• Non ci sono risultati.

Ancora sentenze in linea con le statuizioni delle S.U.

CAPITOLO I Osservazioni general

6. Ancora sentenze in linea con le statuizioni delle S.U.

La sussistenza di un ragionevole dubbio in ordine alle possibilità di sopravvivenza della paziente, anche qualora il medico avesse tenuto il comportamento dovuto, è alla base dell’assoluzione del dott. Rizzo ad opera della Corte d’appello di Roma. Rizzo, medico di turno del Pronto Soccorso, alle ore 20.00 del 23 marzo del 2000 visitò Franca Sciamanna, che presentava un grosso rene policistico occupante l’addome, con sintomi febbrili e dolori persistenti. Il medico non dispose alcun accertamento strumentale (ecografia addominale, TAC) e neppure il dott. Fittipaldi, medico di turno la notte tra il 23 e 24 marzo, sottopose la paziente a controlli clinici. I due medici, omettendo tali controlli, non diagnosticarono la perforazione del sigma e la peritonite stercoracea che il successivo 25 portarono al decesso della paziente. Mentre Fittipaldi veniva assolto, Rizzo veniva condannato in primo grado e poi assolto dai giudici d’appello che ritenevano non sussistente il nesso causale tra le sue omissioni diagnostiche e terapeutiche e l’evento mortale. Sul ricorso della parte civile, che deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40, 41, 589 c. p., 192, 546, comma 1 lettera e) c.p.p. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, si pronuncia la IV Sezione penale della Cassazione che respinge le censure in quanto infondate329. La Corte, infatti, richiamando i principi sanciti nelle sentenze Franzese e Orlando del 2002, reputa logico e coerente il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello per escludere la sussistenza del nesso causale. Si legge che, avendo i consulenti “posto in dubbio l’utilità quoad vitam dell’intervento effettuato all’atto di ingresso della paziente, tenuto conto delle precarie condizioni di costei che aveva una situazione immunitaria assolutamente insufficiente con duemila e seicento globuli

329Cass. Pen., IV, 21 giugno (26 ottobre) 2007, n. 39594, Rizzo, in Riv. Pen., 2008, n. 7/8, pag.

bianchi, in modo logico e coerente il suddetto giudice di merito ha tratto la conclusione dell’insussistenza del nesso causale, non potendosi affermare che l’evento specifico fosse riconducibile alla condotta dell’agente <al di là di ogni ragionevole dubbio> secondo un giudizio di probabilità logica330”. Correttamente, dunque, i giudici d’appello non si sono fermati alla valutazione della mera probabilità statistica, dando invece peso alle condizioni generali gravemente scadute della Sciamanna; condizioni che, accuratamente vagliate, lasciavano sopravvivere più di un dubbio sulla potenzialità salvifica delle cure colposamente omesse.

Ineccepibile si reputa anche il giudizio controfattuale compiuto dai giudici della Corte d’Appello di Caltanisetta nel caso relativo alla morte di Letizia Morello331: la donna, ricoverata il 6 giugno 1994 presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Gela, tre giorni dopo partorisce una bambina con un intervento di taglio cesareo. Dopo il parto si presentano complicazioni tali da determinare il trasferimento della partoriente presso il reparto di Medicina dello stesso ospedale, in cui la Morella muore il 26 dello stesso mese. Nanti il Tribunale di Gela vengono citati a giudizio 5 medici del reparto di Ostetricia e Ginecologia e 3 medici del reparto di Medicina, tra cui il dott. Cottone e il dott. Catania, entrambi Aiuto del Primario, dott. Fraterrigo. Il tribunale assolve i medici del reparto di Ostetricia, ritenendo non ravvisabile nella loro condotta alcuna colpa professionale. Condanna, invece, il dott. Cottone, il dott. Catania e il dott. Fraterrigo, per il delitto di omicidio colposo; la colpa viene ravvisata nella negligenza di non aver eseguito tutti gli opportuni esami di laboratorio e

330 Il mancato raggiungimento della certezza processuale in ordine alla sussistenza del nesso

eziologico tra condotta del sanitario e morte della paziente è alla base di un’altra pronuncia del 2007 [cfr. Cass. Pen., IV, 9 maggio (13 luglio) 2007, n. 27743, Morelli, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009]. La Cassazione, respingendo il ricorso della parte civile, conferma l’assoluzione del dott. Mastri, ortopedico, tratto a giudizio con l’accusa di non aver impedito l’insorgere di una gangrena che aveva poi determinato l’amputazione dell’arto. Anche in questo caso la Cassazione sottolinea che le perizie dimostrano che “il livello di probabilità dell’efficacia impeditiva della condotta osservante si ferma ad un livello medio basso e non può quindi fondare una risposta positiva al quesito della causalità”.

