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Un’anticipazione della sentenza Franzese: la sentenza Orlando Prima però di passare all’analisi di tale pronuncia va evidenziato che essa

L’intervento delle Sezioni Unite

4. Un’anticipazione della sentenza Franzese: la sentenza Orlando Prima però di passare all’analisi di tale pronuncia va evidenziato che essa

è stata preceduta, di circa sei mesi nell’udienza e di circa due mesi nel deposito della motivazione, da un’altra pregevole sentenza della IV Sezione, sempre in materia di responsabilità medica137.

136 Tale tesi è stata sostenuta con lucidità e convinzione da G. F. Iadecola anche nelle note di

udienza alla sentenza Franzese (vd. in Riv. pen., 2003, pag. 250, e in Cass. Pen., 2002, pag. 3643 – 3661) e in una serie di altri contributi. Si vedano tra gli altri, “La causalità dell’omissione nella responsabilità medica prima e dopo le Sezioni Unite Franzese”, cit., pag. 726.

137 ; P. Veneziani, “Omicidio e lesioni colpose nel settore medico-chirurgico”, in Trattato di diritto

Veniva tratto a giudizio il dott. Orlando, primario presso il reparto di medicina interna, per rispondere dell’omicidio colposo di una sua paziente a cui non aveva diagnosticato un tumore intestinale. La mancata diagnosi impediva al medico di adottare i più opportuni interventi chirurgici – terapeutici e ciò contribuiva, secondo l’accusa, a cagionare la morte della donna, o perlomeno a diminuirne la sopravvivenza per un periodo di tempo significativo138.

I giudizi di merito si concludevano entrambi con la condanna del medico, che in appello otteneva esclusivamente una riduzione della pena: l’imputato proponeva pertanto ricorso per Cassazione. Al di là di alcune questioni di tipo procedurale, il ricorso si fondava principalmente sull’asserita mancanza del nesso di causalità tra la condotta colposa e l’evento, posto che, secondo la difesa dell’Orlando, la morte non era stata conseguenza di una sua omissione ma di un successivo intervento chirurgico effettuato da altri medici.

La IV Sezione si trova così ancora una volta a dover affrontare il problema dell’accertamento del nesso causale tra condotta medica ed evento lesivo, constatando, una volta di più, che la soluzione di tale profilo problematico può essere decisiva al fine di determinare la condanna o l’assoluzione del sanitario.

Il primo snodo fondamentale di tale sentenza è la presa d’atto che il problema causale si risolve in definitiva in un problema di tipo prettamente processuale, relativo ai criteri di valutazione della prova; di conseguenza, si crea un’anomala commistione tra i problemi legati all’esistenza stessa degli elementi costitutivi del reato, nel caso di specie il nesso causale, e quelli relativi invece alla prova della loro esistenza139.

138 Cass. Pen., IV, 23 gennaio (10 giugno) 2002, n. 22568, Orlando, in Foro it., 2002, II, pag. 420 -

433, con nota di G. Fiandaca; in Riv. Pen., n. 5/2005 o 2002, pag. 641 671; in Guida al diritto, n. 37, 2002, pag. 75-76; in Guida al diritto, n. 39, 2002, pag. 91-105, con nota di G. Amato, “Per l’attribuzione della colpa professionale considerati gli elementi del caso concreto”; in Studium

Iuris, 2003, pag. 254-255; in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, pag. 23 – 49 con nota di F. Stella,

“Fallacie e anarchia metodologica in tema di causalità. La sentenza Orlando, la sentenza Loi, la sentenza Ubbiali (Cass. Sez. IV pen)”.

139 O. Di Giovine, “La causalità omissiva in campo medico-chirurgico al vaglio delle sezioni

Ma l’interesse della sentenza Orlando deriva principalmente dal fatto che, con essa, la Cassazione afferma esplicitamente di dissentire da entrambe le impostazioni tradizionali della giurisprudenza in materia, mettendone peraltro in mostra quelli che ne sono i profili critico – problematici cui abbiamo accennato nei paragrafi precedenti. Per la IV Sezione la necessità di una “terza via” si impone per superare i rischi che stanno alla base delle due opzioni interpretative più volte richiamate: da un lato, il rischio di una colpevolizzazione generalizzata, dall’altro quello di consentire una sorta di impunità per l’intera classe medica, con i conseguenti problemi in chiave di repressione penale140. Il punto critico comune a entrambi gli orientamenti giurisprudenziali viene individuato nel mero riferimento al concetto di “probabilità statistica”, ossia nell’applicazione di un semplice criterio percentualistico, sia pur fondato su un quantum decisamente divergente. I giudici sottolineano che, considerando le esigenze del diritto penale, si tratta di un criterio valutativo comunque insufficiente: “non v’è giudice che condannerebbe una persona affermando che è probabile che la medesima abbia commesso il reato ma parimenti nessuna sentenza di assoluzione potrebbe fondarsi sull’affermazione che non si è raggiunta la prova della colpevolezza in termini di certezza assoluta”.

