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Le critiche all’analisi del fatto storico della Franzese.

L’intervento delle Sezioni Unite

2. Le critiche all’analisi del fatto storico della Franzese.

1. Cenni introduttivi.

All’indomani della pronuncia delle Sezioni Unite il dibattito sulla causalità penale in ambito medico-chirurgico ha continuato ad animare le voci dottrinali più autorevoli che hanno accolto la decisione con valutazioni e giudizi per nulla univoci e concordanti231.

Sicuramente ci si è trovati d’accordo nel sottolineare la “maturità” della decisione, ossia la presa d’atto, da parte delle Sezioni Unite, della complessità del problema causale e della necessità di trovare una soluzione il più possibile equilibrata in considerazione dei differenti valori in gioco. Tale soluzione sembra possa essere individuata nel ricorso al concetto di “probabilità logica”, quella sorta di “terza via” che consentirebbe il superamento degli opposti estremismi che caratterizzavano la giurisprudenza precedente.

E’ quindi importante valutare se effettivamente la linea tracciata dalle Sezioni Unite sia o meno in grado di soddisfare le esigenze di certezza e di tutela dei principi fondanti degli ordinamenti democratici, così come auspicato da più parti. E’ necessario perciò valutare la portata pratica del concetto di “probabilità logica” e capire se il ricorso a tale nozione consenta o meno l’adozione di decisioni rispettose della disciplina positiva in materia causale e, nel contempo, di soddisfare le esigenze preventive del diritto penale, ossia i bisogni di giustizia sostanziale.

Prima però di passare ad analizzare la giurisprudenza di legittimità e di merito successiva al 2002, pare opportuno un breve richiamo alle critiche più pungenti e motivate che sono state mosse nei confronti della sentenza Franzese.

2. Le critiche all’analisi del fatto storico della Franzese.

231 Tanto che, come già ricordato, F. Angioni mette in dubbio che la posizione sicuramente

“mediana” accolta dalle Sezioni Unite rispetto agli orientamenti giurisprudenziali in conflitto, possa anche definirsi “mediatrice”. Si veda, F. Angioni, "Note sull'imputazione dell'evento colposo con particolare riferimento all'attività medica", in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Giuffrè, 2006, pag. 1318.

Le critiche mosse nei confronti della pronuncia delle Sezioni Unite possono, per ragioni esplicative, essere suddivise in due sottogruppi, a seconda che attengano ai principi di diritto enunciati nella sentenza oppure alla proposta di una differente analisi dei fatti storici oggetto della pronuncia.

Per quanto attiene a quest’ultimo profilo, si sottolinea che l’analisi del caso giudiziario su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite Penali suscita, nel merito, non poche perplessità che emergono già dalla lettura della sintetica ricostruzione dei fatti operata in sede di legittimità e che si evidenziano ancor di più se si analizzano i dati clinici emersi nei giudizi di merito. Le decisioni si basano su una consulenza medico – legale disposta dal p.m. un anno dopo la morte del paziente (sul quale non era stata eseguita l’autopsia) nonché sulle consulenze difensive dei tre medici imputati (solo il dott. Franzese veniva poi condannato), non essendo invece stata disposta alcuna perizia d’ufficio da parte del Pretore di Napoli.

Tre autorevoli studiosi di medicina legale232, Angelo Fiori, Giuseppe La Monaca e Gianluca Albertacci, hanno sostenuto che proprio i principi di diritto affermati dalle stesse Sezioni Unite avrebbero dovuto comportare nel caso specifico l’assoluzione del medico, perché non sarebbe stata raggiunta dai giudici la prova, oltre il ragionevole dubbio, di una condotta colposa in capo al dott. Franzese. A supporto di tale tesi sottolineano che il decorso post-operatorio si è svolto con “caratteristiche cliniche di progressivo miglioramento, cioè con canalizzazione dell’alvo ai gas ed alle feci, attenuazione dapprima e quindi scomparsa della febbre. In un caso come questo qualsiasi chirurgo dimette il paziente – dopo un ricovero già protrattosi per 11 giorni – per il proseguimento della convalescenza a domicilio: né una neutropenia è un elemento tale….da indurre ad una diversa condotta, a causa della variabilità delle risposte ematologiche alle infezioni ed ai traumi chirurgici”233.

