1. Il divieto di tortura a livello universale
1.1. Il divieto generale e assoluto di tortura: la Dichiarazione Universale ONU del 1948, le Convenzioni di Ginevra del 1949, il Patto sui Diritti Civili e Politici del
1966
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1948, rappresenta il primo documento che sancisce a livello universale un chiaro ed assoluto divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti88. Nonostante non abbia l’efficacia vincolante di un trattato, essa costituisce un documento di grande influenza culturale e politica89. Si tratta di un atto di importanza epocale, che ha aperto la strada all’adozione di tutti quegli strumenti di affermazione e tutela dei diritti propri di ciascun essere umano, che si sono succeduti nel corso dei decenni successivi90.
Non è un caso che la formulazione dell’art. 5 della Dichiarazione, secondo cui “nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o a punizioni crudeli, inumani o degradanti”, corrisponda, seppur con qualche piccola variazione, alle formulazioni dello stesso diritto contenute in altri strumenti internazionali, come il Patto sui Diritti Civili e Politici del 1966 o la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Il primo infatti riprende alla lettera, all’art. 7, l’espressione contenuta nella Dichiarazione, limitandosi ad aggiungere un secondo comma relativo al diritto di non essere sottoposti ad esperimenti medici o scientifici senza il proprio consenso91. Molto simile all’art. 5 della Dichiarazione Universale è anche l’art. 3 CEDU, che si differenzia soltanto per l’omissione dell’aggettivo “crudeli”, non particolarmente significativa quanto alla portata del principio espresso92.
88 Cfr. C. DEFILIPPI, D. BOSI, Il sistema europeo di tutela del detenuto, cit., p. 1 ss. 89 Sulla natura e sull’efficacia della Dichiarazione, v. supra, nota 1.
90 Cfr. C. ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, p. 25
91 Art. 5, Universal Declaration of Human Rights: “No one shall be subjected to torture or to cruel,
inhuman, degrading treatment or punishment”.
Art. 7, International Convenant on Civil and Political Rights: “No one shall be subjected to torture or to cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. In particular, no one shall be subjected without his free consent to medical or scientific experimentation”.
92 Art. 5, Universal Declaration of Human Rights: “No one shall be subjected to torture or to cruel,
inhuman, degrading treatment or punishment”.
Art. 3 CEDU, “No one shall be subjected to torture or to inhuman or degrading treatment or punishment”.
Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., p. 61 e N.S. RODLEY, The Treatment of
L’inserimento nella Dichiarazione di questo articolo non è stato oggetto di grande discussione, in quanto era condiviso fra gli Stati appartenenti alle Nazioni Unite il desiderio di condannare “the medieval methods of torture and cruel punishment
which were practiced in the recent past by Nazis and fascists”93. La censura della
tortura fu quindi incondizionata: la formulazione dell’art. 5 è assoluta, non contiene una definizione di cosa debba intendersi per tortura o trattamento inumano e degradante e non conosce eccezioni.
Lo stesso può dirsi dell’art. 7 del Patto sui Diritti Civili e Politici, convenzione approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 ed entrata in vigore il 23 marzo 1976. Come si è visto, la formulazione dell’articolo è identica a quella dell’art. 5 della Dichiarazione Universale, con la sola aggiunta di un secondo comma che afferma: “In particular, no one shall be subjected without his
free consent to medical or scientific experimentation”.
Anche in questo caso ci si trova, dunque, di fronte ad un divieto assoluto di tortura e di trattamenti inumani, crudeli e degradanti, che non vengono in alcun modo definiti e che non subiscono eccezioni. L’art. 7 non prevede, infatti, la possibilità di alcuna deroga, a differenza di quanto avviene in altri articoli contenuti nel Patto, come l’art. 18 sulla libertà di coscienza e di religione, l’art. 21 sulla libertà di espressione o l’art. 22 sulla libertà di associazione, che possono subire restrizioni per motivi di sicurezza nazionale, di ordine pubblico, di salute o morale pubblica. Inoltre, l’art. 7 è sottratto, insieme ad altre disposizioni di fondamentale importanza, quali il diritto alla vita o la proibizione della schiavitù, alla possibilità di deroga per motivi di “emergenza pubblica che minacciano la vita della nazione”, per espressa previsione dell’art. 4 del Patto stesso94. Ciò è particolarmente significativo, se si
pensa che il Patto sui Diritti Civili e Politici è un vero e proprio trattato e, come tale, senza dubbio fonte di obbligazioni legali per gli Stati firmatari95.
