III. Le fattispecie comuni contro la tortura psicologica
3.2. I casi concreti: lo specchio dell’inefficienza del sistema
3.2.1. I fatti di Genova: le violenze della scuola Diaz e della Caserma di Bolzaneto
Nel clima di altissima tensione verificatosi nei giorni dello svolgimento del G8 a Genova nel luglio 2001 presso la Caserma di Bolzaneto e presso il plesso scolastico Diaz (uno dei luoghi predisposti per il pernottamento dei manifestanti), si è verificata una vera e propria eclissi della democrazia, simile a quella che pochi mesi prima era avvenuta a Napoli in occasione del Global Forum475.
I. La scuola Diaz
Secondo quanto ricostruito da tutti i giudici che si sono occupati della vicenda (Tribunale di Genova, Corte d’Appello di Genova e Corte di Cassazione), la sera della conclusione del vertice internazionale, il 21 luglio 2001, era giunta dal Capo della Polizia la direttiva di svolgere perquisizioni per trovare ed arrestare i c.d. black
bloc e sequestrare le loro armi, in modo tale da riscattare l’immagine della Polizia,
che era stata compromessa dalla fallimentare gestione dell’ordine pubblico dei giorni precedenti.
A far scattare l’ordine di perquisizione della scuola Diaz-Pertini, ritenuto legittimo sia dai giudici di merito che da quelli di legittimità, fu un’aggressione avvenuta in via Cesare Battisti, dove si trova la scuola, nei confronti di un convoglio di veicoli della Polizia. Un gruppo di manifestanti aveva insultato gli agenti ed aveva lanciato una bottiglietta, verosimilmente di vetro, all’indirizzo dei mezzi.
474 Cfr. L. MANCONI e V. CALDERONE, Quando hanno aperto la cella, cit., p. 40
475 I fatti accaduti alla caserma Raniero di Napoli sono tristemente simili a quelli di Genova. Il
processo, apertosi a seguito della vicenda, in cui era stato contestato, fra gli altri anche il sequestro di persona, si è concluso con la prescrizione per tutti i reati. http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2013/9-gennaio2013/pestaggi-global- forum-reati-prescritti-2113483833842.shtml
Nel sospetto che all’interno degli edifici della scuola Diaz si trovassero armi e soggetti violenti fu così dato l’ordine di perquisizione. Premessa la legittimità di quest’ultimo, i giudici ne hanno censurato in toto le modalità operative: all’operazione fu infatti dato un vero e proprio “assetto militare” accompagnato da un’assenza di direttive. Furono coinvolti più di cinquecento agenti fra poliziotti e carabinieri (questi ultimi tenuti solo alla cinturazione del plesso scolastico), venne messa in atto una manovra “a tenaglia” per raggiungere gli edifici e non si diede alcuna regola per lo svolgimento della perquisizione.
Il risultato di tutto ciò, nel clima esplosivo di quei giorni, fu quello che uno degli stessi imputati476 ha definito “macelleria messicana” o, nelle parole della Corte di Cassazione, “l’indiscriminato e gratuito “pestaggio” di tutti gli occupanti il plesso scolastico, preceduto dall’altrettanto gratuita aggressione portata dagli operatori di polizia nei confronti di cinque inermi persone che si trovavano fuori dalla scuola”477. Nonostante non fossero state trovate armi e la resistenza all’interno dell’edificio fosse stata pressoché nulla, vennero arrestate novantatré persone, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie. Ottantasette persone fra gli arrestati riportarono lesioni a seguito dei maltrattamenti subiti all’interno della scuola e due di esse corsero pericolo di vita.
Per giustificare gli arresti furono poi portate all’interno dell’edificio due molotov e altre armi improprie, pacificamente ritrovate altrove. Inoltre fu svolta una perquisizione arbitraria nell’altro edificio del complesso scolastico, la scuola Pascoli, sede di strutture di primo soccorso, di comunicazione radiofonica e giornalistica e di supporto legale per gli organizzatori e i partecipanti alle manifestazioni. All’interno della scuola Pascoli gli agenti minacciarono con i manganelli i presenti (soprattutto giornalisti, legali e organizzatori del Genoa Social Forum), e procedettero alla distruzione di computer, hard-disk, telecamere, videocassette e fotografie.
