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Brevi osservazioni in ordine alle sentenze sull’amianto successive alla Franzese.

CAPITOLO I Osservazioni general

2. Brevi osservazioni in ordine alle sentenze sull’amianto successive alla Franzese.

Prima ancora di passare all’analisi delle pronunce in materia di causalità medica, pare opportuno un breve cenno alla problematica causale inerente l’esposizione all’amianto e l’insorgenza di patologie neoplastiche.

Tale excursus, parzialmente estraneo alla materia trattata, è suggerito dalla constatazione che proprio quel fenomeno di ossequio meramente formale, di farisaico omaggio, ai principi stabiliti dalla Franzese, che andremo poi ad analizzare in materia di responsabilità medica, è stato abilmente messo in luce da Federico Stella in un suo scritto, proprio in relazione alle sentenze sull’amianto284. Egli, infatti, sottolinea che la IV Sezione della Corte di Cassazione, pur manifestando piena fedeltà e adesione all’insegnamento delle Sezioni Unite, i cui principi di diritto vengono costantemente richiamati a sostegno delle decisioni, di fatto esprime spesso i propri giudizi come se la Franzese “tamquam non esset”285.

In particolare, secondo Stella, tali pronunce disattenderebbero l’esigenza, esplicitata appunto nella Franzese, di raggiungere la prova, non soltanto della causalità c.d. generale, ma anche della c.d. causalità individuale: non ci si può, infatti, limitare a dimostrare che una condotta può determinare un certo evento (ad esempio, fornire la prova che l’esposizione all’amianto può provocare l’insorgenza del mesotelioma pleurico, di asbestosi e di tumori polmonari), essendo invece necessario il raggiungimento della certezza processuale che quel singolo evento è stato determinato da quella specifica condotta (ad esempio, il lavoratore X è stato colpito dalla malattia Y a causa dell’esposizione all’amianto presso la fabbrica Z e della condotta, attiva o omissiva, tenuta dal datore di lavoro L). Secondo Stella, dunque, poiché i giudici di legittimità, all’indomani della pronuncia delle Sezioni Unite, si sono ritrovati nell’impossibilità di sanzionare comportamenti gravemente colposi proprio per il mancato raggiungimento della prova della causalità individuale, essi hanno di fatto deciso di aggirare le difficoltà probatorie, limitandosi a fornire la prova della causalità generale. Egli denuncia,

284 Si fa riferimento a F. Stella, “L’allergia alle prove della causalità individuale. Le sentenze

sull’amianto successive alla sentenza Franzese”, in Riv. it. dir. e proc, pen., 2004, pag. 379-431.

inoltre, la confusione che continua a regnare intorno alla nozione di causalità, alimentata soprattutto dalla diffusione di un concetto di “causalità probabilistica”, “ossia dell’idea che un antecedente possa essere considerato causale se ha aumentato o non ha diminuito la probabilità – il rischio – che l’evento si verifichi, e/o se può essere definito, proprio per l’aumento delle probabilità o del rischio da esso determinato, condizione (ex ante) idonea, <in grado di> produrre l’evento, e perciò provvista di <capacità o potenzialità lesiva>”286.

Espressione emblematica dell’infedeltà della giurisprudenza post 2002 alle Sezioni Unite sarebbe il caso Macola287, relativo a lavoratori, impiegati presso stabilimenti in cui si producevano, riparavano e demolivano carrozze ferroviarie, deceduti in conseguenza dell’inalazione di polveri d’amianto. Già i giudici di merito288 avevano riconosciuto la responsabilità penale per omicidio colposo in capo ai componenti del consiglio d’amministrazione della società per azioni responsabile della gestione degli stabilimenti; la condanna veniva poi confermata in Cassazione. I giudici, dopo un ampio excursus relativo al problema causale e alla stessa pronuncia delle Sezioni Unite, cui affermano di voler aderire, in realtà fondano contraddittoriamente il rapporto di causalità sull’aumento/mancata diminuzione del rischio: affermano, infatti, che è da reputarsi complessivamente corretto il “ragionamento del giudice di merito secondo cui il significativo abbattimento dell’esposizione avrebbe comunque agito positivamente sui tempi di latenza o di insorgenza delle malattie mortali”289. Si sottolinea infatti che, una