232 Si veda A. Fiori, G. Albertacci, G. La Monaca, “Le Sezioni Unite penali della Cassazione

riaffermano l’esigenza di elevata probabilità logica del nesso causale sulle condotte mediche omissive: ma nel contempo confermano, pur dichiarando prescritto il reato, la responsabilità del medico in un caso di colpa e nesso causale poco probabili.”, in Riv. It. med. leg., 2002, pag. 1614- 1634.

Oltre che sull’assenza di alcun profilo colposo, essi basano la propria convinzione sulla constatazione che, se anche il ricovero si fosse protratto nel tempo, la recidiva settica si sarebbe manifestata in ospedale perché comunque “neppure la prosecuzione della terapia antibiotica avrebbe garantito con elevata

probabilità l’arresto dell’infezione, considerato che questa ha continuato a

svilupparsi in modo occulto malgrado nove giorni di terapia antibiotica”. Secondo il loro parere, dunque, un’analisi coerente e precisa delle informazioni mediche, non consente di poter affermare, con l’elevata probabilità logica richiesta dalle Sezioni Unite, che la condotta del dott. Franzese è stata causale rispetto alla morte del paziente. Infatti, a loro parere, il caso in oggetto si inquadra agevolmente tra quelle vicende che le stesse Sezioni Unite reputano doversi concludere con l’esito assolutorio del giudizio, alla luce dell’insufficienza, contraddittorietà e incertezza del riscontro probatorio, ossia del ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico.

Un altro insigne studioso234 sottolinea un’ulteriore incongruenza tra quanto enunciato dalle Sezioni Unite nei principi generali di diritto e quanto poi concretamente applicato nel caso concreto. Come già messo in evidenza, con la sentenza Franzese si registra la piena adesione della Corte alla teoria condizionalistica che implica l’individuazione della causa necessaria dell’evento mediante lo svolgimento di un giudizio controfattuale, il cui parametro di riferimento è rappresentato dalla sussunzione sotto una legge scientifica di copertura o sulla base di una generalizzata regola di esperienza. Tuttavia, se si esamina la pronuncia, non si comprende quale sia la regola di esperienza o la legge scientifica che consente di affermare che, alla luce delle emergenze acquisite, la condotta doverosa, colpevolmente omessa dal Franzese, avrebbe scongiurato l’evento hic et nunc. I giudici non si preoccupano neppure di quantificare le probabilità che la morte del Castellone si sarebbe potuta evitare, “qualora l’allarmante granulocitopenia fosse stata curata con terapie mirate alla

234 Si tratta di P. Veneziani, in “Omicidio e lesioni colpose nel settore medico-chirurgico”, in

Trattato di diritto penale – Parte Speciale, diretto da Giorgio Marinucci e Emilio Dolcini, 2003,

copertura degli anaerobi a livello intestinale, fino a far risalire il livello dei neutrofili al di sopra della soglia minima delle difese immunitarie”.

Il Veneziani condivide, invece, pienamente il dettato della Franzese nella parte in cui i giudici connotano la condotta del medico in termini di omissione. Egli sottolinea che, indubbiamente, dal caso emergono una serie di condotte naturalisticamente attive (ad esempio, la scelta di somministrare l’antibiotico, l’effettuazione dell’emocromo) che tuttavia non hanno efficacia causale rispetto all’evento, il quale invece si è determinato sulla base di quanto il medico ha omesso di fare. Nello specifico si sostiene che il dott. Franzese avrebbe dovuto far sì che venisse compiuta la consulenza internistica, già sollecitatagli prima dell’ingresso del Castellone nel suo reparto, e mai effettuata: si ritiene, infatti, che la consulenza avrebbe consentito di compiere l’esatta diagnosi e, di conseguenza, di somministrare la terapia più opportuna. La connotazione omissiva della condotta emerge applicando indifferentemente i due criteri, precedentemente richiamati235, utilizzati da dottrina e giurisprudenza ai fini di operare la distinzione tra azione e omissione. Se si richiama il criterio normativo, si constata che ci si trova di fronte ad un’omissione in quanto il medico ha violato il comando di disporre la consulenza internistica. Alla stessa conclusione si perviene se si fa affidamento sul criterio della reale efficacia condizionante: è chiaro infatti che non è stato il medico a cagionare la malattia che ha poi determinato l’exitus, essendo invece a lui imputabile il fatto di non aver diagnosticato il male e di non aver dunque inserito quel fattore che avrebbe potuto interrompere il processo causale già in atto.