331 Cass. Pen., IV, 28 giugno (26 ottobre) 2007, n. 39600, Cottone, in F. Giunta, D. Micheletti, P.

Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009.

nell’imperizia di non aver formulato la corretta diagnosi di trombo-embolia. Su ricorso degli imputati, la Corte d’Appello dichiara la nullità della perizia eseguita in primo grado e ne dispone una nuova per accertare la causa della morte della Morello. Anche tale perizia, sulla base della sintomatologia e degli esami eseguiti, individua tale causa in tre insulti tromboembolici, l’ultimo dei quali così virulento da essere fatale; con altrettanta certezza si esclude che l’exitus potesse essere stato determinato, come sostenuto invece dalle difese degli imputati, dalla broncopolmonite. Le difese di Cottone e Catania presentano ricorso per Cassazione deducendo mancanza ed illogicità della motivazione in relazione alla causa della morte e alla sussistenza sia dell’elemento soggettivo che del nesso causale. La Cassazione reputa i ricorsi infondati e li rigetta. Tralasciando l’aspetto psicologico332 preme concentrarsi sulle altre due censure difensive.

Per quanto attiene, anzitutto, alla causa della morte, pur mancando l’autopsia333 ed essendo perciò più difficile l’accertamento, la Corte ritiene corretto il ragionamento dei giudici di merito che hanno operato una precisa ricostruzione dei fatti e, sulla base della perizia, hanno individuato nei tre episodi trombo - embolici, l’ultimo dei quali fatale, tale causa. Infatti, gli stessi medici curanti avevano diagnosticato il terzo episodio come un tromboembolo e, sulla base delle perizie, i giudici di merito hanno escluso che sia stata la broncopolmonite, come prospettato dalle difese, a causare la morte. L’esclusione di tale fattore causale alternativo è analiticamente basata sui seguenti dati concreti: erano stati adottati tutti i presidi terapeutici necessari per debellarla, non

332 Si ravvisa un grave errore nella condotta dei medici “per non avere individuato una corretta

diagnosi, cui non era seguita alcuna terapia anticoagulante”.

333 Un altro caso in cui si reputa accertata la causa della morte pur in assenza di autopsia è quello

affrontato da Cass. Pen., IV, 24 ottobre (31 dicembre) 2007 n. 46359, Antignani, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009. In tale occasione la Cassazione ribadisce che la diagnosi della causa mortis e il conseguente accertamento del nesso causale possono essere effettuate pur in mancanza dell’esame autoptico “quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa sostenere, in termini di certezza processuale, ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare l’evento lesivo, facendo riferimento, come già rilevato, secondo la citata sentenza delle sezioni unite, sia a dati statistici, sia ad altro materiale probatorio”. Si richiamano anche Cass. Pen., IV, 6 febbraio 2001, n. 5037 e Cass. Pen., IV, 15 novembre 2002, n. 38334.

appariva definitiva e, anche ammettendo la sua esistenza o una flogosi polmonare, essa aveva solo accompagnato i tromboemboli.

Anche per quanto riguarda più specificatamente il nesso causale la Cassazione reputa priva di incongruenza e illogicità la motivazione della sentenza impugnata, in cui si applica in modo ineccepibile il procedimento controfattuale delineato dalle Sezioni Unite nella sentenza Franzese del 2002. I giudici, infatti, in prima battuta richiamano la legge scientifica in base alla quale una tempestiva diagnosi e terapia, pur non azzerando il rischio di mortalità, lo avrebbe ridotto in termini statistici, dal 30 all’8 %. Tale dato statistico è stato poi calato nel caso concreto: la percentuale dell’8% riguarda infatti l’intera popolazione astrattamente considerata. Se, invece, si considera che la paziente non presentava altre affezioni, era entrata sana nel reparto di ginecologia, aveva subito un taglio cesareo senza complicazioni, tutto ciò depone per l’annullamento del rischio di morte, e consente di essere processualmente certi che, se la Morello fosse stata curata adeguatamente, l’insulto trombo embolico non si sarebbe ripetuto tre volte e sarebbe stato arginato.