476 Si tratta di Michelangelo Fournier, Comandante del VII Nucleo Antisommossa, corpo scelto
inserito nel I Reparto Mobile di Roma.
477 Cass., Sez. V, 5 luglio 2012, n. 38085, Pres. Ferrua, Rel. Savani e Palla in
www.dirittopenalecontemporaneo.it. Gli operatori di polizia, appena entrati nell’edificio, si sono scagliati contro i presenti sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, insultandoli e colpendoli con manganelli, calci e pugni.
Molteplici furono le imputazioni di fronte a questi fatti di inusitata violenza, definita dai giudici come “non giustificata […], punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime”478.
La sentenza di primo grado479 condannò tredici dei trentuno imputati, fra cui non
figuravano i vertici delle forze dell’ordine, per falso ideologico in atto pubblico, calunnia, lesioni aggravate, percosse, porto abusivo di armi da guerra. Le pene comminate, che andavano da un mese a quattro anni di reclusione, per due imputati vennero dichiarate condizionalmente sospese, mentre per gli altri ricaddero nell’ambito di applicazione dell’indulto di cui alla l. 31 luglio 2006, n. 241.
Questa decisione venne parzialmente riformata in appello480, dove si arrivò alla condanna di ventiquattro imputati fra cui, questa volta, erano compresi anche i vertici delle forze dell’ordine. Gli imputati furono condannati per falso ideologico in atto pubblico, calunnia aggravata e lesioni aggravate e vennero rideterminate le pene da un minimo di tre anni e otto mesi a cinque anni, tutte condonate nella misura di tre anni per effetto dell’indulto. Inoltre venne applicata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
La Corte d’Appello emise invece una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione rispetto ai reati di calunnia, arresto illegale, lesioni lievi, percosse, perquisizione arbitraria, danneggiamento, violazione di domicilio e violenza privata. Già in secondo grado la prescrizione si era quindi abbattuta su gran parte dei reati. La vicenda giudiziaria si è chiusa in Cassazione481 con la conferma dell’accertamento dei fatti compiuto dai giudici di merito482. Nessun dubbio, quindi,
478 Cass., Sez. V, 5 luglio 2012, n. 38085, Pres. Ferrua, Rel. Savani e Palla in
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479 Trib. Genova, sez. I, 13 novembre 2008, reperibile su www.processig8.org
480 Corte d’Appello di Genova, 18 maggio 2010, Pres. Sinagra, Est. Diomeda, su www.processig8.org 481 Cass., Sez. V, 5 luglio 2012, n. 38085, Pres. Ferrua, Rel. Savani e Palla in
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482 La Cassazione ha dovuto risolvere due questioni preliminari: la prima riguardante la possibile
violazione dell’art. 6 CEDU, in relazione al ribaltamento per alcuni imputati da parte della Corte d’Appello della sentenza di primo grado; la seconda rispetto ad una questione di illegittimità costituzionale dell’art. 157 c.p. rispetto all’art. 117 Cost., sollevata dal Procuratore Generale di Genova. La Corte ha escluso il contrasto dell’ordinamento italiano con la CEDU e ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità.
Quest’ultima faceva riferimento a quella giurisprudenza CEDU in materia di art. 3, che ha stabilito fra gli obblighi degli Stati, quello di garantire una tutela giudiziaria effettiva nei confronti di trattamenti inumani e degradanti e tortura, per cui questi fatti non dovrebbero cadere in prescrizione. In questo senso, a parere della Procura Generale, la disciplina della prescrizione italiana sarebbe stata in contrasto con l’art. 3 CEDU (e con l’art. 117 Cost.) nella parte in cui non prevede che i reati relativi a
circa la ricostruzione della vicenda nonché circa la sua gravità e illiceità. Tuttavia, nel passaggio fra la sentenza della Corte d’Appello e il giudizio in Cassazione è trascorso il tempo sufficiente a far prescrivere il reato di lesioni gravi, per cui nessuno risponderà delle violenze poste in essere all’interno della scuola Diaz nel luglio 2001.
È piuttosto evidente la risposta assolutamente paradossale fornita dall’ordinamento italiano in assenza di una fattispecie ad hoc contro la tortura: i gravissimi reati contro la persona sono andati prescritti, mentre i reati contro la fede pubblica, commessi per nascondere le violenze, sono giunti ad una condanna definitiva.