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Altre pronunce di annullamento datate 2005.

CAPITOLO I Osservazioni general

2. Altre pronunce di annullamento datate 2005.

Un sostanziale adeguamento ai principi delle Sezioni Unite, da parte dei giudici di legittimità, si registra in una serie di pronunce in cui la Cassazione annulla le sentenze impugnate proprio per il mancato rispetto della Franzese384. Peraltro, il numero cospicuo di questo tipo di pronunce dimostra le difficoltà di adeguamento a quanto sancito nel 2002 da parte dei giudici di merito, che spesso pur formalmente richiamando i principi di diritto della Franzese, in realtà omettono di motivare su alcuni passaggi fondamentali.

Può anzitutto richiamarsi il caso relativo al decesso, avvenuto il 1 maggio 1998, della piccola Anna Di Benedetto, colpita, poco dopo la nascita, dalla malattia delle membrane ialine. Il Tribunale di Chieti, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello dell’Aquila, condanna per il reato di omicidio colposo la pediatra Adele Patrizia Primavera, che aveva assistito la piccola dal momento del ricovero presso il reparto di pediatria. Al medico si imputa di non aver colto i segni premonitori della malattia e di essersi, per di più, allontanata dal reparto. Tra tali omissioni e l’evento letale i giudici di merito ritengono sussista il nesso causale, così come richiesto dalle Sezioni Unite.

Propone ricorso per Cassazione la difesa della Primavera deducendo vizi di motivazione e violazione di legge in relazione sia al nesso causale che alla colposità della condotta.

383 F. Sardella, “L’accertamento del nesso causale: la funzione teleologica e selettiva delle regole

cautelari”, cit., pag. 914.

384 Al di là di quelle espressamente analizzate nel prosieguo del paragrafo possono menzionarsi

anche Cass. Pen., IV, 19 maggio (29 luglio) 2005, n. 28564, Pauletti, in Riv. Pen., 2006, n. 10, pag. 1128; Cass. Pen., IV, 12 ottobre (7 dicembre) 2005, n. 44656, Di Certo, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009; Cass. Pen., IV, 18 maggio (21 ottobre) 2005, n. 38823, Orestano, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009.

Preliminarmente, la Corte ritiene che i giudici d’appello abbiano sufficientemente motivato in ordine alla sussistenza di una condotta colposa in capo all’imputata, consistita proprio nel mancato svolgimento di indagini diagnostiche e nel mancato apprestamento delle cure più opportune. Del tutto opposta è invece la valutazione in ordine all’accertamento causale. Si sottolinea, infatti, che i giudici di merito si sono soffermati sulla descrizione della condotta colposa, ipotizzando che l’applicazione di una maschera ad ossigeno avrebbe avuto “possibilità” di successo. Non hanno, però, fornito alcun elemento logico con cui superare l’affermazione del consulente tecnico circa l’impossibilità di sostenere che il doveroso compimento degli atti diagnostici avrebbe sicuramente scongiurato la verificazione dell’evento, limitandosi ad affermare che ciò era “scontato”, dal momento che “nessun sanitario può garantire la guarigione potendo sempre sopraggiungere fattori eccezionali”.

La Cassazione, dunque, sottolinea che non è sufficiente individuare con certezza la causa della morte (insufficienza respiratoria acuta neonatale, in corso di pneumopatia da membrane ialine), escludendo l’interferenza di decorsi causali alternativi, essendo invece necessario procedere anche al compimento del giudizio controfattuale che, nel caso di specie, è stato invece del tutto pretermesso. Le conclusioni dei giudici aquilani vengono dunque definite del tutto apodittiche, nonché prive di ogni supporto scientifico. Si decide, pertanto, di annullare la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia che sarà chiamata ad accertare la sussistenza del nesso causale alla luce di quanto enunciato dalle Sezioni Unite.

