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Il ricorso sui fatti della scuola Diaz e della Caserma di Bolzaneto e la conformità dell’ordinamento italiano all’art 3 CEDU

II. Trattamento o punizione inumano e tortura

2.1.9. Il ricorso sui fatti della scuola Diaz e della Caserma di Bolzaneto e la conformità dell’ordinamento italiano all’art 3 CEDU

Fino a questo momento, i fatti rispetto ai quali l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 3 CEDU non sono mai stati ritenuti tanto gravi da integrare una fattispecie di tortura. Pendono, tuttavia, davanti alla Corte di Strasburgo numerosissimi ricorsi, riuniti nei casi Azzolina e altri c. Italia e Cestaro c. Italia, relativi alle violenze subite da coloro che si trovavano all’interno della scuola Diaz e da coloro che sono stati tratti in arresto presso la Caserma di Bolzaneto, nel contesto del G8 svoltosi a Genova nel 2001. Le vicende, tristemente note e di cui si darà conto infra Capitolo IV, sono gravissime, tanto da essere state definite da Amnesty International come “la più grave violazione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Esse hanno dato vita ad una vicenda giudiziaria a livello nazionale, conclusasi dopo tre gradi di giudizio con la prescrizione di tutti i reati contestati

316 CEDU, Sarigiannis c. Italia, 5 aprile 2011. Cfr. A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo

2011: il divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), in Diritto penale contemporaneo, 3-4/2012, pp. 213 ss.

317 CEDU, M. e altri c. Italia e Bulgaria, 31 luglio 2012. Cfr. M. PELAZZA, Sugli obblighi di

prevenzione e di repressione di tortura e trattamenti inumani e degradanti: una poco conosciuta sentenza di condanna dell'Italia da parte della Corte EDU, in Diritto penale contemporaneo, 21

(lesioni gravi, calunnie, arresto illegale e danneggiamenti), fatta eccezione per quelli di falso in atto pubblico318.

Le gravissime violenze fisiche e psicologiche, inflitte con intento punitivo ed intimidatorio319, il depistaggio delle indagini, attraverso la creazione di prove false, un

processo tanto lungo da portare alla prescrizione di quasi tutti i reati, la mancanza di adeguate sanzioni disciplinari nei confronti dei colpevoli e, last but not least, l’assenza di un reato ad hoc per la repressione della tortura sono i tratti di questa incresciosa vicenda, di cui è stato purtroppo protagonista il nostro Paese. Non sembra di sbilanciarsi nell’affermare che sussistono gli estremi per una condanna dell’Italia da parte della Corte sia per la violazione sostanziale del divieto di tortura, sancito nell’art. 3 CEDU, che per la violazione degli obblighi positivi di tipo preventivo, procedurale e legislativo, ricavabili dalla giurisprudenza della Corte relativa allo stesso articolo. Rispetto alla violazione sostanziale, l’unico ostacolo che i ricorrenti potrebbero incontrare riguarda l’adempimento dell’onere della prova, dato che il superamento della soglia minima di gravità appare incontrovertibile. Tuttavia, per quanto concerne gli eventi di Bolzaneto, poiché le vittime si trovavano in stato di detenzione, scatterà il meccanismo presuntivo elaborato dalla Corte e sarà lo Stato italiano a dover giustificare in maniera plausibile una diversa versione dei fatti. Per la vicenda della scuola Diaz saranno, invece, i ricorrenti a dover provare la responsabilità dell’Italia, ma non si deve dimenticare che, sebbene i reati siano andati prescritti, i fatti sono stati accertati in sentenze, nelle quali i giudici stessi hanno parlato di tortura320.

318 La sentenza definitiva sui fatti della scuola Diaz è Cass., sez. V, 5 luglio 2012, n. 38085, mentre la

sentenza definitiva sui fatti della caserma di Bolzaneto è Cass., sez. V, sent. 14 giugno 2013, n. 3708813. Cfr. A. COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo. In margine alle sentenze sui fatti della

Diaz e di Bolzaneto: l’inadeguatezza del quadro normativo italiano in tema di repressione penale della tortura, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2009, pp. 1801 ss. e E. D’IPPOLITO, La sentenza “Diaz”, tra pulsioni in malam partem e tipi d’autore “simpatici” e “antipatici”: qualche riflessione sulla percezione mediatica del reato, in Cassazione penale, 6, 2013, pp. 2240 ss.

