IV. L’elemento negativo: l’esclusione delle sanzioni legittime
2. Il divieto di tortura in ambito europeo
2.1. La repressione e la prevenzione della tortura nel Consiglio d’Europa 1 La Convenzione e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
2.1.3. L’ambito di applicazione: il criterio della soglia minima di gravità
Alla luce della giurisprudenza della Corte, il sistema dell’art. 3 CEDU si compone di una soglia esterna, comune a tortura e punizioni o trattamenti inumani o degradanti, e di soglie interne, che servono a distinguere fra loro le diverse tipologie di trattamenti. La prima è costituita dalla c.d. soglia minima di gravità e delimita l’ambito di applicazione della norma: non tutti i maltrattamenti costituiscono una violazione dell’art. 3 CEDU, ma solo quelli che superano un livello minimo di gravità tale da costituire una lesione del diritto fondamentale in esso sancito. Le soglie interne servono, invece, a distinguere fra loro le tre categorie di maltrattamenti individuate dalla disposizione, che si collocano su una scala decrescente di gravità, che muove dalla tortura al trattamento o punizione inumano e da quest’ultimo al trattamento degradante.
241 CEDU, Aksoy c. Turchia, 18 dicembre 1996, §62. Si veda anche il caso CEDU, Labita c. Italia, 6
aprile 2000, §119.
242 Si veda, in particolare, l’intervento del rappresentante francese Teitgen: Council of Europe,
Preparatory Work of Article 3 of the European Convention on Human Rights, Memorandum Prepared
by the Secretariat of the Commission, DH(56), 5,8.
243 Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., pp. 69 ss. e S. BARTOLE, P. DE
SENA, V. ZAGREBELSKY, Commentario breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e
Perché un comportamento possa, quindi, rientrare nell’ambito di applicazione della norma dovrà, innanzitutto, superare la soglia minima di gravità che gli permette di essere qualificato come degradante e solo in questo caso, a seconda delle sue caratteristiche e del suo livello di gravità, potrà essere collocato in una delle tre categorie244.
Il sistema così delineato è stato elaborato dalla Commissione e dalla Corte sin dai loro primi interventi nel caso Grecia del 1969 e nel caso Irlanda c. Regno unito degli anni Settanta.
Nel primo caso la Commissione riconobbe come tortura i numerosi maltrattamenti commessi dalle forze di sicurezza nella Grecia dei colonnelli, la cui condanna fu, però, soltanto simbolica, dato che il Paese aveva deciso di uscire dal Consiglio d’Europa. Essa fu, comunque, molto importante, poiché rappresentò la prima affermazione, contenuta in un rapporto di un organo legato ad un trattato per i diritti umani, del verificarsi della tortura in un ordinamento. Nel rapporto della Commissione si legge che erano stati posti in essere maltrattamenti e torture, in particolare sotto forma di pestaggi, abusi sessuali, quasi soffocamenti, estrazione di unghie, shock elettrici e
falanga, un’antica tecnica che consiste nell’assestare colpi sulla pianta dei piedi con un
bastone di ferro o metallo, provocando fortissimi dolori, ma non fratture di ossa o escoriazioni, in modo tale da rendere di difficile riconoscimento la loro inflizione245. Nel caso Irlanda c. Regno Unito, la prima chiamò in giudizio il secondo, perché la Commissione e la Corte analizzassero, alla luce dell’art. 3 CEDU, le cinque pratiche di interrogatorio, utilizzate dal governo britannico in Irlanda del Nord per combattere l’IRA. Queste consistevano nel privare i detenuti di cibo e acqua, nell’impedire loro di dormire, nell’obbligarli a stare in piedi per moltissime ore, nell’incappucciarli prima e dopo l’interrogatorio e nel frastornarli mediante suoni e rumori. La Commissione nel 1976 affermò che queste tecniche, che spesso venivano utilizzate in coppia o una di seguito all’altra, erano qualificabili come tortura, mentre la Corte nel 1978 le collocò
244 Cfr. T. PADOVANI, Lezione II sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 5 febbraio
2007, dattiloscritto; H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., pp. 217 ss.; A.
ESPOSITO, Art. 3. Proibizione della tortura, cit., p. 56; J. MURDOCH, The Treatment of Prisoners.
European Standards, Council of Europe Publishing, 2006, pp.116 ss. e M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., pp. 74 ss.
245 Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., pp. 79 ss.; N.S. RODLEY, The
Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 77 e A. CASSESE, I diritti umani oggi, cit.,
fra i trattamenti inumani. In ogni caso, fu stabilito che il Regno Unito aveva violato in maniera massiccia l’art. 3 CEDU246.