Proprio queste considerazioni portano a superare il criterio della probabilità statistica per abbracciare il nuovo concetto di “probabilità logica” che implica un giudizio complessivo in cui, pur partendo dalle leggi statistiche, si deve poi procedere alla verifica aggiuntiva della credibilità della legge di copertura nel caso concreto, per giungere ad un giudizio di “elevata credibilità razionale”. In questo modo le leggi statistiche, che in precedenza erano l’unico elemento considerato, e che pertanto erano assolutamente decisive, diventano solo uno degli elementi presi in considerazione nel giudizio, insieme a tutte le altre emergenze del caso concreto. Proprio per mettere in evidenza la profonda distinzione tra probabilità statistica e probabilità logica, vengono fatti alcuni esempi. Si ipotizza, tra gli altri, il caso di un intervento chirurgico che è stato

140 G. Amato, “Per l’attribuzione della colpa professionale considerati gli elementi del caso

risolutivo ed efficace nel 100 % dei casi in cui è stato effettuato per contrastare una determinata patologia; se ci si limitasse ad un’analisi in termini di probabilità statistica, il medico che avesse omesso tale intervento dovrebbe essere senza dubbio condannato. Se però si fa una verifica aggiuntiva e si considera che i casi esaminati dalla legge di copertura riguardavano atleti nel pieno della loro forma fisica, mentre il caso specifico riguarda un anziano in pessime condizioni di salute, si giungerà ad una sentenza profondamente differente.

Conseguenza importante di tale metodo di accertamento è quella di comportare l’abbandono del metodo deduttivo in favore di una ricerca induttiva: non si può, dunque, ricavare deduttivamente l’esistenza del rapporto di causalità da una legge scientifica, persino se di carattere universale. Sarà infatti sempre necessario ricorrere al metodo induttivo, di talché i criteri statistici finiscono per essere comunque strumentali rispetto ad una ulteriore verifica imperniata sulle caratteristiche del caso concreto, che potrebbero minare, in un senso o nell’altro, il valore di credibilità della legge di copertura. Entrano così in gioco tutte le valutazioni inerenti all’età, al sesso, alle condizioni generali del paziente, alla presenza di eventuali e ulteriori processi morbosi interagenti, alla sensibilità verso determinati componenti farmacologici, a tutti gli altri elementi concretamente presenti.

I giudici di legittimità scandiscono quindi, con chiarezza e linearità, il percorso che i giudici di merito devono seguire per ritenere accertato il nesso di condizionamento in tema di responsabilità professionale medica, precisando che il punto di arrivo è rappresentato non dalla mera probabilità o da un’irrealistica certezza, ma da un “alto grado di conferma o credibilità razionale”. Ed è proprio tale credibilità razionale, che non deriva sempre e soltanto dall’elevato coefficiente statistico di probabilità (proprio perché il coefficiente di probabilità statistica deve cedere il passo a quello di probabilità logica), che potrà portare ad affermare che l’evento specifico, verificatosi hic et nunc, è causalmente ricollegato alla condotta del soggetto agente al di là di ogni ragionevole dubbio.

I giudici della IV Sezione rigettano il ricorso del dott. Orlando, ritenendo che nel giudizio di merito la decisione sia stata assunta seguendo, sia pur

inconsapevolmente, proprio tale percorso argomentativo. Si fa infatti riferimento, anzitutto, ad una legge statistica in base alla quale un intervento corretto e tempestivo per quella tipologia tumorale comporta la sopravvivenza del paziente da tre a cinque anni in una percentuale di casi superiore al 50%. Viene poi presa in considerazione una peculiarità del caso concreto, ossia il fatto che la paziente sia sopravvissuta per nove mesi dopo l’intervento chirurgico, nonostante le metastasi si fossero diffuse in modo molto rapido nei mesi immediatamente precedenti l’intervento. Tutti questi elementi portano ad affermare che una diagnosi ed un trattamento medico tempestivi, avrebbero garantito alla paziente un prolungamento della propria vita da tre a cinque anni, determinando dunque un evento – morte del tutto differente da quello concretamente verificatosi, sotto i profili dell’hic, nunc et quomodo.141

Il fondamento teorico – dogmatico dell’impostazione seguita dalla sentenza Orlando viene individuato negli studi di Federico Stella, a cui la pronuncia fa più volte espressamente riferimento. Non può sfuggire il fatto che anche le sentenze battistiane del 2000 avevano richiamato i contributi dello stesso illustre giurista. Deve dunque rilevarsi che Stella nel corso degli anni ha modificato la propria impostazione e il proprio approccio al problema causale, tant’è che oggi si parla del “primo” Stella e del “secondo” Stella. Se, dunque, le sentenze del 2000 si rifacevano alle sue elaborazioni più recenti della teoria causale, secondo cui una spiegazione adeguata del nesso di condizionamento presuppone una legge statistica con un coefficiente percentualistico vicino a 100, la sentenza Orlando ripudia le versioni più recenti e accorda la propria preferenza a quelle più risalenti. Si parte dalla constatazione che Stella, in una delle sue opere più importanti142, pone la soluzione del problema causale non in termini di certezza, o di prossimità alla certezza, ma in termini di “alto grado di conferma o di credibilità”, ossia di credibilità razionale. Egli precisa, inoltre, che tale requisito dell’alto grado di conferma o credibilità “può considerarsi soddisfatto in tutte le ipotesi in cui il giudice, dopo aver enunciato le leggi universali o statistiche

142 F. Stella, “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale”, Giuffrè, Milano, 1975,

pertinenti…abbia accertato che si sono verificate le <relative> condizioni iniziali, sempreché, sulla base della <evidenza> disponibile, risulti improbabile (= poco credibile) che l’evento si sia realizzato per l’intervento di <altri> processi causali (ai quali sia estraneo il comportamento dell’agente)”143.

