• Non ci sono risultati.

Le sentenze annullate nel corso del 2006.

CAPITOLO I Osservazioni general

3. Le sentenze annullate nel corso del 2006.

Anche a distanza di quattro anni dalla pronuncia delle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione si è trovata di fronte a sentenze che affrontano il problema del nesso causale senza tenere in alcun conto i principi in essa stabiliti: la risposta dei giudici di legittimità è stata quella di cassare tali provvedimenti 388.

388 Oltre ai due casi analizzati in questo paragrafo può citarsi anche Cass. Pen., IV, 4 ottobre (4

novembre) 2006, n. 36618, Capalbo ed altra, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009. La Corte, infatti, accoglie il ricorso presentato dalla dott.ssa Capalbo, proprio con riferimento alla censura sul nesso causale. Il medico era stata condannato, insieme ad una collega, per il decesso di Valentina Gallo, affetta da una malformazione congenita consistente in una breccia nel diaframma, patologia rara ma facilmente diagnosticabile e guaribile con un intervento chirurgico non complesso. La IV Sezione ritiene, tuttavia, che la sentenza impugnata non abbia rispettato i canoni individuati dalle Sezioni Unite, poiché una serie di elementi processuali impediscono di affermare che, con certezza, l’applicazione di un sondino naso-gastrico, intervento omesso poco prima di circa due ore dall’evento letale, avrebbe evitato l’exitus. Nel successivo giudizio di rinvio la Corte

Rientra in tale gruppo di pronunce il c.d. caso del cotiledone (cioè di un frammento della placenta) succenturiato389. Tale cotiledone, nel corso del travaglio di parto della gestante Santa Ricatti, cagionava un’asfissia acuta intrauterina che determinava sia il decesso del piccolo Giuseppe Bizzoca che, poche ore dopo il parto, quello della Ricatti, a causa di un arresto circolatorio per shock ipovolemico conseguente ad un’emorragia genitale.

Veniva tratto a giudizio nanti il Tribunale di Trani, Sezione distaccata di Barletta, il ginecologo Luzzi. Al medico, che aveva assistito al parto, si rimproverava di non essere intervenuto tempestivamente di fronte al manifestarsi della sofferenza fetale (in particolare, non interveniva prontamente col taglio cesareo e non ricorreva a farmaci per accelerare il parto) e di non aver seguito i protocolli sanitari neppure al manifestarsi degli evidenti segni di emorragia nella Ricatti. Si riteneva che tra tale colpevole condotta del Luzzi e gli eventi letali sussistesse un legame eziologico. Anche la Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza di condanna di primo grado, riducendo però la pena inflitta al ginecologo.

Nel ricorso per Cassazione, per quanto attiene al profilo della responsabilità, la difesa del Luzzi si duole per l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 42, 43, 40, 41 c.p. e 2236 c.c.. Sostiene, infatti, la non prevedibilità ed evitabilità dell’evento che aveva portato alla morte del piccolo Bizzoca e che, nell’assistenza alla Ricatti, la condotta del Luzzi sarebbe stata improntata ai canoni della correttezza e della perizia.

La IV Sezione reputa il ricorso parzialmente fondato. Vengono rigettate le censure difensive relative al capo di imputazione per il decesso della Ricatti, poiché si ritiene adeguata e coerente ai principi di diritto e giurisprudenziali la

d’Appello di Venezia ribadisce la condanna della dott.ssa Capalbo con una motivazione che, facendo leva su specifiche risultanze peritali dettagliatamente riportate, dimostra la sussistenza del nesso eziologico tra la sua condotta e l’evento; pertanto, l’ulteriore ricorso per cassazione presentato dalla difesa del medico, viene respinto. Cfr. Cass. Pen., III, 18 ottobre (18 novembre) 2007, Capalbo, n. 42383, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009.

389 Cass. Pen., IV, 19 gennaio (18 maggio) 2006, n. 16995, Luzzi, in Giurispr. It., 2007, n. 6, pag.

motivazione nella parte in cui delinea le responsabilità dell’imputato per non aver adottato alcuna delle misure terapeutiche resesi necessarie dall’evolversi della situazione.

