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La nozione di tortura nelle decisioni del Comitato

1. Il divieto di tortura a livello universale

1.2. Gli strumenti di tutela originari e i loro limit

1.2.3. La nozione di tortura nelle decisioni del Comitato

Le decisioni del Comitato, così come i Commenti Generali, sono, in ogni caso, interessanti per cercare di dare dei confini più definiti alla nozione di tortura, il cui divieto nel Patto, al pari di quanto avviene nella Dichiarazione Universale, è espresso in modo tanto inderogabile, quanto generico. Si deve, però, premettere che l’atteggiamento del Comitato nei confronti della definizione di tortura non è

115 Al 23 aprile 2012 sono stati registrati 2145 ricorsi, di cui 330 ancora da analizzare. Rispetto agli

altri: 582 sono stati dichiarati inammissibili, 317 sono stati ritirati, in 152 casi non si è riscontrata una violazione ed in 764 casi si è riscontrata una violazione.

Cfr.www.bayefsky.com/complain/ccpr_outcomechart.php e M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing

Torture, cit., p. 64 ss.

116 Cfr. http://www.bayefsky.com/complain/18_list_article_ccpr.php e M.D. EVANS, R. MORGAN,

Preventing Torture, cit., p. 66

117 Cfr. A. CASSESE, I diritti umani oggi, cit., p. 101

118 Cfr. C. DEFILIPPI, D. BOSI, Il sistema europeo di tutela del detenuto, cit., p. 89 ss.; C. ZANGHÌ,

La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, cit., p. 72 e A. CASSESE, I diritti umani oggi, cit.,

p. 43, che parla di natura quasi-giudiziale.

particolarmente lineare e risulta addirittura, come affermano alcuni autori, un po’ confuso120.

Il Comitato dichiara, innanzitutto, in modo limpido la portata assoluta del divieto e individua, come oggetti protetti dalla norma, l’integrità e la dignità della persona121.

Non altrettanto semplice è invece ricostruire cosa il Comitato intenda per tortura e punizione o trattamento inumano, crudele e degradante, nonché quale sia il confine fra l’una e l’altra di queste categorie. Sembra di poter dire che le condotte vietate dalla norma consistono nell’inflizione di una particolare sofferenza, sia essa fisica122 ovvero psicologica123. Rientrano, quindi, nella nozione di tortura e di punizione o trattamento inumano, in primo luogo, le violenze sul corpo, come: l’utilizzo di elettroshock, i pestaggi, l’imposizione di rimanere in piedi per moltissime ore, l’appendere la persona per le braccia anche per giorni, l’immersione della testa nell’acqua fino quasi al soffocamento, l’introduzione di bottiglie o altri oggetti nelle vie rettali o una combinazione qualsiasi di queste crudeltà (e di molte altre). Sono riconducibili a questo divieto, però, anche le violenze di natura psicologica, come gli insulti, le minacce di morte o tortura nei confronti di amici e parenti, le amputazioni o le esecuzioni simulate. Rientrano, inoltre, nelle violazioni dell’art. 7 e dell’art. 10 le condizioni di detenzione che possano comportare un danno per la salute del detenuto124.

Quale sia il livello di sofferenza sufficiente a costituire una violazione del Patto, nonché come si distingua fra torture, trattamenti e punizioni inumani e degradanti non è rinvenibile dall’analisi dei casi presi in considerazione dal Comitato. In alcuni

120 Cfr. S. JOSEPH, J. SCHULTZ, M. CASTAN, The International Convenant on Civil and Political

Rights. Cases, Materials and Commentary, Oxford, 2000, pp. 215 ss. e N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 88, che definisce l’atteggiamento del Comitato come agglomerative approach.

121 Cfr. Human Rights Committee, 27 maggio 2008, General Comment n. 7: “The Committee recalls

that even in situations of public emergency such as are envisaged by article 4 (1) this provision is non-derogable under article 4 (2). Its purpose is to protect the integrity and dignity of the individual” e Motta et al. v. Uruguay, 11/1977

122 I casi cui si potrebbe fare riferimento sono molteplici. Pare sufficiente citare a titolo di esempio i

casi uruguaiani, che sono anche i primi di cui si è occupato il Comitato: Massera et al. v. Uruguay, 5/1977; Motta et al. v. Uruguay, 11/1977; Burgos v. Uruguay, 52/1979. Si indicano, inoltre, alcuni casi più recenti: Shchetka v. Ukraine, 1535/2006; Zyskin v. Russia, 1605/2007; A.P. v. Ukraine

1834/2008

123 Si vedano Herrera v. Colombia; Estrella v. Uruguay, 74/1980; Guezout et al. v. Algeria 1753/2008 124 Cfr. Massera et al. v. Uruguay, 5/1977; Estrella v. Uruguay, 74/1980; Zyskin v. Russia, 1605/2007

casi appare decisivo il fatto che siano seguiti danni permanenti125, in altri sembra fondamentale la durata del trattamento126; in molte decisioni si fa riferimento ad un insieme di trattamenti, ma non è chiaro se la sussistenza della violazione derivi dall’insieme degli stessi o se anche uno solo di essi sarebbe stato sufficiente a contravvenire agli obblighi derivanti dal Patto127; spesso, infine, il Comitato usa

formule ambigue, come “torture and inhuman treatment128” o “treatments (including torture)129”130.

La classificazione delle diverse fattispecie non sembra, tuttavia, interessare particolarmente il Comitato, tanto che nel Commento Generale si può leggere: “It

may not be necessary to draw sharp distinctions between the various prohibited forms of treatment or punishment”131. La differenziazione sembra comunque, facendo sempre riferimento alle parole del Commento Generale sull’art. 7, riconducibile alla gravità del trattamento e al tipo di obiettivo specifico perseguito (ottenere una confessione, punire, intimidire), che appare quindi come elemento necessario della tortura132.