La precisazione dell’astratto dato statistico tramite il richiamo di concreti e accertati elementi fattuali caratterizza anche la decisione della Corte d’Appello di Firenze relativa al decesso di un giovane paziente psichiatrico. Luca Selvi, ricoverato il 5 luglio 1999 presso il reparto di psichiatria dell’ospedale di S. Maria Nuova a Firenze, pochi giorni dopo presentava i sintomi di una polmonite ab

ingestis, provocata dall’assunzione di farmaci neurolettici che causano disturbi dai

quali può derivare l’inalazione di sostanze alimentari. Né i medici del reparto di psichiatria, né quelli del reparto di medicina, in cui fu ricoverato il successivo 28 luglio, furono in grado di diagnosticare tempestivamente tale patologia. Pertanto il Tribunale di Firenze condannava i medici dei due reparti che avevano avuto in cura il paziente, ritenendoli responsabili di averne colposamente cagionato la morte. La Corte d’Appello riformava parzialmente tale pronuncia.

I giudici di secondo grado, tenuto conto delle perizie, reputavano incontestabile il fatto che la causa della morte del giovane, avvenuta il 4 agosto, andasse individuata proprio nella polmonite ab ingestis e affermavano che tale

polmonite si sarebbe potuta diagnosticare, per lo meno in termini probabilistici e ipotetici, già il 12 luglio. In tale data, infatti, il paziente presentava difficoltà respiratorie, febbre elevata, leucocitosi, innalzamento delle transaminasi e soprattutto un quadro radiologico che evidenziava un addensamento basale; inoltre, oltre ai sintomi tipici della sindrome extrapiramidale, la corretta diagnosi doveva essere suggerita dal fatto che la terapia farmacologia del ragazzo, basata su farmaci neurolettici classici, costituiva un fattore predisponente all’insorgenza della polmonite da inalazione. Una diagnosi in termini di certezza sarebbe stata comunque da porre il 24 luglio, quando comparve la disfagia. La Corte d’Appello riteneva anche che, un intervento tempestivo e appropriato – consistente nella terapia antibiotica e nella sospensione della nutrizione orale e del trattamento farmacologico - avrebbe, con alta probabilità logica, portato a scongiurare la morte del Selvi; infatti il perito evidenziava che le statistiche sulla mortalità erano favorevoli, tenuto conto anche della giovane età del paziente e dell’assenza di concomitanti patologie.

Veniva dunque condannata la dott.ssa Pecchioli, che si era occupata del paziente fin dal momento del ricovero impostando la terapia, e il responsabile vicario dott. Piccini che si occupò personalmente del paziente dal 15 luglio ma che già in precedenza era stato informato ed aveva condiviso le cure praticate. Inoltre veniva condannato il dott. Bacalli che aveva effettuato due consulenze il 12 e il 20 luglio e che aveva poi seguito il ragazzo dal momento del ricovero in medicina. Riformando la sentenza di primo grado, invece, la Corte assolveva i dottori Fusi e Polignano, che avevano seguito il Salvi solo nelle ultime ore di vita, ritenendo che non vi fosse prova alcuna che una corretta terapia, praticata in tale momento, avrebbe con alta probabilità logica impedito l’evento morte. Inoltre i giudici d’appello, non condividendo quanto affermato nella pronuncia di primo grado, ritenevano esente da alcun rimprovero la condotta del primario, dott. Lagi, che pertanto veniva assolto per non aver commesso il fatto.

Tale sentenza veniva impugnata con ricorso per cassazione dai difensori di Pecchioli, Piccini e Bacalli, nonché dalle parti civili. Le censure mosse alla sentenza dai difensori di Pecchioli e Piccini relativamente ai profili causali del