Viene invece annullata con rinvio la sentenza gravata nella parte relativa all’imputazione di omicidio colposo ai danni di Giuseppe Bizzoca. Al di là, infatti, delle perplessità suscitate dal giudizio sulla colpa390, è sotto il profilo dell’accertamento causale che si riscontrano le maggiori incongruenze. Dopo aver ricordato che l’interpretazione giurisprudenziale in materia è stata, per lungo tempo, caratterizzata da notevole e costante evoluzione, la sentenza si sofferma sull’intervento dirimente delle Sezioni Unite, di cui tuttavia non sembra aver tenuto conto la Corte d’Appello pugliese. Infatti, la sentenza impugnata si è ispirata a criteri meramente probabilistici, laddove si sostiene che il parto cesareo “ove tempestivamente e correttamente praticato, avrebbe probabilmente salvato la vita del bambino”. Il riferimento a tale orientamento è ancora più esplicito in quella parte della sentenza in cui si legge che “…in tema di responsabilità per colpa professionale del medico, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si può sostituire quello della probabilità, anche limitata, di tali effetti e dell’idoneità della condotta a produrli. Ne consegue che il rapporto di causalità sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì soltanto serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata con una certa probabilità salvata”.

Senza dunque neppure indicare le eventuali ragioni del dissenso rispetto alla Franzese, i giudici d’appello hanno giudicato come se tale sentenza non fosse mai stata pronunciata, richiamando e facendo proprio l’antico orientamento delle “serie ed apprezzabili probabilità di successo”, che, come ben sappiamo, è stato

390 Si ritiene, infatti, che i giudici di merito non abbiano approfondito adeguatamente il profilo

soggettivo. In particolare, vengono indicati una serie di elementi da cui emergerebbe una repentinità tale dell’evento morte che, se tale ipotesi trovasse conferma, si dovrebbe dubitare della possibilità di prevederlo e, anche in caso di evento prevedibile, della possibilità di evitarlo. Si tratta, dunque, di una valutazione talmente importante da necessitare di ulteriori approfondimenti.

ripudiato dalle Sezioni Unite in favore di un criterio di certezza processuale e di alta probabilità logica. Corretta è stata pertanto la decisione della IV Sezione che, annullando la sentenza, chiede ai giudici del rinvio di compiere tutte quelle valutazioni e quegli accertamenti completamente pretermessi dalla Corte d’Appello di Bari391.

Si conclude con una pronuncia di annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, anche il giudizio su un altro caso affrontato dalla IV Sezione nel 2006392.

Luigi Giacomini, medico di base, veniva condannato in primo grado e in appello per il delitto di omicidio colposo ai danni di Zeno Angeli. Quest’ultimo, il pomeriggio di venerdì 5 febbraio 1999, avvertendo dolori alla bocca dello stomaco e crampi al petto, si era recato dal proprio medico di fiducia che però lo rassicurava diagnosticandogli una banale forma influenzale che, in quel periodo, si stava manifestando proprio con disturbi allo stomaco. Il medico, comunque, gli prescriveva un elettrocardiogramma e una visita cardiologica, da eseguirsi senza alcuna urgenza. L’Angeli trascorreva il weekend in casa e il lunedì, a causa del persistere del malessere, non rientrava a lavoro ma chiamava il Giacomini, che gli prescriveva un altro farmaco per i dolori allo stomaco. Il giorno successivo però le condizioni precipitavano e l’Angeli, trasportato al pronto soccorso con un quadro

391 In sede di giudizio di rinvio, la Corte d’Appello di Bari, nel 2006, dichiarava non doversi

procedere nei confronti dell’imputato in ordine all’omicidio colposo del Bizzocca, essendosi il reato estinto per prescrizione; riduceva la pena inflitta per la morte della Ricatti e confermava il risarcimento in favore delle parti civili. Contro tale pronuncia la difesa del Luzzi presentava un nuovo ricorso per Cassazione, dolendosi del mancato rispetto di quanto statuito dalla sentenza di annullamento. La III Sezione respinge tale ricorso (cfr. Cass. Pen., IV, 11 dicembre 2008 - 10 marzo 2009, n. 10512, Luzzi, inedita), ritenendo che le censure manifestate si risolvano in un’indebita richiesta di rivalutare e ricostruire i fatti, e sottolineando come i giudici del rinvio abbiano correttamente applicato le statuizioni della sentenza della Cassazione, affrontando correttamente il problema dell’accertamento causale. Nella sentenza, infatti, ad una corretta e dettagliata ricostruzione dei principi di diritto applicabili nel caso di specie, segue l’indicazione precisa di tutti gli elementi fattuali concreti idonei ad affermare, in termini di elevato grado di credibilità razionale, che la morte del piccolo Bizzocca non si sarebbe verificata qualora fosse stato tempestivamente effettuato il taglio cesareo, escludendosi l’interferenza di altri fattori causali alternativi.

