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I primi esempi di conformità alle Sezioni Unite.

CAPITOLO I Osservazioni general

1. I primi esempi di conformità alle Sezioni Unite.

Dopo la breve parentesi dedicata alle sentenze sull’amianto, non ci resta che verificare le modalità con cui i giudici hanno applicato la Franzese in materia di responsabilità professionale del medico.

297 F. Stella, “L’allergia alle prove della causalità individuale. Le sentenze sull’amianto successive

I primi a recepire gli insegnamenti delle Sezioni Unite sono stati i giudici di merito. Infatti, è del novembre 2002, quindi di pochi mesi successiva alla Franzese, una pronuncia del Tribunale di Palermo298, che rappresenta, a mio giudizio, una delle prime applicazioni pratiche di quanto affermato dalle Sezioni Unite. Il caso è quello relativo alla morte di un paziente sottoposto ad arteriografia; nel momento immediatamente successivo all’esecuzione dell’esame, infatti, si manifestavano i sintomi di una trombosi che portava poi all’exitus. Nell’accertare il nesso causale tra la condotta del medico e la morte del paziente, si richiamava il concetto di “alto o elevato grado di credibilità razionale o di probabilità logica”. Quel che però appare più interessante, al di là del mero richiamo a tale formula stereotipata, è che nel compiere il giudizio controfattuale si fa anzitutto riferimento alla scienza medica, in base alla quale la trombosi rappresenta una ben nota complicanza dell’arteriografia. Non ci si limita però al richiamo di tale legge di copertura, poiché essa viene poi integrata con la verifica in concreto della sua validità, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile: infatti, si tiene in considerazione l’immediata prossimità temporale tra l’insorgenza dei sintomi della trombosi, poi riscontrata dall’ecodoppler, e l’arteriografia, nonché la localizzazione della lesione e l’assenza di ulteriori e differenti concause.

Sulla base del criterio dell’“oltre il ragionevole dubbio”, invece, il Tribunale di Forlì299 manda assolto un medico dall’accusa di omicidio colposo per aver omesso di prescrivere tempestivamente ad una paziente, pur in presenza di sintomi idonei a indicare l’insorgenza di un tumore al seno, l’esame mammografico, che avrebbe potuto anticipare significativamente i tempi della diagnosi e l’inizio della terapia. Il giudice, infatti, persistendo un dubbio circa la reale efficacia condizionante della condotta medica omissiva rispetto alla successiva morte della paziente, pronuncia sentenza di non luogo a procedere

298 Trib. Palermo, 5 novembre 2002, est. Pappalardo, in Giur. mer., 2004, pag. 762. 299 Trib. Forlì, 9 dicembre 2003, Leonidou, in Riv. it. med. leg., 2004, pag. 817-818.

perché il fatto non sussiste, in perfetta adesione con quanto prescritto dalle Sezioni Unite300.

Un allineamento ai principi enunciati dalla Franzese301 si riscontra anche in una sentenza della Corte d’Appello di Venezia302, in cui, nel ribadire un concetto “forte” di causalità, ci si allontana con decisione da giudizi di natura probabilistica espressi in termini meramente percentualistici. Il caso è relativo ad una presunta condotta imprudente posta in essere da un ginecologo nello svolgimento di un esame prenatale diretto ad accertare eventuali malformazioni del feto. L’esame consisteva in una funicolocentesi, ossia nell’introduzione di un ago nella cavità uterina al fine di raggiungere il cordone ombelicale per prelevare il sangue fetale: a causa dei continui movimenti del feto, però, prima che fosse possibile il prelievo ematico, il medico dovette compiere ben cinque perforazioni. Il decorso post-operatorio della paziente fu anomalo, con persistente iperpiressia e continue perdite di liquido ematico: poco dopo, si palesò la prematura rottura delle membrane e la cessazione del battito cardiaco del feto, con conseguente immediata induzione del parto.