286 Ibidem, pag. 382.

287 Cass. Pen., IV, 11 luglio 2002 (14 gennaio 2003), n. 953, Macola ed altri, in Cass. Pen., 2003,

pag. 3383-3400 con nota di R. Blaiotta, “Causalità e neoplasie da amianto”; in Resp. civ. e prev., 2003, pag. 1168-1169; in Cass. Pen., 2004, pag. 3629; in Foro it., 2003, pag. 324 – 329, con nota di R. Guariniello, “Tumori professionali da amianto e responsabilità penale”; in Riv. Pen., 2004, pag. 1142.

288 Si vedano Pret. Padova, 3 giugno 1998, imp. Macola, in Riv. Trim. dir. Pen. Ec., 1998, pag. 720

e ss. e Corte d’Appello Venezia, 15 gennaio 2001, Macola, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2001, pag. 439 ss. E’ interessante notare che mentre la sentenza di primo grado richiama esplicitamente l’orientamento probabilistico e dell’aumento del rischio (si afferma, infatti, che quando è in gioco la salute o la vita, il comportamento richiesto è costituito in certi casi dal non aumento o dalla

diminuzione del rischio), i giudici d’appello affermano invece di non condividere la tesi del c.d.

aumento del rischio, ma non riescono comunque a superare i concetti di probabilità e potenzialità lesiva, che rendono dunque ugualmente censurabile la pronuncia.

289 Cass. Pen., IV, 11 luglio 2002 (14 gennaio 2003), n. 953, Macola ed altri, in Cass. Pen., 2003,

serie di interventi, sia pur complessi e costosi, avrebbero consentito quella radicale modifica delle modalità e delle tecniche operative utilizzate, tale da eliminare o ridurre significativamente l’esposizione dei lavoratori ai rischi di inalazione delle fibre d’amianto: ed è sulla base della mancata eliminazione o significativa riduzione della fonte di rischio che si afferma la sussistenza del rapporto causale e della conseguente responsabilità290.

Pare invece del tutto apprezzabile e condivisibile quella parte della sentenza in cui si chiarisce che l’evento, quale secondo termine del nesso causale, non è un evento di tipo generico ma è quello considerato hic, nunc et quomodo. Si precisa, infatti, che “dovrà riconoscersi il rapporto in questione non solo nei casi in cui sia provato che l’intervento doveroso omesso ….avrebbe evitato il prodursi dell’evento in concreto verificatosi, o ne avrebbe cagionato uno di intensità lesiva inferiore, ma altresì nei casi in cui sia provato che l’evento si sarebbe verificato in tempi significativamente (non minuti od ore) più lontani ovvero ancora quando, alla condotta colposa omissiva o commissiva, sia ricollegabile un’accelerazione dei tempi di latenza di una malattia provocata da altra causa (o che non sia possibile ricollegare etiologicamente alla condotta in questione)”291.

Le stesse critiche mosse alla sentenza Macola, secondo Stella, possono essere rivolte anche ad un’altra pronuncia del 19 giugno 2003, sempre della Sezione IV. Si tratta della sentenza Giacomelli292, in cui per la prima volta si prendono in considerazione tumori professionali da polvere di legno; in particolare, si condanna il responsabile di una industria del legno per aver

290 In materia di amianto si pongono sulla stessa linea, e con motivazioni analoghe, Cass. Pen., IV,

18 febbraio (2 maggio) 2003, Trioni, in Riv. Trim. dir. pen. economia, 2003, pag. 1685 (in cui si ribadisce che il rischio legato ad una breve esposizione ad amianto, cioè la causalità generale, è sufficiente come prova della causalità individuale); Cass. Pen., IV, 9 maggio (2 ottobre) 2003, n. 37432, Monti e altri, in Foro it. II, pag. 69-83, con nota di R. Guariniello e in Riv. pen., 2004, pag. 762 (caso relativo all’omissione, da parte dei responsabili del servizio sanitario nazionale delle Ferrovie dello Stato, dei controlli mirati alla prevenzione del rischio derivante dalla cronica esposizione all’amianto da parte dei lavoratori, e la morte o le lesioni verificatesi come effetto di tale esposizione); Corte Appello Torino, IV pen., 18 marzo 2004, inedita (in cui si afferma esplicitamente che “in tema di malattie professionali, affinchè sussista il rapporto eziologico, è necessario e sufficiente che il datore di lavoro realizzi una condizione idonea a produrre la malattia”).