392 Cass. Pen., IV, 6 giugno (10 luglio) 2006, n. 23881, Giacomini, in Guida al diritto, 2006, n. 36,

pag. 68 e ss., con nota di G. Amato, “L’eventuale sottovalutazione dei sintomi deve essere accertata dai giudici di merito”.

di infarto del miocardio inferiore, veniva sottoposto ad un intervento chirurgico che non ne scongiurava comunque il decesso.

I giudici del merito censurano la condotta del Giacomini, ritenendo che la sintomatologia manifestata dal paziente, i dolori e quel diffuso senso di malessere, avrebbero dovuto indurlo a porre una diagnosi differenziale, poiché non si trattava di sintomi univoci di una sindrome influenzale: egli aveva invece sottovalutato tale quadro clinico, comunque preoccupante, e ciò aveva determinato un’errata diagnosi. Si ritiene inoltre fuori discussione la sussistenza del nesso causale, il cui accertamento si reputa in linea con quanto statuito dalle Sezioni Unite: la corretta diagnosi e un immediato approccio terapeutico, infatti, avrebbero comportato “elevatissime percentuali di sopravvivenza, quasi confinanti con la certezza”.

I presupposti su cui si è fondato tale giudizio di condanna vengono criticati dalla difesa del Giacomini che propone ricorso per cassazione. Riassumendo, l’articolata censura difensiva si appunta anzitutto su un’errata ricostruzione dei fatti, in particolare per quanto attiene l’esatta individuazione del momento in cui è insorto l’infarto, su un’errata valutazione della colposità della condotta e, infine, sulla violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla ritenuta sussistenza del nesso causale.

Come anticipato, la IV Sezione reputa fondate le doglianze relative alla colpa e al nesso causale.

Sotto il profilo della colpa si parte dalla constatazione che, per poter addebitare al sanitario l’omessa o l’erronea diagnosi di una patologia, è necessario dimostrare con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio, che egli abbia sottovalutato sintomi che, univocamente e oggettivamente, avrebbero dovuto indirizzarlo verso la diagnosi della patologia poi rivelatasi letale. Ciò non si è verificato nel caso di specie. Infatti, la stessa Corte d’Appello ammette che, da un lato, la sintomatologia manifestata dall’Angeli poteva essere manifestazione di una patologia del tutto differente da quella cardiaca; dall’altro, che l’infarto miocardico acuto è difficile da diagnosticare, anche da parte di specialistici in cardiologia, poiché è capace di simulare molte affezioni di altri organi e apparati. L’analisi sul punto si conclude, dunque, affermando che “non si rilevano quali

siano gli elementi di significativa, oggettiva ed univoca valenza probatoria….indispensabili per poter legittimamente affermare che l’imputato pose in essere una condotta con le caratteristiche proprie di una fattispecie oggettiva penalmente rilevante, e violò, quindi, una regola precauzionale”.

Passando ad affrontare il problema causale, la Corte si dilunga, come accade quasi sempre, sul contrasto giurisprudenziale pre-Franzese e sui criteri elaborati dalle Sezioni Unite per dirimerlo. Individua, quindi, con analitica precisione, i tre principali profili che la portano ad escludere che la sentenza impugnata, pur dichiarando esplicita fedeltà al modello Franzese, ne abbia poi sostanzialmente rispettato i principi.

In primo luogo si sottolinea la frammentarietà, l’incoerenza e l’illogicità della motivazione relativamente all’individuazione del momento in cui insorse l’evento infartuale. I giudici di merito accolgono la ricostruzione del consulente del p.m. e delle p.c. che fissano tale momento intorno alle 14.30 del 5 febbraio, cioè circa due ore prima rispetto al momento in cui il Giacomini visitò il paziente. Tuttavia la Corte non risponde adeguatamente alle argomentazioni difensive che, contrastando tali affermazioni, collocano l’infarto in una fase successiva: in particolare si fa riferimento a obiettivi dati di fatto (il paziente si reca dal medico guidando lui stesso l’auto; rimane a casa nel weekend senza contattare né il medico, né la guardia medica), a regole scientifiche universalmente riconosciute (nella specie, la regola secondo cui nell’infarto l’andamento dei valori dell’enzima Cpk si presenta in salita nelle ore successive all’evento e poi in discesa per qualche giorno), e agli esiti degli esami strumentali (l’elettrocardiogramma eseguito il 10 febbraio aveva evidenziato un’insorgenza di un infarto retrodatabile anche solo a un giorno prima, quindi sicuramente in un momento successivo alla visita). L’incertezza su questo punto, e dunque un’incertezza sulla causa dell’evento, impedisce di articolare qualsiasi giudizio di responsabilità penale. Le Sezioni Unite hanno infatti ribadito che l’accertamento sulla “causa” dell’evento, rappresenta il primo ineludibile passaggio nell’iter per la ricostruzione del nesso eziologico, e dunque “solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, è poi possibile