Non sono mancati, però, coloro che contestano tale qualificazione236, sostenendo invece che ci si trovi al cospetto di una condotta indubbiamente attiva. Peraltro, la stessa terminologia utilizzata dai giudici (“causalità prevalentemente omissiva”) sarebbe equivoca, posto che, essendo l’omissione un concetto normativo, è connotata da requisiti tali che la sua presenza o assenza va constatata

235 Si veda Parte I, Cap. I, par. 3.

236 M. T. Trapasso, “Imputazione oggettiva e colpa tra <azione> ed <omissione>: dalla struttura

all’accertamento. Nota a Cass. Pen., S.U., 11 settembre 2002, Franzese”, in Ind. Pen., 2003, pag. 1236.

in termini assoluti, e non di mera prevalenza. Si sostiene dunque che la sentenza perpetui l’equivoco tra omissione e componente omissiva della colpa, che in materia medica viene ulteriormente aggravato dal fatto che l’attività medica interviene essenzialmente ai fini impeditivi di un processo morboso che è già in atto. Si individua quindi un limite della pronuncia Franzese proprio nel non aver affrontato in modo esplicito tale problematica237, chiarendo una volta per tutte che non può confondersi il profilo della condotta con quello della colpa e che, dunque, è del tutto erronea la trasformazione in reati omissivi di casi di mera culpa in

agendo del medico, confusione che ha per lungo tempo favorito anche un

accertamento meno rigoroso in tema di causalità, proprio in virtù dell’asserita componente omissiva.

E’ bene poi sottolineare che, quando ci si trova al cospetto di un reato colposo, è necessaria non solo la sussistenza di un nesso causale tra la condotta e l’evento, ma anche l’accertamento del duplice nesso che collega la colpa all’evento. E’ dunque anzitutto necessario stabilire che la regola cautelare violata avesse come scopo proprio quello di evitare l’evento che si è concretamente verificato (c.d. concretizzazione del rischio); in secondo luogo si dovrà verificare il c.d. comportamento alternativo lecito, ossia che l’evento stesso non si sarebbe verificato se il soggetto agente avesse posto in essere la condotta doverosa. Proprio in relazione ai parametri di giudizio per il compimento di questa seconda verifica controfattuale si sono registrate differenti posizioni nella dottrina; anche su questo punto dunque era auspicabile una presa di posizione da parte delle Sezioni Unite, che invece non si sono occupate del problema. Infatti, una parte

237 L’argomento viene solo sfiorato nell’inciso in cui si afferma che “dall'esame della

giurisprudenza di settore emerge che in non pochi casi, sebbene qualificati in termini di causalità omissiva per mancato impedimento dell'evento, non si è tuttavia in presenza di effettive, radicali, omissioni da parte del medico. Infatti, talora si verte in tema di condotte commissive colpose, connotate da gravi errori di diagnosi e terapia, produttive di per sé dell'evento lesivo, che è per ciò sicuramente attribuibile al soggetto come fatto proprio; altre volte trattasi di condotte eterogenee e interagenti, in parte attive e in parte omissive per la mancata attivazione di condizioni negative o impeditive. Ipotesi queste per le quali, nella ricostruzione del fatto lesivo e nell'indagine controfattuale sull'evitabilità dell'evento, la giurisprudenza spesso confonde la componente omissiva dell'inosservanza delle regole cautelari, attinente ai profili di "colpa" del garante, rispetto all' ambito - invero prioritario - della spiegazione e dell'imputazione causale”. La Corte non si sofferma però ulteriormente sulle diverse problematiche e sulle innumerevoli implicazioni.