Le indagini peritali disposte accertarono che la continua perforazione della parete addominale aveva determinato un’infezione, più precisamente una corion-amnionite che aveva, a sua volta, causato la rottura delle membrane e l’aborto. Già il Tribunale monocratico di Padova303 mandò assolto l’imputato. Per quanto attiene al profilo soggettivo il giudice ravvisò gli estremi della colpa per imperizia nella condotta del ginecologo, il quale, dopo il terzo o al massimo il

300 Si richiama il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite alla lettera c) in base al quale

“L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio.”

301 A. Ferrato, “Sulla responsabilità medica in tema di esami prenatali: il controverso accertamento

del nesso eziologico. Nota a Trib. Padova 7 giugno 2001 Giud. Lolli e Corte d’appello di Venezia, I, 8 maggio 2003, Pres. Est. Dodero”, in Riv. it. med. leg., 2007, pag. 1146.

302 Corte d’appello di Venezia, I, 8 maggio 2003, Pres. Est. Dodero, in Riv. it. med. leg., 2007, n.

4-5, pag. 1137 – 1153 con nota di A. Ferrato, “Sulla responsabilità medica in tema di esami prenatali: il controverso accertamento del nesso eziologico”.

303 Trib. Padova 7 giugno 2001 Giud. Lolli, in Riv. it. med. leg., 2007, pag. 1137 – 1153 con nota

di Ferrato, “Sulla responsabilità medica in tema di esami prenatali: il controverso accertamento del nesso eziologico”.

quarto tentativo infruttuoso, avrebbe dovuto rimandare la ripetizione dell’intervento a un giorno successivo, poiché l’aver praticato una quinta perforazione aveva aumentato la possibilità di complicanze e il conseguente rischio di aborto. D’altra parte però egli ritenne non sufficienti gli “elementi di prova per asserire a posteriori, in termini di causalità materiale, che sia stata la quarta o la quinta e non una delle prime tre perforazioni a cagionare la perdita del feto”. Sebbene, dunque, la pronuncia del Tribunale preceda di circa un anno quella delle Sezioni Unite, si accoglie un modello di “causalità forte”, basato sul condizionale controfattuale e imperniato sull’esclusione, nel caso concreto, di fattori causali alternativi. La portata di questa decisione è ancora più rilevante se solo si considera che, l’applicazione del criterio probabilistico che fino a quel momento aveva rappresentato l’orientamento dominante, avrebbe portato a ritenere sussistente il nesso eziologico e dunque ad una condanna per il ginecologo.

Come detto, la decisione di primo grado veniva confermata dalla Corte d’Appello lagunare, che giungeva a conclusioni ancor più favorevoli per il medico escludendo anche ogni elemento di colpa nella sua condotta. Sotto il profilo causale ribadiva la necessità di raggiungere la certezza processuale, ossia quella certezza che permette di affermare che nel caso concreto non sono intervenuti altri fattori causali alternativi e che, dunque, la condotta del medico è stata condicio

sine qua non dell’evento lesivo.

Tale certezza processuale si reputa raggiunta anche in un caso304 deciso nel 2003 dalla IV Sezione Penale. Questa sentenza rappresenta, a mio avviso, una delle prime applicazioni dei criteri delineati dalle Sezioni Unite che sia stata compiuta in sede di legittimità305.

304 Cass. Pen., IV, 28 maggio (16 settembre) 2003, n. 834, Palladino, in Studium Iuris, 2004, pag.

536, con nota di A. Palma; in Riv. it.med. leg., 2003, pag. 1179-1188 con nota di G. F. Iadecola, “Medici, lavorare in equipe non esclude la responsabilità. E sul nesso causale si conferma la tesi delle sezioni unite”; in Cass. Pen., 2004, n. 769, pag. 2387-2392; in Dir. Pen. e proc., 2004, pag. 56.

