II. Trattamento o punizione inumano e tortura
1. Il livello costituzionale: l’art 13, comma 4, Cost.
L’art. 13 della Costituzione italiana sancisce, al suo primo comma, l’inviolabilità della libertà personale, tracciando in maniera specifica, ai commi successivi, i limiti e le garanzie connessi alla sua restrizione. Fra questi spicca, in relazione al tema della tortura, l’art. 13, comma 4, Cost. che afferma: “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
Questa disposizione può essere sottoposta a due differenti interpretazioni: secondo la prima, per l’attuazione della norma sarebbe sufficiente la sussistenza nell’ordinamento di una serie di fattispecie, volte a punire tutti gli atti di violenza fisica o psichica nei confronti di soggetti in stato di privazione della libertà personale; in base alla seconda interpretazione, questa “batteria di norme repressive” non garantirebbe un completo adempimento dell’obbligo costituzionale387.
Secondo quest’opinione, l’insieme degli artt. 606-609 c.p. (volti a punire l’arresto illegale, l’indebita limitazione della libertà personale, l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti e la perquisizione e l’ispezione arbitrarie) e le fattispecie comuni che reprimono la violenza fisica, come i reati di percosse o lesioni, o la violenza morale, come i reati di minaccia o violenza privata, non sarebbero sufficienti ad approntare una tutela dei soggetti privati della libertà personale conforme a quella richiesta dalla Costituzione.
La dottrina è, infatti, già da tempo consapevole dell’esistenza di una serie di problemi di prevenzione e repressione degli abusi, legati a difficoltà di emersione dei fatti e di prova degli stessi. Questi problemi sono causati, fra le altre cose, dal rischio di ritorsioni cui vanno incontro le vittime che trovano il coraggio di denunciare le violenze e gli eventuali testimoni. Inoltre essi sono aggravati dalla perseguibilità solo a querela di alcuni di questi reati, nonché dall’elevato rischio di querela per calunnia che grava in capo a chi si rivolge all’autorità giudiziaria per l’accertamento di fatti del genere.
387 Cfr. G. AMATO, Art. 13, cit., pp. 28 ss. e P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, il
Per questi motivi è stato affermato in dottrina che la disposizione costituzionale impone, oltre che la repressione, come si ricava dalla lettera della norma, anche la prevenzione degli abusi. Questa deve essere realizzata attraverso l’adozione di norme a garanzia dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni estorte, non scontata sulla base del vecchio codice di procedura penale, e attraverso una serie di norme atte a rendere il più trasparente e breve possibile il contatto fra forze di polizia e soggetto ristretto nella libertà personale388.
Le novità del Codice di procedura penale del 1989, che hanno cercato di migliorare questi aspetti della tutela dell’arrestato, hanno reso meno stringente la necessità di scegliere fra le due interpretazioni dell’art. 13, comma 4, Cost..
È certo e condiviso, però, che questa norma obblighi il legislatore alla repressione dei fatti di violenza fisica e psichica nei confronti dei soggetti privati della libertà personale. Oltretutto, l’art. 13, comma 4, Cost. è l’unica disposizione della Costituzione ad imporre il ricorso allo strumento penalistico, nei confronti del quale i Costituenti si sono preoccupati piuttosto di tracciare limiti e confini389.
Si pone invece una diversa questione, vale a dire se per l’adempimento dell’obbligo costituzionale sia sufficiente la previsione di una pluralità di fattispecie, come quelle già presenti all’interno del Codice, o se sia, secondo quanto sostengono alcuni autori390, necessaria anche l’introduzione di una fattispecie ad hoc contro la tortura, vista l’inadeguatezza del sistema normativo italiano rispetto alla prevenzione degli abusi delle forze dell’ordine.
In effetti la formulazione dell’art. 13, comma 4, Cost. è atta a ricomprendere la punizione della tortura ed è indubbio che i Costituenti non ignorassero il problema degli abusi e delle violenze che avvengono nei luoghi di restrizione della libertà personale. È sufficiente, a questo proposito, ricordare le parole del discorso di Piero Calamandrei, tenuto alla Camera di Deputati nel 1948, per promuovere l’istituzione di una Commissione di inchiesta sulle carceri e sulla tortura: “Ora, onorevoli
388 Cfr. G. AMATO, Art. 13, cit., pp. 28 ss. e P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali,
cit., p. 113
389 Cfr. L. FERRAJOLI, Principia iuris, cit., p. 328; L. FERRAJOLI, Dei diritti e delle garanzie, cit.,
p. 42 e A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione: Anatomia di un reato che
non c’è, cit., pp. 6 ss.