della dottrina238, ritiene che la verifica controfattuale in relazione al comportamento alternativo lecito, in quanto afferente alla c.d. causalità della colpa, potrebbe accontentarsi di coefficienti di evitabilità diversi, e soprattutto meno rigorosi, rispetto a quelli previsti per il giudizio controfattuale in relazione all’imputazione oggettiva dell’evento. Infatti, secondo i sostenitori di questa tesi, mentre per la verifica della causalità della condotta ex art. 40 c.p. deve raggiungersi quell’alta probabilità logica o certezza processuale, richiesta proprio dalle Sezioni Unite, in caso di accertamento del comportamento alternativo lecito, poiché si è già provata la sicura incidenza causale tra la condotta e l’evento, ci si potrebbe, anzi dovrebbe, accontentare di una valutazione in termini meramente probabilistici239. Ciò però presenta delle problematiche di non poco conto in caso di condotta omissiva, in cui la verifica della causalità della condotta e della colpa finiscono per coincidere: infatti, per poter accertare se l’omissione dell’agente è stata causale rispetto all’evento (dunque per accertare la causalità della condotta), ci si deve chiedere se, in assenza dell’omissione, e dunque in presenza dell’azione doverosa omessa (comportamento alternativo lecito), l’evento si sarebbe ugualmente verificato. E’ quindi del tutto evidente che, dovendosi prendere in considerazione la regola cautelare violata già nell’accertamento ex art. 40 c.p., l’incidenza del comportamento alternativo lecito viene valutata già nel momento della c.d. causalità della condotta, e dunque sulla base di un criterio di “certezza processuale”: perciò, in caso di omissione, se non si raggiunge la certezza che il comportamento alternativo lecito avrebbe evitato l’evento, non può dirsi sussistente il nesso causale ex art. 40 c.p.. Tale ricostruzione comporta dunque un’evidente disparità di trattamento e conseguenze assolutamente non eque240: infatti, essa penalizza il medico che ha posto in essere un intervento rischioso e dagli esiti incerti, rispetto al medico che abbia deciso di non intervenire in alcun

238 Si veda, in particolare, M. Donini, “La causalità omissiva e l’imputazione per l’aumento del

rischio. Significato teorico e pratico delle tendenze attuali in tema di accertamenti eziologici probabilistici e decorsi causali ipotetici”, Riv. it. dir. proc. pen., 1999, pag. 32 e ss

239 Non vi è peraltro uniformità in relazione al margine di probabilità richiesto.

240 F. Angioni, "Note sull'imputazione dell'evento colposo con particolare riferimento all'attività

medica", in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Giuffrè, 2006, pag. 1289 e ss.; R. Blaiotta, “Causalità e colpa nella professione medica tra probabilità e certezza”, in Cass. Pen. 2000, pag. 1215.

modo, agevolando il rischioso fenomeno della c.d. medicina difensiva. Infatti, in caso di azione, il nesso tra colpa ed evento si reputa sussistente anche se è solo probabile che il compimento del comportamento alternativo lecito avrebbe evitato l’evento, mentre in caso di omissione è necessario raggiungere la certezza processuale che l’evento non si sarebbe verificato in virtù del compimento dell’azione doverosa omessa241.

Un'altra osservazione critica nei confronti della teoria appena esposta si basa su argomentazioni prettamente processuali. Infatti, mentre la dichiarazione di insussistenza della causalità dell’omissione comporta l’assoluzione perché il fatto non sussiste, quella di insussistenza della causalità della colpa implica un’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Tale diversità nelle formule assolutorie ha delle importanti implicazioni relativamente al giudizio civile per il risarcimento dei danni che potrà essere esperito soltanto nell’ultima ipotesi242.

E’ proprio la vivacità del dibattito in materia e la ricchezza delle implicazioni pratiche che ne derivano che avrebbero reso opportuna una trattazione, sia pur incidentale, del problema nella pronuncia delle Sezioni Unite, che dunque su questo profilo, così come su quello relativo alla distinzione tra azione ed omissione, si è attirata le critiche di essere un po’ lacunosa243.

3. Le critiche ai principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite: il

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