Nonostante i frequenti richiami alle sue elaborazioni teoriche la sentenza Orlando ha suscitato aspre critiche proprio da parte di Federico Stella144 che ha sostenuto che, con tale pronuncia, si sia di fatto abbandonato quel modello della sussunzione sotto leggi scientifiche che, a partire dalla sentenza sul disastro di Stava del 1990, aveva rappresentato il faro per tutta la giurisprudenza in materia causale.

Il punto di rottura viene individuato in quella parte della sentenza in cui si afferma che spesso non esistono leggi scientifiche, universali o statistiche, che siano idonee a sussumere il caso concreto che il giudice deve decidere, o che, a volte, quelle stesse leggi, sulla base di successive ricerche, si rivelano false. In tali ipotesi il giudice è quindi costretto a fare ricorso a regole di razionalità empirica, o addirittura a massime di esperienza generalmente riconosciute. Erronea dunque sarebbe, per la Cassazione, quella cieca fiducia, influenzata dall’impostazione neopositivistica, che si ripone nella scienza e nella ricerca scientifica.

Stella sottolinea che, con questi presupposti, si fanno rivivere concezioni ormai superate della causalità, basate essenzialmente sul fiuto e sull’intuizione del giudice, come quando ancora si escludeva che tra i compiti del giudice vi fosse quello di individuare la spiegazione causale dell’evento sulla base di leggi scientifiche, ammettendosi invece che i nessi tra i singoli eventi concreti potessero essere interpretati esclusivamente sulla base di valutazioni e apprezzamenti soggettivi. La ratio della scelta compiuta nella sentenza Orlando viene individuata dallo studioso nel timore che un imprescindibile ricorso a leggi scientifiche limiti, di fatto, le possibilità di punire e sanzionare comportamenti anche gravemente colposi dei medici. Insomma, ci si vorrebbe liberare della scienza e dei suoi lacci

143 Ibidem

144 F. Stella, “Fallacie e anarchia metodologica in tema di causalità. La sentenza Orlando, la

sentenza Loi, la sentenza Ubbiali (Cass. Sez. IV pen)”, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, pag. 23 - 49.

per ragioni di politica criminale, per evitare troppe assoluzioni, e per far ciò si tornerebbe al vecchio, libero, intimo convincimento del giudice, che consentirebbe di aggirare ogni difficoltà probatoria.

Tale intrinseca fallacia della sentenza Orlando, secondo Stella, si ripercuote e vizia di irrazionalità anche gli ulteriori aspetti della pronuncia. Ad esempio, lo stesso richiamo al concetto di probabilità logica, del tutto apprezzabile, finisce per essere improprio: infatti la probabilità logica, anziché essere intesa come grado di conferma di un’ipotesi scientifica o di un enunciato causale derivante dal grado di sostegno nomologico disponibile, assume un contenuto autonomo del tutto disancorato dal sapere scientifico. Criticabili sono anche gli esempi che vengono fatti al fine di distinguere il concetto di probabilità logica da quello di probabilità statistica. Riprendendo il caso dell’intervento chirurgico prima citato, Stella sottolinea come esso sia nient’altro che il frutto di un errore nell’applicazione del modello della sussunzione. Col termine sussunzione si indica infatti quel procedimento logico col quale si riconducono degli antecedenti concreti al tipo di antecedente astratto previsto dalla legge di copertura: si procede dunque ad una concretizzazione della legge scientifica astratta nel caso singolo. E’ del tutto evidente come, nel caso citato, ci sia stato però un errore nella scelta della legge di copertura, posto che essa non contemplava il caso della persona anziana e in precarie condizioni di salute, ma solo quello del giovane atleta; la scienza è però una fonte inesauribile di leggi di copertura, che consentono di spiegare anche gli eventi lesivi che si verificano in persone molto anziane o colpite da differenti patologie, si tratta solo di scegliere quella che è la legge più opportuna e calzante rispetto alla fattispecie concreta.

Un altro appunto mosso da Stella alla sentenza Orlando è quello relativo alla riconosciuta possibilità per il giudice, in mancanza di leggi scientifiche, di ricorrere alle massime d’esperienza. In particolare, ciò che si contesta non è tanto l’astratta possibilità di ricorrere a tali massime, quanto la mancata precisazione che possono essere utilizzate non tutte le massime d’esperienza, ma solo quelle che siano dotate di un fondamento scientifico.

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