fatto venivano ritenute infondate334. In primo luogo si escludeva che le consulenze effettuate dal Bacalli potessero aver implicato un trasferimento della posizione di garanzia solo in capo a quest’ultimo; Pecchioli e Piccini avevano infatti continuato a seguire il paziente per tutti gli aspetti della sua malattia e dunque avevano conservato la posizione di garanti. Inoltre non veniva ritenuta condivisibile la censura secondo cui nella sua decisione la Corte d’Appello non si fosse attenuta ai principi dettati dalla nota sentenza delle S.U. Franzese 2002. La Cassazione, preso atto delle difficoltà interpretative che tale sentenza continua a suscitare, si soffermava a compiere alcune chiarificazioni in proposito. Dopo aver ricordato il dibattito che aveva preceduto la sentenza del 2002 in relazione ai caratteri della causalità omissiva e alle differenti prese di posizione della giurisprudenza, richiamava i passaggi fondamentali della pronuncia. La Corte sottolineava come una certa confusione interpretativa potesse essere stata determinata dall’utilizzo ripetuto del termine “probabilità”. La Cassazione per sfuggire a questi equivoci linguistici proponeva di sostituire il termine “probabilità logica” con quello di “forte corroborazione dell’ipotesi” che deve fondarsi sull’affidabilità delle informazioni scientifiche utilizzate, sull’evidenza probatoria disponibile e sulla capacità di resistenza dell’ipotesi prescelta rispetto alle contro-ipotesi. Precisato ciò si affermava la conformità del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello di Firenze rispetto al modello delineato dalla giurisprudenza delle S.U., sia pure con la presenza di qualche sbavatura lessicale. Infatti, i giudici fiorentini analizzano in primo luogo le informazioni statistiche disponibili: si tratta, a ben vedere, di un dato statistico alquanto limitato, poiché costituito dalle rilevazioni su solo 38 pazienti ricoverati in rianimazione, di cui soltanto due erano deceduti. L’esiguità del numero di casi analizzati è però compensata dalla presenza di un ulteriore elemento: l’età dei pazienti. Dei due decessi, soltanto uno coinvolgeva un uomo di età inferiore ai settanta anni. Statisticamente dunque gli esiti infausti della malattia erano contenuti al di sotto del 2%, ma anche in questo caso è necessario completare l’indagine col ricorso

334 Cass. Pen., IV, 2 aprile (1 giugno) 2007, Pecchioli, n. 21597, in Cass. Pen., 2008, n. 5, pag.

1875-1886 con nota di C. Brusco, “Applicazioni concrete del criterio della probabilità logica nell’accertamento della causalità”.

alla probabilità logica. La Corte constatava che il Selvi era giovane e che le sue condizioni generali di salute erano buone, tutti fattori che influenzavano positivamente il decorso. Anche la possibilità di una diagnosi tempestiva della patologia con immediata sospensione dei neurolettici e della alimentazione orale, accompagnata dalla somministrazione di antibiotici, costituisce un elemento che depone in favore della certezza processuale circa l’efficacia salvifica del comportamento colposamente omesso. Tutto ciò consente alla Cassazione di affermare la conformità della pronuncia al modello delineato dalle Sezioni Unite.

Tralasciando gli altri aspetti della sentenza (profili processuali, elemento soggettivo del reato), possiamo volgere la nostra attenzione sul ricorso delle parti civili avverso l’assoluzione dei dott.ri Fusi e Polignano. Anche rispetto a questo profilo la sentenza si reputa immune da vizi logici, ritenendosi privo di pregio l’assunto secondo cui il trattamento rianimatorio avrebbe anche se di poco prolungato la vita del Selvi. La Cassazione infatti precisa che è corretto affermare che anche l’omissione di una terapia atta a ritardare l’evento letale può essere ritenuta eziologicamente rilevante335; ma tale assunto va precisato sottolineando