analizzare la condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale..”. D’altra parte non si vede come possa individuarsi una condotta doverosa che avrebbe potuto impedire un evento, se prima non si conosce, in modo certo, la causa dell’evento stesso.

A tale profilo si aggiunge poi un ulteriore vizio logico e motivazionale in relazione alle modalità con cui si è compiuto il giudizio controfattuale. Il ragionamento della Corte di merito si fonda su due presupposti: uno fattuale, secondo cui l’infarto sarebbe insorto intorno alle 14.30 del 5 febbraio, e uno scientifico, in base al quale la terapia più idonea ed efficace per contrastare un infarto, ossia quella trombolitica o fibrinolitica, determina una drastica riduzione della mortalità se viene effettuata nelle prime 4/6 ore dall’insorgenza della patologia. Posto ciò la Corte avrebbe dovuto dimostrare che, se il Giacomini avesse diagnosticato l’infarto supposto in atto, sarebbe stato possibile sottoporre l’Angeli presso il più vicino pronto soccorso alla terapia trombolitica o fibrinolitica, proprio nell’arco delle tre ore ancora disponibili. Di tale accertamento controfattuale, cardine dell’iter delineato dalla Franzese, non v’è invece traccia nella sentenza dei giudici d’appello393.

Infine, un ulteriore profilo motivazionale censurato dalla Cassazione si rinviene nella errata interpretazione delle risultanze peritali394. Nella consulenza tecnica si legge infatti che con la corretta e tempestiva diagnosi ci sarebbero state “buone” probabilità di evitare l’evento letale, anche se non quantificate statisticamente (tant’è che lo stesso consulente, nel corso dell’audizione

393 Si attribuisce, invece, il giusto ruolo al giudizio controfattuale in un’altra pronuncia (Cass. Pen.,

IV, 19 ottobre (22 novembre) 2006, n. 38464, Montante, in Studium Iuris, 2007, n. 12, pag. 1389- 1390), in cui si conferma l’assoluzione pronunciata nei due gradi di merito per due medici accusati di aver cagionato l’amputazione della gamba di un paziente a causa di un ritardo nella diagnosi. Si sottolinea che, eliminando il ritardo dei due medici, l’evento amputazione non sarebbe comunque venuto meno, essendo esso una conseguenza, nota e prevedibile, dell’intervento di rivascolarizzazione che sarebbe stato comunque necessario (il rimprovero mosso ai due medici era infatti solamente quello di averlo ritardato) e che aveva avuto in concreto un esito favorevole. Si ritiene, pertanto, che il ritardo nella diagnosi non abbia costituito una vera e propria condicio sine

qua non dell’evento, ponendosi solo come mera occasione dell’evento, che si sarebbe comunque

verificato anche senza tale ritardo.

394 E’ bene precisare che il giudice, nella sua qualità di peritus peritorum, ben potrebbe

allontanarsi dalle conclusioni dei periti, ma per farlo dovrebbe fondare il proprio autonomo convincimento sulle evidenze disponibile, fornendo sul punto un’adeguata motivazione.

qualificava tali probabilità come “molte”) . A ben vedere si tratta però di quei parametri criticati dalle Sezioni Unite, e non si vede come, partendo da tali affermazioni, la Corte sia poi arrivata a sostenere che “appare indiscusso il nesso di causalità tra la condotta omissiva addebitata al prevenuto e l’evento letale derivatone”, ossia che ci sarebbero state “elevatissime percentuali di sopravvivenza, quasi confinanti con la certezza”. Tali espressioni vengono qualificate dai giudici di legittimità come enunciazioni meramente assertive, prive di un sostegno probatorio, sia fattuale che scientifico, e pertanto del tutto prive di adeguato spessore motivazionale.

Outline

Documenti correlati