93 N. ROBINSON, The Universal Declaration of Human Rights: its Origin, Significance, Application,
and Interpretation, Institute of Jewish Affairs, World Jewish Congress, 1958, p. 108
94 Cfr. N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 54 e C. ZANGHÌ,
La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, cit., p. 44
95 Cfr. A. SACCUCCI, Profili di tutela dei diritti umani, cit., p. 46. Vi sono altri due articoli del Patto
che hanno a che fare con la tutela contro la tortura: da un lato, l’art. 9, che attribuisce a ciascuno il diritto alla libertà e alla sicurezza della persona e, dall’altro, l’art. 10, che afferma che tutte le persone private della libertà personale devono essere trattate con umanità e nel rispetto della dignità inerente alla persona umana. Questi due articoli non sono così assoluti come l’art. 7, non essendo esclusi
Se la Dichiarazione Universale ed il Patto sui Diritti Civili e Politici appartengono alla medesima logica di affermazione dei diritti dell’uomo, chiunque egli sia, in qualsiasi Paese viva ed in qualsiasi circostanza si trovi, in parte diversa è la funzione delle Convenzioni di Ginevra del 1949. Queste non fanno, infatti, parte del “diritto dei diritti umani”, bensì del cosiddetto diritto umanitario, che si occupa di dettare regole per la protezione dei singoli, applicabili durante i conflitti armati. Le quattro Convenzioni, approvate nel 1949, e i loro tre Protocolli Opzionali tentano, fra le altre cose, di limitare le violazioni dei diritti delle persone, che cadono prigioniere della parte avversa durante i conflitti armati96.
Essendo Convenzioni applicabili durante i conflitti, non è strano che in numerosi articoli si trovino riferimenti alla tortura, dato che, se la sua pratica si annida negli ordinamenti anche in tempo di pace, essa dilaga in tempo di guerra. La tortura viene, quindi, ovviamente condannata e vietata in più articoli delle Convenzioni di Ginevra. Si veda, a titolo di esempio, l’art. 3, comune a tutte le Convenzioni e relativo ai conflitti di carattere non internazionale, che stabilisce: “In the case of armed conflict
not of an international character occurring in the territory of one of the High Contracting Parties, each Party to the conflict shall be bound to apply, as a minimum, the following provisions:
(1) Persons taking no active part in the hostilities, including members of armed forces who have laid down their arms and those placed ' hors de combat ' by sickness, wounds, detention, or any other cause, shall in all circumstances be treated humanely, without any adverse distinction founded on race, colour, religion or faith, sex, birth or wealth, or any other similar criteria.
To this end, the following acts are and shall remain prohibited at any time and in
any place whatsoever with respect to the above-mentioned persons:
(a) violence to life and person, in particular murder of all kinds, mutilation, cruel treatment and torture;[…]
(c) outrages upon personal dignity, in particular humiliating and degrading treatment […]”. Secondo questa disposizione, tutte le persone che non abbiano parte
attiva nelle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le
dall’ambito di applicazione dell’art. 4 ed essendo, quindi, derogabili in casi di rischio per la vita della Nazione. Cfr. N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 57
armi o che non siano più in grado di combattere per malattia, ferite o perchè si trovano in stato di detenzione, devono essere trattate umanamente. Allo scopo di realizzare questo, alcuni atti, fra cui la tortura e i trattamenti crudeli, devono essere sempre proibiti.
Si può fare riferimento, inoltre, all’art. 50 della prima, all’art. 51 della seconda, all’art. 130 della terza e all’art. 147 della quarta Convenzione, che individuano fra le gravi infrazioni al diritto delle Convenzioni, fra le altre, la tortura e i trattamenti inumani97.
Come si vede, il diritto umanitario di Ginevra annovera in più punti la tortura, individuandola come violazione delle Convenzioni e invitando gli Stati a proibirla. In questo senso, è interessante sottolineare come, in tutti gli articoli immediatamente precedenti a quelli che abbiamo appena citato, vale a dire l’art. 49 della prima, l’art. 50 della seconda, l’art. 129 della terza e l’art. 146 della quarta Convenzione, sia contenuto l’impegno degli Stati contraenti a mettere in atto ogni misura legislativa necessaria a comminare sanzioni penali effettive per le persone che commettono od ordinano una delle gravi violazioni descritte negli articoli successivi98.
È opportuno, infine, soffermare l’attenzione sul fatto che anche nel caso delle Convenzioni ginevrine la proibizione della tortura è assoluta e non incontra alcuna eccezione99.
Una volta visto come e con quale ampiezza e decisione questi atti internazionali, adottati per lo più nel secondo dopoguerra e prima degli anni Settanta, affermino il divieto di tortura, è necessario verificare quali siano gli organismi preposti a garantire il rispetto dei principi in essi sanciti.
97 Si potrebbero ancora richiamare: l’art. 17, IV comma, terza Convenzione in materia di interrogatori
(“No physical or mental torture, nor any other form of coercion, may be inflicted on prisoners of war
to secure from them information of any kind whatever. Prisoners of war who refuse to answer may not be threatened, insulted, or exposed to any unpleasant or disadvantageous treatment of any kind”);
l’art. 87, III comma, terza Convenzione sulle punizioni (“Collective punishment for individual acts,
corporal punishments, imprisonment in premises without daylight and, in general, any form of torture or cruelty, are forbidden”) ed infine sulla stessa questione l’art. 32, quarta Convenzione (The High Contracting Parties specifically agree that each of them is prohibited from taking any measure of such a character as to cause the physical suffering or extermination of protected persons in their hands. This prohibition applies not only to murder, torture, corporal punishment, mutilation and medical or scientific experiments not necessitated by the medical treatment of a protected person, but also to any other measures of brutality whether applied by civilian or military agents).
98 Cfr. E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto
penale internazionale, Giuffrè, 2006, pp. 369 ss.