Si conclude ugualmente con l’annullamento della sentenza impugnata e con un rinvio, stavolta al giudice civile competente in grado d’appello, anche un altro caso385 portato all’attenzione della IV Sezione. Nella sentenza, redatta da Carlo Giuseppe Brusco, si affronta il problema della responsabilità penale dell’infermiera Francesca Zanieri per la morte del cittadino spagnolo Moreno

385 Cass. Pen., IV, 2 marzo (1 giugno) 2005, Zanieri, in La Giustizia Penale, 2007, II, pag. 132 –

139 e in Foro It., 2006, II, pag. 620-637 con nota di A. R. Di Landro, “La giurisprudenza in tema di responsabilità professionale segue i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza Franzese? Due nuovi esempi di causalità more iuridico demonstrata.”

Alcalde, detenuto presso la casa circondariale di Prato. L’uomo, la sera del 5 settembre 1998, accusava un malore all’interno della sua cella e attirava l’attenzione dell’agente di custodia che, resosi immediatamente conto della gravità delle condizioni dell’uomo, richiedeva l’intervento dell’infermiera. La Zanieri, tuttavia, si limitava ad avvicinarsi alla porta della cella e, poiché Alcalde rispondeva con voce alta alle sue domande, anziché prestare immediato soccorso al malato procedeva alla distribuzione dei medicinali agli altri detenuti. Anche quando si riavvicinava alla cella e, poiché l’uomo era probabilmente già in stato di incoscienza non riusciva a dargli un bicchierino contenente del liquido, si allontanava nuovamente senza intervenire. Solo all’arrivo della dott.ssa Pieraccini il detenuto veniva trasportato in infermeria dove si avviavano quelle manovre rianimatorie che poi però si rivelavano del tutto inutili. Sia il Tribunale di Prato che la Corte d’Appello di Firenze reputavano gravemente colposa la condotta dell’infermiera ma, a differenza del giudizio di primo grado conclusosi con una condanna, in appello la Zanieri veniva assolta dall’accusa di omicidio colposo poiché si reputava non provata l’esistenza del rapporto di causalità tra le sue omissioni e il decesso per crisi cardiorespiratoria dell’Alcalde.

Il ricorso delle parti civili fa leva proprio sulla violazione e l’erronea applicazione dell’art. 40 c.p., nonché sul vizio di motivazione sempre in riferimento al nesso causale: in particolare, si sostiene che la Corte d’Appello “avrebbe contrapposto ai dati di fatto accertati mere congetture”, presentate come fattori alternativi di spiegazione del decesso.

La IV Sezione, dopo aver riportato ampi stralci della Franzese, passa a chiedersi se i giudici di merito vi si siano adeguatamente uniformati. La risposta a tale interrogativo è negativa: infatti, da un lato, è pur vero che i giudici fiorentini hanno correttamente rifiutato il “criterio probabilistico” seguito in primo grado, dichiarando di volersi uniformare al criterio della probabilità logica. D’altra parte però essi non hanno compiuto il necessario giudizio controfattuale. In modo alquanto puntuale e, a mio modesto avviso, degno di essere utilizzato come parametro per le future pronunce in materia, si individuano sinteticamente i passaggi in cui tale giudizio si sarebbe dovuto articolare. Nello specifico, si ritiene

che andava anzitutto accertato il momento in cui la diversa condotta richiesta era esigibile dalla Zanieri, verificando, in seconda battuta, quali manovre rianimatorie rientravano tra le sue competenze. Infine ci si doveva chiedere se l’evento si sarebbe ugualmente verificato qualora l’infermiera avesse immediatamente posto in essere le manovre rianimatorie e avesse richiesto l’immediato intervento del medico. Si indicano poi anche le circostanze concrete (ad esempio, l’aterosclerosi coronarica da cui era affetto il detenuto e che aveva già causato un infarto asintomatico) attraverso le quali si sarebbe potuta superare una risposta in chiave meramente percentualistica per giungere a quel giudizio di alta probabilità logica richiesto dalle Sezioni Unite.