305 Si vedano più avanti (cfr. Parte III - Cap. IV) le argomentazioni in base alle quali alcune

pronunce del 2003, talvolta citate come esempi di conformità alle Sezioni Unite (ad esempio il caso Albissini), non possono, a mio giudizio, essere ritenute pienamente rispettose di tali dicta.

La dott.ssa Palladino, medico specialista in igiene, viene condannata, sia in primo grado che in appello, per la morte di Silvia Modeo, una ragazza di 23 anni che si era rivolta a lei per risolvere i suoi problemi di obesità. Infatti, il medico somministrava alla paziente, senza aver prima predisposto alcun esame clinico, dei farmaci contenenti jodiocaseina, che cagionavano danni alla salute della ragazza e che, dopo poco meno di tre anni dall’inizio del trattamento, provocavano un ipertiroidismo iatrogeno da cui derivava uno scompenso cardiaco che, a sua volta, provocava il decesso della Modeo.

La Corte, anzitutto, ribadisce la colposità della condotta tenuta dalla Palladino: si reputa infatti negligente e imperita, “la condotta del medico che prescriva e somministri medicinali potenzialmente idonei a interferire su funzioni essenziali della persona, senza verificarne preventivamente, con i mezzi scientifici a disposizione, la tollerabilità da parte del paziente e l’inesistenza di controindicazioni e senza verificarne gli effetti nel corso della terapia”. D’altro canto si sottolinea che una simile valutazione va fatta tenendo anche in considerazione il “rapporto costi benefici (nel senso che è possibile la somministrazione di un farmaco potenzialmente pericoloso quando i rischi della malattia non siano altrimenti contrastabili e appaiano più gravi delle potenziali conseguenze della somministrazione del farmaco); ma, nel caso di specie, nessun elemento induce a ritenere che la patologia della paziente (obesità) fosse di gravità tale da indurre alla somministrazione dei farmaci”.

Passando poi ad analizzare la sussistenza del nesso eziologico tra la somministrazione della jodiocaseina e l’evento morte, i giudici sottolineano che l’accertamento in sede di merito è stato compiuto non in termini probabilistici, come sostenuto dalla difesa della Palladino, bensì secondo i parametri di certezza processuale e di elevata credibilità razionale richiesti dalle Sezioni Unite.

Si è anzitutto stabilito con certezza, definita addirittura “inattaccabile”, che l’ipertiroidismo della Modeo era una diretta conseguenza dell’assunzione del farmaco somministratole dalla dottoressa: ciò è stato sostenuto, non solo sulla base della letteratura medica acquisita tramite diverse consulenze tecniche, ma anche considerando le indagini cliniche e gli esami strumentali eseguiti sulla

paziente prima e dopo la sua morte, nonché la diagnosi di ipertiroidismo di natura iatrogena fatta da tutti i medici che visitarono la Modeo durante i suoi ricoveri in vari ospedali. I giudici di merito hanno inoltre escluso l’eventuale esistenza di un’ipotesi alternativa rispetto a quella della natura iatrogena dell’ipertiroidismo, confutando la tesi avanzata dal consulente tecnico dell’imputata, secondo cui la Modeo sarebbe stata affetta da una pregressa tiroidite subacuta silente.

La stessa interazione tra letteratura scientifica e peculiarità del caso concreto ha poi portato i giudici a sostenere la sussistenza del nesso eziologico tra ipertiroidismo e scompenso cardiaco. I giudici richiamano analiticamente i vari contributi della comunità scientifica nei quali si afferma che tra gli effetti dell’ipertiroidismo vi sono le alterazioni cardiovascolari e sottolineano che proprio lo scompenso cardiaco si può manifestare anche in pazienti giovani come la Modeo. Essi precisano, inoltre, che considerata la gravità, le modalità e l’entità dello scompenso concretamente manifestatosi, non esistevano altre cause da sole sufficienti a determinarlo, sottolineando quindi che eventuali differenti condizioni interagenti avrebbero al più potuto assurgere a mere concause dell’evento.

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