390 Cfr. L. FERRAJOLI, Principia iuris, cit., p. 328; L. FERRAJOLI, Dei diritti e delle garanzie, cit.,
p. 42 e A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione: Anatomia di un reato che
colleghi, questo bisogna confessar chiaramente: che oggi in tutto il mondo civile, nella mite ed umana Europa, a occidente o a oriente e anche in Italia (ma forse in Italia meno che in altri Paesi d’Europa) non solo esistono ancora prigioni crudeli come ai tempi di Beccaria, ma esiste ancora, forse peggiore che ai tempi di Beccaria, la tortura! […] Ho voluto fare, in questi ultimi mesi, una specie di inchiesta privata e discreta fra gli avvocati e i magistrati: vi assicuro che ho raccolto materiali impressionanti, sui quali non voglio darvi qui particolari […]”391.
Si deve però anche dire che l’area coperta dall’espressione contenuta nell’art. 13, comma 4, Cost. non corrisponde pienamente a quella dell’art. 1 della Convenzione ONU contro la Tortura.
Da un certo punto di vista, l’ambito di applicazione della disposizione costituzionale è più ristretto rispetto a quello della norma internazionale, poiché si riferisce soltanto alle violenze commesse nei luoghi di restrizione della libertà personale. Se è vero che nella maggior parte dei casi la tortura ha luogo all’interno dei luoghi di detenzione, non è detto che essa non trovi spazio anche al di fuori di questi. Si pensi, ad esempio, ad un eccesso nell’uso della forza nella gestione dell’ordine pubblico durante una manifestazione, ovvero all’azione di un gruppo di poliziotti che compie un pestaggio in strada a scopi discriminatori nei confronti di uno straniero o di un appartenente ad una determinata comunità religiosa.
Da un altro punto di vista, l’art. 13, comma 4, Cost. sembra coprire un ambito più ampio rispetto a quello dell’art. 1 della Convenzione ONU, non prevedendo l’elemento teleologico che, come si è visto, rappresenta un requisito fondamentale per distinguere la tortura dai trattamenti inumani e degradanti.
In effetti, se certamente l’art. 13 Cost. è idoneo a fondare l’incriminazione della tortura, esso mostra di avere uno scopo ben più ampio. In primo luogo, esso giustifica dal punto di vista costituzionale anche tutte le altre fattispecie, proprie o comuni, individuate a tutela dei soggetti sottoposti a restrizione della libertà personale e non necessariamente corrispondenti alla tortura (artt. 606-609 c.p.). In secondo luogo, esso deve essere letto in stretta correlazione con l’art. 27, comma 3,
391 Cfr. Il testo del discorso, tenuto alla Camera dei Deputati il 27 ottobre 1948, è pubblicato sulla
rivista il Ponte, n. 3, 1949, pp. 228 ss. in apertura della raccolta dei testi scritti da coloro che, avendo avuto esperienza delle carceri fasciste, avevano risposto all’invito di Calamandrei e avevano raccontato la propria esperienza ed espresso le proprie proposte in vista di una riforma penitenziaria. Si veda supra nota 1.
Cost., secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il combinato disposto degli artt. 13, comma 4, e 27, comma 3, Cost. sancisce nel nostro ordinamento il “principio di umanizzazione” della pena e impone che il sacrificio derivante dalla restrizione della libertà personale, necessariamente connesso all’espiazione della pena, non ecceda quello legittimo in base alle norme ordinarie e ai principi costituzionali392.
Sono dunque vietate anche nell’ordinamento italiano, in linea con l’art. 3 CEDU, le punizioni inumane e degradanti. Come si è visto supra Capitolo II, la Corte di Strasburgo, infatti, nel valutare il superamento della soglia minima di gravità per l’applicazione di tale articolo, utilizza un criterio molto simile: una punizione è inumana o degradante, quando comporta una sofferenza superiore rispetto a quella intrinsecamente collegata alla restrizione legittima della libertà personale.