In particolare, nella decisione relativa a questo caso, la Corte ha affermato che, perché possa ritenersi violato il divieto di tortura contenuto nell’art. 3 CEDU, il maltrattamento deve integrare un livello minimo di gravità, che si presenta sempre come relativo. L’individuazione dello stesso deve essere effettuato caso per caso e dipende da molteplici fattori: la durata del trattamento, gli effetti fisici e psichici dello stesso, il carattere pubblico o privato della punizione, nonché, in alcuni casi, il sesso, l’età e lo stato di salute della vittima. In seguito, la Corte non si è mai smentita su questo punto, che è diventato un’affermazione costante delle decisioni emesse in materia di art. 3 CEDU, soprattutto di quelle che presentavano problemi interpretativi di particolare difficoltà o questioni mai affrontate prima247.
Inoltre, nel tempo, sono stati enumerati ulteriori fattori, che possono incidere sull’applicabilità dell’art. 3 CEDU248. Nel caso sopra citato, Gäfgen c. Germania, ad esempio, si è preso in considerazione il clima di tensione ed emozione presente nell’opinione pubblica per valutare ciò che poteva aver inciso sull’azione della polizia249; in altri casi, si è fatto riferimento al notevole ritardo con cui, a seguito di maltrattamenti, l’individuo era stato portato presso strutture sanitarie adeguate250 e, in
246 Cfr. A. CASSESE, I diritti umani oggi, cit., p. 176; ; A. ESPOSITO, Art. 3. Proibizione della
tortura, cit., p. 71 e M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., pp. 32 ss.
247 In generale: CEDU, Irlanda vs Regno Unito, 18 gennaio 1978, Ser A, 25, §162; CEDU Tekin c.
Turchia, 9 giugno 1998, §52; CEDU, Jalloh c. Germania, 11 luglio 2006, §67 e CEDU, Hellig c. Germania, 7 luglio 2011, §97. Per gli effetti complessivi sulla salute e sulla psiche: GC, Kudla c. Polonia, 26 ottobre 2000, §94. Per il carattere pubblico o privato della punizione: CEDU, Tyrer c. Regno Unito, 25 aprile 1978, §32. Per l’età e le condizioni di salute: CEDU, Güveç c. Turchia, 20
gennaio 2009, §88. Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., p. 75; A. ESPOSITO,
Art. 3. Proibizione della tortura, cit., p. 57; S. BARTOLE, P. DE SENA, V. ZAGREBELSKY, Commentario breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali,
cit., p. 68 e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., p. 217
248 Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., p. 75; S. BARTOLE, P. DE SENA, V.
ZAGREBELSKY, Commentario breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle
Libertà Fondamentali, cit., p. 68
249 GC, Gäfgen c. Germania, 1 giugno 2010, §89; v. supra par. 2.1.2.
250 GC, Ilhan c. Turchia, 27 giugno 2000, §87: il caso si riferisce ad un’operazione posta in essere
dalle autorità turche presso il villaggio di Aytepe nell’ambito della lotta al terrorismo curdo. In quest’occasione la polizia aveva pestato il signor Ilhan al punto da fargli perdere conoscenza. Questi era stato in seguito arrestato, perché sospettato di collaborare con il PKK ed era stato portato in ospedale solo con molto ritardo. Qui, riscontrato che la vittima aveva perso al 60% le funzioni della parte sinistra del corpo, i medici avevano deciso di effettuare alcuni esami da cui avevano potuto accertare l’atrofizzazione di una parte del cervello, riconducibile alle percosse subite. La Corte ritenne di qualificare questo caso come tortura.
altri ancora, alla particolare vulnerabilità della vittima251 ovvero al carattere arbitrario della condotta lesiva252.
In realtà, in due particolari pronunce emesse nel corso degli anni Novanta, il caso
Tomasi c. Francia e Ribitsch c. Austria253, entrambi relativi a maltrattamenti subiti
durante un fermo di polizia, la Corte non aveva fatto riferimento al criterio della soglia minima di gravità come limite esterno all’applicazione della norma, inducendo una parte della dottrina a ritenere che la Corte lo avesse abbandonato e che qualunque violenza, posta in essere nei confronti di soggetti privati della libertà personale, costituisse una violazione dell’art. 3 CEDU254. Questa opinione è stata tuttavia smentita dalle successive sentenze che riguardavano casi simili, come il sopra citato
Tekin c. Turchia, nel quale i giudici di Strasburgo sono tornati ad enunciare a chiare
lettere il criterio che si sta esaminando. Più che di un superamento dello stesso, nelle decisioni Tomasi e Ribitsch, si trattava quindi probabilmente di un implicito riconoscimento del raggiungimento della soglia alla luce delle circostanze dei casi concreti255.