Meritevole di censura si reputa anche quella parte del ragionamento seguito dalla Corte in cui si ipotizza l’esistenza di gravi complicazioni dell’infarto che avrebbero influito negativamente nello svolgimento del controfattuale. Infatti, le affermazioni del perito vengono interpretate in maniera contraddittoria dalla Corte e vi sono elementi che sembrano smentire proprio le ipotesi alternative prospettate: nello specifico, il giudizio controfattuale non deve essere compiuto in relazione alle due più gravi (ma non esistenti o provate) complicanze, dal sicuro o quasi esito letale, bensì in relazione alla più probabile esistenza di una fibrillazione ventricolare. Tale complicanza è infatti ritenuta più probabile alla luce dei dati statistici e delle caratteristiche di quello specifico paziente. Tutte le incongruenze e illogicità evidenziate portano all’annullamento della sentenza gravata.

Il problema dei fattori causali alternativi è al centro anche di un’altra interessante pronuncia che ha attirato l’attenzione dei media italiani per le sue peculirità. Il caso386 ha infatti coinvolto l’intero reparto di ematologia dell’ospedale di Pesaro in cui, verso la metà del mese di dicembre del 1997, si

386 Cass. Pen., IV, 25 maggio (12 luglio) 2005, n. 25233, Lucarelli, in Cass. Pen., n. 7-8/2006, pag.

2393-2421, con nota di F. D’Alessandro, “L’oltre ogni ragionevole dubbio nella valutazione del nesso causale e della colpa: passi avanti della più recente giurisprudenza di merito e di legittimità”; ivi, 2006, pag. 3219 e ss, con nota di R. Bartoli, “Causalità omissiva e modello di accertamento ex ante – ex post”; in Riv. pen., 2005, n. 12, pag. 1350 e ss.; ivi, 2006, n. 7-8, pag. 877; in Guida al diritto, 2005, n. 44, pag. 71 e ss., con nota di G. Amato, “Al giudice spetta il compito di verificare la presenza di eventuali fattori alternativi”.

verificavano casi di epatite B che portavano al decesso di nove pazienti per epatite fulminante su undici casi accertati. All’esito delle indagini svolte si accertava che la fonte del contagio degli altri pazienti andava ravvisata in Piergiorgio Canestrari, anch’egli ricoverato presso il reparto diretto dal prof. Lucarelli, che veniva tratto a giudizio per rispondere del delitto di omicidio colposo plurimo insieme al dott. Fiorenzuola. Gli addebiti mossi ai due medici venivano individuati nella “mancanza di controllo e vigilanza sulle modalità dei prelievi ematici dai pazienti, sulle procedure seguite e sugli strumenti adoperati per i prelievi stessi, sulla conservazione e sterilizzazione degli strumenti sanitari, sulle condizioni di degenza dei pazienti, anche per il mancato isolamento del paziente Canestrari”.

Il Tribunale di Pesaro mandava assolti i due imputati. I giudici di prime cure rilevavano anzitutto che non era stato possibile individuare il veicolo del contagio dell’epatite e ciò precludeva ogni ulteriore analisi in ordine alla sequenza causale da cui era derivato l’evento. Infatti, si rivelava impossibile individuare quali condotte e procedure scorrette avevano determinato la trasmissione del virus, così come impossibile era individuare i singoli soggetti operatori: “non essendo conosciuta la condotta scorretta posta in essere…risultava impraticabile il ricorso al giudizio logico controfattuale”. Inoltre il Tribunale riteneva non priva di fondamento l’ipotesi causale alternativa avanzata dal prof. Lucarelli e consistente in un sabotaggio ad opera di Claudio Guiducci, un portantino in servizio presso il reparto fino all’agosto del 1997 e poi trasferito per screzi con alcuni colleghi.

In appello la pronuncia veniva in parte ribaltata: condanna per il prof. Lucarelli e assoluzione confermata per il dott. Fiorenzuolo. In particolare, i giudici d’appello non condividevano l’ipotesi della configurabilità del sabotaggio che, a parer loro, rimaneva una mera congettura del Lucarelli. E rispetto al nesso causale ne ritenevano provata la sussistenza: si sottolineava infatti che il giudizio di colpevolezza può basarsi non solo sulla prova storica e diretta dei fatti ma anche sulla prova logica ex art. 192 c.p.p.. Proprio il ricorso a un procedimento logico portava la Corte d’Appello ad affermare che “uno soltanto poteva essere stato il meccanismo che aveva causato il contagio: vale a dire l’uso di veicoli contaminati per inosservanza delle precauzioni universali, solo questo e null’altro

rendendola possibile”. E di tale condotta antidoverosa è chiamato a rispondere il Lucarelli in qualità di primario del reparto.