Si deve aggiungere che, soprattutto nei casi in cui alla tortura sia seguita la morte o la sparizione della vittima133, il Comitato non pare essere troppo esigente rispetto all’onere della prova delle violazioni, essendo probabilmente conscio della difficoltà per i soggetti lesi di ottenere prove in questa materia. È noto, infatti, che questo tipo di abusi si realizza spesso in assenza di testimoni o al cospetto di testimoni influenzati dalla paura di ritorsioni e che le nuove tecniche di tortura non lasciano

125 Cfr. Massera et al. v. Uruguay, 5/1977: A causa delle torture subite durante la detenzione e della

mancata assistenza medica (essendo stato obbligato a rimanere in piedi per molte ore con la testa incappucciata, aveva perso l’equilibrio, si era rotto una gamba e la frattura non era stata curata con tempestività), Luis Massera, la vittima, aveva una gamba di diversi centimetri più corta dell’altra.

126 Cfr. Sendic v. Uruguay, 63/1979: Raúl Sendic Antonaccio era stato sottoposto per tre mesi per tutto

il giorno (fatta eccezione di poche ore per riposare) al c.d. plantón, pratica con cui si costringe il soggetto a rimanere in piedi con la testa incappucciata. A questo si aggiungevano la scarsità del cibo somministratogli e numerosi pestaggi. Si veda anche il caso Bleier v. Uruguay, 30/1978: Eduardo Bleier, per 10 mesi prima della sua presunta morte nel 1976, era stato seppellito vivo e soggetto a pestaggi.

127 Cfr. Muteba v. Zaire, 124/1982 128 Motta et al. v. Uruguay, 11/1977 129 Burgos v. Uruguay, 52/1979

130 Cfr. N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 86 ss. 131 Human Rights Committee, 27 maggio 2008, General Comment n. 7, p. 178

132 Cfr. Human Rights Committee, 27 maggio 2008, General Comment n. 7: “These distinctions

depend on the kind, purpose and severity of the particular treatment.”

133 Cfr. Bleier v. Uruguay, 30/1978, di cui supra, nota 36: in questo caso le uniche prove rimaste dei

maltrattamenti subiti erano le dichiarazioni di altri soggetti che avevano sentito le sue urla. Si veda inoltre Quinteros v. Uruguay, 107/1981.

sempre tracce sul corpo. Inoltre, gli Stati manifestano una certa ritrosia nel fornire documenti da cui possa essere dedotto l’uso della tortura all’interno della propria sfera di sovranità134.

Se la definizione del concetto di tortura non è molto chiara nell’elaborazione del Comitato, molte meno incertezze sussistono nell’indicazione degli obblighi posti in capo agli Stati per il rispetto degli artt. 7 e 10 del Patto. Ogni Stato è, infatti, tenuto a fornire una protezione contro questo tipo di trattamenti e punizioni, a prescindere dal fatto che questi siano posti in essere da soggetti che rivestono una qualifica ufficiale135. Questa tutela comprende innanzitutto, per le persone private della libertà, la garanzia di un trattamento umano e rispettoso della dignità propria di ciascun essere umano. È, inoltre, necessario che ciascuno Stato adotti una serie di misure preventive, adeguate a garantire una protezione effettiva contro i maltrattamenti. Si deve evitare, ad esempio, la detenzione in incommunicado, permettendo il contatto del detenuto con l’esterno ed in particolare con familiari, medici di fiducia ed avvocati136.

Inoltre, non solo gli Stati sono tenuti a rendere punibili i fatti di tortura e di maltrattamenti, eventualmente attraverso la creazione di un reato specifico, ma essi devono porre in essere pronte ed adeguate investigazioni sugli eventuali fatti denunciati, garantire la punizione effettiva dei colpevoli e un rimedio efficace nei confronti delle vittime. Costituisce, infine, violazione del trattato l’utilizzazione, all’interno di un processo, di dichiarazioni che siano state estorte con la tortura137. A proposito dell’opportunità di introdurre una fattispecie ad hoc contro la tortura, si può ricordare come, già nel 1994, nelle osservazioni conclusive del suo terzo rapporto sull’Italia, il Comitato ne aveva raccomandato l’adozione, mostrandosi preoccupato del fatto che molto spesso sui casi di maltrattamenti non si indagasse in

134 Cfr. N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 87 e Katsaris v.

Greece, 1558/2007: “The Committee recalls its jurisprudence that the burden of proof cannot rest alone on the author of the communication, especially considering that the author and the State party do not always have equal access to the evidence and that frequently the State party alone has access to the relevant information”.

135 Cfr. Human Rights Committee, 27 maggio 2008, General Comment n. 7, p. 178 136 Cfr. Ivi, p.178

137 Cfr. Ibidem, p. 178. Sulla necessità di investigazione: Zyskin v. Russia, 1605/2007 e Shchetka v.

Ukraine, 1535/2006 (“the Committee recalls that once a complaint about treatment contrary to article 7 has been filed, a State party must investigate it promptly and impartially”).

maniera sufficientemente approfondita e che, nei casi in cui lo si faceva, ai colpevoli non erano irrogate pene adeguate138.

Interessante è infine sottolineare un orientamento del Comitato, secondo cui viola l’art. 7 del Patto lo Stato che espelle o non concede il diritto di asilo a soggetti che, nel proprio Paese, rischiano di essere sottoposti a tortura o trattamenti inumani, crudeli o degradanti139.

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