Per quanto riguarda in particolare le punizioni inumane e degradanti, la Corte ha più volte ribadito che, nella valutazione della soglia minima di gravità, deve tenersi conto del fatto che tutte le pene comportano un certo livello di afflizione, intrinseco al concetto stesso di pena. La privazione della libertà personale, ad esempio, costituisce certamente una sofferenza per chi la subisce, ma non è di per sé illegittima. Ciò che si impone allo Stato è, quindi, di assicurare che la limitazione della libertà avvenga in
251 CEDU, Aydın c. Turchia, 25 settembre 1997, §83: Il caso ha ad oggetto lo stupro e i maltrattamenti
subiti da Aydın, una ragazza turca, che all’epoca dei fatti aveva diciassette anni. La polizia turca, durante un’operazione contro il terrorismo curdo, aveva arrestato la ragazza, insieme al padre e alla cognata. All’arrivo al commissariato, la ragazza era stata separata dagli altri membri della famiglia ed era stata colpita con forti getti di acqua fredda, picchiata, stuprata e sottoposta ad altri maltrattamenti, prima di essere rilasciata. A proposito dello stupro, la Corte ha sottolineato che la particolare gravità di questo atto, oltre al dolore fisico e ai danni psicologici più duraturi di quelli derivanti da altre forme di maltrattamento, è dato dal fatto che l’agente sfrutta la vulnerabilità della vittima, incapace di esercitare resistenza.
252 CEDU, Iljina e Saruliene c. Lituania, 15 marzo 2011, §47: in questo caso, i due ricorrenti erano
stati minacciati con pistole cariche e picchiati dalla polizia per aver rifiutato l’ingresso agli agenti nella propria abitazione, dove questi volevano cercare degli oggetti rubati. Entrambi i ricorrenti erano poi stati arrestati e la polizia aveva rifiutato di spiegare ai familiari le ragioni dell’arresto. La Corte ha ritenuto che, fra gli altri fattori, l’arbitrarietà del comportamento della polizia comportasse il superamento della soglia minima necessaria per l’applicazione dell’art. 3 CEDU.
253 CEDU, Tomasi c. Francia, 27 agosto 1992 e CEDU, Ribitsch c. Austria, 4 dicembre 1995
254 Cfr. F. SUDRE, Droit international et européen des droits de l’homme, Paris, 1997, pp. 187 ss. e J.
F. RENUCCI, Droit européen des droit de l’homme, Paris, 1999, p. 72 ss.
condizioni compatibili con la dignità umana, che non infliggano una sofferenza maggiore rispetto a quella necessaria per l’espletamento delle funzioni della pena256. In conclusione, l’ambito di applicazione della norma si estende a tutte quelle fattispecie in cui si raggiunge una soglia minima di gravità, non rigidamente fissata, ma individuata dalla Corte sulla base delle circostanze oggettive del caso concreto e delle caratteristiche soggettive della vittima.
Ciò non toglie che vi siano delle situazioni talmente gravi, quali quelle che la Corte qualifica come tortura, che costituiscono sempre e senza ombra di dubbio una violazione dell’art. 3 CEDU e rispetto alle quali i fattori sopra evidenziati non rilevano per l’individuazione della soglia esterna. Viceversa, vi sono situazioni che, sebbene possano apparire come rientranti nell’ambito della norma, non raggiungono mai il livello di gravità richiesto, per cui la stessa risulta sempre inapplicabile257.
Se per la prima ipotesi si può fare riferimento al caso Grecia, in cui le violenze commesse erano di tale brutalità da rendere superflua ogni altra analisi, per la seconda si può citare il caso Lopez Ostra c. Spagna. In questo caso, si discuteva della responsabilità della Spagna per mancata protezione dei propri cittadini nei confronti di un impianto di smaltimento dei rifiuti liquidi e solidi, che emetteva rumori molesti, cattivi odori e fumi tossici in prossimità di una zona abitata. I ricorrenti chiedevano che venisse riconosciuta, oltre ad una violazione dell’art. 8 CEDU, relativo al rispetto della casa e della vita privata, anche quella dell’art. 3 CEDU, poiché ritenevano di essere stati soggetti per lungo tempo ad un trattamento inumano e degradante. La Corte, tuttavia, escluse che in questo caso fosse stato raggiunto il livello minimo di sofferenza necessario all’applicazione della disposizione258.
Al di là dei due casi estremi, in tutte le altre situazioni sarà necessario valutare l’insieme dei fattori sopra elencati, da un lato, per stabilire se vi sia stato il superamento della soglia esterna di gravità e, dall’altro lato, per individuare in quale delle categorie elaborate dalla Corte il comportamento rientri.
256 CEDU, A. e altri c. Regno Unito, 19 febbraio 2009, §127. Cfr. S. BARTOLE, P. DE SENA, V.
ZAGREBELSKY, Commentario breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle
Libertà Fondamentali, cit., p. 69
257 Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., p. 75. 258 Cfr. CEDU, Lopez Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994
2.1.4. Le soglie interne: la distinzione fra trattamenti o punizioni degradanti,