291 Ibidem, pag. 3390.

292 Cass. Pen., IV, 19 giugno 2003, Giacomelli, in Foro it., 2004, II, pag. 69-83 con nota di R. Guariniello.

cagionato degli adenocarcinomi al naso ad alcuni dipendenti, proprio a seguito dell’esposizione alle polveri di legno. Anche in questo caso i giudici, secondo l’analisi di Stella, fondano di fatto la responsabilità degli imputati sulla sola base dell’accertamento della causalità generale.

Nel luglio dello stesso anno tuttavia la stessa Sezione, pronunciandosi sul caso Eva293, sembra operare, per la prima volta in tema di amianto, un’integrale applicazione dei principi della Franzese. Il caso riguarda la moglie di un lavoratore, addetto ad operazioni comportanti esposizione ad amianto, che per anni aveva provveduto a pulire gli indumenti di lavoro del marito: la donna aveva contratto asbestosi e mesotelioma pleurico, a seguito dei quali era deceduta294. La Cassazione annulla con rinvio la sentenza di merito295, proprio censurando la motivazione nella parte in cui si affermava la sussistenza del nesso causale sulla base di giudizi di “possibilità” o di “più probabile che no”, senza che però venissero indicate le ragioni per le quali – considerato che la vittima aveva subito per un periodo di circa 20 anni esposizioni all’amianto prima che l’imputato

assumesse la posizione di garanzia – si era attribuita all’esposizione successiva all’assunzione della posizione di garanzia, per circa 5 anni, una significativa incidenza sulla malattia della vittima tale da far ritenere la sussistenza del nesso causale tra omissione e decesso296.

In conclusione Stella, preso atto delle difficoltà che si incontrano nell’accertamento della causalità individuale in tema di amianto, auspica l’adozione di un modello forgiato sull’esperienza statunitense in cui tutti i processi relativi all’esposizione all’amianto sono processi civili instaurati per

293 Cass. Pen., IV, 15 maggio (1 luglio) 2003, Eva, in Guida al diritto, n. 49, 2003, pag. 75; in

Riv. Pen., 2004, pag. 762; in Cass. Pen., 2005, pag. 424 e ss., con nota di E. Di Salvo “Tumori da

amianto e nesso di causalità”.

294 Per un caso analogo si veda Cass. Pen., IV, 30 marzo 2000 (6 febbraio 2001), n. 5037, Camposano, in Riv. Pen., 2002, pag. 171; in Dir. e giust., n. 7, pag. 22; in Foro it., 2001, II, pag. 278, con nota di Guariniello ”Dai tumori professionali ai tumori extraprofessionali da amianto”.

295 Corte Appello Torino, III pen., 28 settembre 2001, inedita.

296 Stella peraltro sottolinea che la cultura delle prove, da cui si sono volutamente allontanati nelle

succitate occasioni i giudici di legittimità, si è invece diffusa presso i giudici di merito. In proposito cita la sentenza del Tribunale monocratico di Milano del 20 dicembre 1999 (in Foro It., 2001,c. 53) relativa al succitato caso Trioni, nonché un’altra sentenza dello stesso Tribunale di Milano, datata 13 febbraio 2003, sul caso Schirone (inedita).

ottenere il risarcimento del danno297. Ciò comporta il vantaggio di non dover provare la sussistenza del nesso causale “al di là di ogni ragionevole dubbio”, potendosi invece reputare sufficiente una nozione di causalità più debole, ancorata al “più probabile che no”.

CAPITOLO II

Le sentenze che si uniformano ai principi di diritto sanciti dalle Sezioni Unite

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