335 Tale affermazione è strettamente connessa al fatto che l’ “evento” (in questo caso l’evento –

morte), preso in considerazione quale secondo termine del giudizio causale, non è un evento astratto ma è l’evento hic, nunc et quomodo considerato. In proposito, si vedano in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009: Cass. Pen., IV, 26 giugno (20 luglio) 2007, n. 29220, Pizzi e Cass. Pen., sez. IV, 7 giugno (3 ottobre) 2007, n. 36164, Bernardini. Il primo caso attiene alla morte di una donna, al quarto mese di gravidanza, deceduta a causa di una leucemia mieloblastica acuta non diagnosticata e non curata in tempo. Si legge nella sentenza che il nesso causale si reputa accertato non solo quando, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta impeditiva omessa, l’evento non si sarebbe verificato, ma anche quando esso si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Determinante è dunque la ridescrizione dell’evento al fine di chiedersi non solo se la morte si sarebbe potuta evitare, ma anche se si sarebbe potuto evitare quel concreto evento morte, considerato hic et nunc. Nel caso di specie, applicandosi tali principi, si ritiene che l’immediata segnalazione dell’eclatante piastrinopenia avrebbe consentito un tempestivo ricovero, anteriore all’insorgere dell’emorragia e di sottoporre la donna all’adeguato trattamento diagnostico e terapeutico. Si sofferma sul quomodo dell’evento una sentenza per molti versi analoga a quella appena analizzata: si tratta della pronuncia con cui si condanna il dott. Bernardini per la morte di una donna a causa di un carcinoma uterino. Al medico si addebita la colpa di non aver diagnosticato tempestivamente il tumore e di aver così ritardato l’intervento chirurgico e le terapie adeguate. Rigettando il ricorso dell’imputato la Cassazione, dopo aver richiamato la letteratura scientifica in materia di tumori dell’utero, sottolinea che ipotizzando che l’intervento fosse stato eseguito nel corso del primo ricovero, l’evento morte si sarebbe verificato più in là nel tempo e che anche la qualità di vita della paziente, sotto un profilo psicologico, sarebbe stata migliore. Ciò è sufficiente per ritenere sussistente il nesso causale, non essendo necessario provare che la tempestività diagnostica e terapeutica avrebbe scongiurato il

che tale differimento non deve essere meramente effimero. 7. Evoluzione nell’approfondimento della Franzese.

Col passare del tempo i giudici di legittimità non si limitano più ad applicare pedissequamente i principi sanciti dalle Sezioni Unite, ma cercano, partendo da tali statuizioni, di trarne altre, utili ai fini dell’indagine sul nesso eziologico.

Interessante in proposito è una sentenza del 2008 in cui ci si sofferma sul ruolo che, nel compiere tale accertamento, deve avere il giudice, pur con la necessaria collaborazione di periti e consulenti336. Il caso337 è di quelli che hanno spesso conquistato le prime pagine dei giornali: pezza chirurgica dimenticata in addome nel corso di una cistectomia. Infatti, Luigia Agostinelli, affetta da neoplasia vescicale, viene sottoposta nell’agosto 2000 ad asportazione della vescica e ricostruzione dell’organo da parte dell’equipe composta dal dott. Vavassori, dall’infermiera strumentista Maddalena e dall’assistente di sala Lazzarino. Nel novembre dello stesso anno viene nuovamente ricoverata e nel corso di una laparotomia si riscontra la presenza di un corpo estraneo costituito da una pezza, dimenticata nel corso della cistectomia. Nonostante un ulteriore

decesso. Si veda anche Cass. Pen., IV, 15 febbraio (9 marzo) 2007, Gastel, n. 10136, in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2008)”, Pisa, 2009.

336 Anche un’altra pronuncia (cfr. Cass. Pen., IV, 23 gennaio - 11 aprile 2008, De Blasi, n. 15221,

in F. Giunta, D. Micheletti, P. Piccialli, P.Piras, “Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità 2004-2008”, Pisa, 2009) si sofferma sul ruolo del giudice, sottolineando “la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni delle parti”. La sentenza richiamata, in cui si discute della responsabilità di quattro chirurghi per non avere eseguito tempestivamente un’emotrasfusione ad un soggetto ricoverato dopo un incidente stradale, si segnala anche per un’approfondita disamina del nesso causale. Dopo un ampio richiamo alla giurisprudenza pre-Franzese e un’analisi dettagliata della sentenza delle Sezioni Unite, si conclude che il giudizio controfattuale va considerato negativo, poiché non è processualmente certo che la causa della morte sia addebitabile alla condotta omissiva dei medici, ritenendosi plausibili le ipotesi alternative prospettate dalle difese.

337 Cass. Pen., IV, 7 marzo (11 aprile) 2008, n. 15282, Vavassori, in Riv. It. med. leg., n. 6/2008,

nota a pag. 1463-1464; in Riv. Pen., 2009, n. 2, pag. 214, 216 e in Cass. Pen., n. 11/2009, pag. 4297-4298.

intervento chirurgico il quadro clinico della paziente si aggrava, evidenziando una insufficienza cardiocircolatoria e multiorgano che porta la donna al decesso.

Il Tribunale di Bergamo e, in appello, la Corte della stessa città, condannavano gli imputati per il delitto di cui all’art. 589 c.p., poiché trascurarono di estrarre dall’addome la pezza chirurgica che, a distanza di alcuni mesi, causò un infarto intestinale e una peritonite con esito letale.

Outline

Documenti correlati