La soluzione del problema deriva in modo lineare dalla natura attribuita alla clausola in questione.

ragionevolmente può derivare un vantaggio alla singola società, anche su piani economici differenti, anche in tempi diversi rispetto al momento dell’operazione ed anche secondo un parametro non rigidamente proporzionale, né necessariamente quantitativo».

200

Circa le problematiche e le tecniche inerenti la valutazione dei vantaggi compensativi si rinvia infra cap. III ove l’argomento sarà trattato diffusamente.

201 Cass. pen., Sez. V, 7 ottobre 2003, n. 38110, in Riv. pen., 2004, p. 194. 202 E.M

USCO, I nuovi reati societari, cit., p. 218; E.AMATI, Art. 2634 c.c., cit., p. 425; L,FOFFANI, Le infedeltà, cit., p. 356 ss; V.MILITIELLO, L’infedeltà patrimoniale, cit., p. 490.

203 C.B

ENUSSI, Vantaggi compensativi e infedeltà patrimoniale nei gruppi di società: limite scriminante o «esegetico»?, in AA. VV., Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E.DOLCINI e C.E.PALIERO, Milano, 2006, p. 2207 ss.

204

F. Mucciarelli, Il ruolo dei «vantaggi compensativi» nell'economia del delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, cit., p. 631; contra E. Amati, Art. 2634 c.c., cit., p. 425, «la clausola delimitativa in esame non parrebbe inquadrabile tra le cause di non punibilità o tra le scriminanti. Essa opera piuttosto come causa di esclusione del dolo specifico e, quindi, come limite negativo della tipicità (…)».

Qualora la si consideri mera causa della esclusione della sola pena (per il carattere eccezionale di siffatta causa di non punibilità) l’estensione sarebbe preclusa dal divieto posto dall’art. 14 preleggi c.c.

Di contro, se venga considerata “limite esegetico” o “elemento di esclusione del dolo specifico” la prevalente dottrina ne ritiene l’estensibilità.

Opinione diametralmente opposta è invece sostenuta dalla Suprema Corte205 secondo la quale il fenomeno del collegamento di gruppo non scalfisce il principio dell’autonomia delle singole società, talché non può assumere rilevanza giuridica.

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