La sentenza viene impugnata con ricorso per Cassazione dalla difesa del Lucarelli che deduce un’applicazione incongrua dei principi di diritto sanciti dalle Sezioni Unite nel 2002. La IV Sezione reputa fondate tali doglianze e, richiamato sia il dibattito precedente la pronuncia delle Sezioni Unite che i principi affermati nel 2002, si concentra principalmente sui due aspetti dai quali emerge una palese dissonanza rispetto ai principi guida in materia causale.

In primo luogo, si ricorda che le Sezioni Unite hanno ribadito che, nella ricostruzione del nesso eziologico, non si può in alcun modo prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi relativi alla “causa dell’evento”, ossia la causa della morte o delle lesioni del paziente387. Sotto questo profilo non può pertanto ritenersi soddisfacente la sentenza impugnata: i giudici d’appello, infatti, non hanno individuato le modalità con cui si è trasmesso il virus nel reparto di ematologia. Essi non hanno risposto agli interrogativi relativi al mezzo o allo strumento di trasmissione del virus, a quale fu la specifica condotta sanitaria che determinò il contagio, a quali furono i medici o i paramedici coinvolti. L’individuazione della causa materiale del contagio rappresenta un elemento fondamentale anche per poter individuare in concreto l’omissione in cui sarebbe incorso il prof. Lucarelli, per poter individuare e specificare l’obbligo di vigilanza violato. Soltanto individuando le concrete modalità con cui si è verificato il contagio è poi possibile individuare su quale medico o paramedico il Lucarelli non ha esercitato l’opportuna vigilanza, quali sono gli strumenti infetti le cui condizioni di sterilizzazione il primario avrebbe dovuto verificare e invece non

387 L’importanza dell’individuazione della causa dell’evento lesivo emerge anche dalla pronuncia

della Cass. Pen., IV, 27 settembre (29 novembre) 2005, n. 43100, Lecce, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009. I giudici di legittimità, chiamati a pronunciarsi su ricorso della parte civile, confermano l’assoluzione pronunciata dai giudici d’appello, in riforma della sentenza di primo grado. La Corte condivide infatti le argomentazioni dei giudici di merito i quali hanno esaurientemente argomentato in ordine all’impossibilità di individuare con certezza la cause della morte di un paziente che si era rivolto alla guardia medica, dott. Lecce, per un malore durante la notte. L’incertezza sulle cause del decesso comporta inevitabilmente, alla luce dei principi della Franzese, l’assoluzione dell’imputato, vista la conseguente impossibilità di escludere l’interferenza di fattori causali alternativi.

l’ha fatto. E tale passaggio è a sua volta indispensabile per poter poi procedere al giudizio controfattuale e valutare se, ipotizzandosi la condotta doverosa omessa, l’evento hic et nunc si sarebbe o meno verificato.

L’altro passaggio della sentenza meritevole di particolare attenzione è quello relativo all’esclusione certa dell’interferenza di “fattori alternativi a quella causa dell’evento ipotizzata come riconducibile alla condotta colposa addebitata all’agente”. Si sottolinea, infatti, che, con un richiamo puntuale a testimonianze, dati cronologici e risultanze processuali, i giudici di prima istanza avevano ritenuto ragionevole e non del tutto infondata la tesi del sabotaggio prospettata dal Lucarelli. La valutazione dei giudici d’appello si è invece orientata in senso diametralmente opposto, reputandosi priva di fondamento l’ipotesi del sabotaggio, senza però confutare le articolate e coerenti argomentazioni del primo giudice.

In conclusione, dunque, i giudici di legittimità ritengono che, l’assenza di un rigoroso accertamento della “causa” dell’evento lesivo e l’impossibilità di escludere con la certezza richiesta dalle Sezioni Unite l’interferenza di un differente fattore causale alternativo, impongano l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia che dovrà attenersi nel giudizio ai richiamati principi della Franzese.

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