319 Non è qui possibile dare conto di tutte le violenze subite da chi si trovava, per sua sfortuna, a

dormire quella notte alla scuola Diaz ed è stato poi arrestato e portato alla caserma di Bolzaneto. Basti, a titolo di esempio, ricordare il caso di Giuseppe Azzolina, a cui sono state tirate le dita in senso opposto fino a strappare la carne e a lasciare intravedere l’osso; ovvero il caso di Melanie Josh a cui è stata sbattuta la testa contro il muro fino quasi a provocarne la morte ed infine quello di Elena Zhulke, che, dopo essere stata presa a bastonate e a calci sulla schiena, è stata trascinata per un’intera rampa di scale. Cfr. A. COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo, cit., p. 1834.

320 Non si dimentichi poi che un serrato dialogo su questi fatti si è instaurato con il Comitato per la

prevenzione della tortura (Rapport au Governement de l’Italie relatif à la visite effectuée en Italie par

le CPT du 21 novembre au 3 décembre 2004 su www.cpt.coe.int) e che Amnesty International ha

manifestato posizioni fortemente critiche nei confronti dello stato italiano (www.amnesty.it). Cfr. A. COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo, cit., pp. 1831 ss.

L’Italia sarà, inoltre, accusata di non aver rispettato gli obblighi di prevenzione incombenti su ogni Stato alla luce dell’art. 3 CEDU. Da un lato, nella pianificazione dell’operazione alla scuola Diaz, non sembra essere stato preso in adeguata considerazione il rischio per l’integrità fisica e per la vita di coloro che si trovavano all’interno dell’edificio scolastico. Dall’altro lato, sono lapalissiane le carenze organizzative, ammesse oltretutto dalle stesse autorità italiane, nella gestione degli arresti presso la Caserma di Bolzaneto. Cibo, acqua e coperte insufficienti, mancata somministrazione di cure mediche immediate a chi ne aveva necessità, tempi di permanenza nella caserma troppo lunghi sono tutti fattori che hanno favorito il perpetrarsi delle violenze321.

Anche in relazione al mancato rispetto degli obblighi procedurali non sussistono molti dubbi. Secondo la giurisprudenza di Strasburgo, di fronte a violazioni dolose dell’art. 3 CEDU, non è sufficiente la garanzia del risarcimento del danno, ma è necessario il ricorso alla giustizia penale, che porti all’identificazione e alla punizione dei colpevoli. Come si è detto, i processi Diaz e Bolzaneto si sono chiusi con la prescrizione di tutti i reati relativi alle violenze, mentre solo per i reati di falso il processo è potuto giungere ad una conclusione nel merito. Se a tutto questo si aggiunge l’assenza del reato di tortura nel nostro ordinamento, non sembra difficile prevedere l’esito dell’accertamento dei giudici di Strasburgo. Non resta, in ogni caso, che attendere la loro decisione e le sue eventuali conseguenze. Se la Corte si spingesse, infatti, fino alla condanna per l’inadempimento dell’obbligo legislativo, questo potrebbe forse scuotere il nostro legislatore, da troppo tempo quiescente di fronte alla palese inadeguatezza dell’ordinamento su questi temi322.

A prescindere dai fatti della Diaz e di Bolzaneto, la cui gravità è tale da aver sollevato l’indignazione nazionale ed internazionale, sono molteplici, come si vedrà

infra Capitolo IV, i casi di abusi e violenze, posti in essere dalle forze dell’ordine, che,

pur presentando i caratteri della tortura, o quantomeno dei trattamenti inumani di cui all’art. 3 CEDU, vanno incontro in Italia ad una sorte simile (indagini sviate, pene

321 Cfr. Ivi, pp. 1834 ss.

322 Cfr. A. COLELLA, I fatti della Diaz davanti ai giudici nazionali (mentre si profila l’eventualità di

un ricorso alla Corte di Strasburgo),in Corriere del merito, 6/2009, pp. 671 ss.; A. COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo, cit., pp. 1801 ss. e E. D’IPPOLITO, La sentenza “Diaz”, tra pulsioni in malam partem e tipi d’autore “simpatici” e “antipatici”: qualche riflessione sulla percezione mediatica del reato, in Cassazione penale, 6, 2013, p. 2247

inadeguate alla gravità del fatto, intervento della prescrizione, assenza o inadeguatezza delle misure disciplinari nei confronti dei colpevoli)323. Sembra, quindi, che un grave inadempimento strutturale dell’Italia rispetto all’art. 3 CEDU sussista non soltanto per quanto riguarda il sovraffollamento delle carceri.

A monte di questa inottemperanza sta, a parere di chi scrive, l’assenza di una fattispecie in grado di cogliere il disvalore proprio di questi fatti, la cui previsione, d’altro canto, rappresenta un obbligo sancito dalla Corte di Strasburgo, oltre che espressamente previsto dalla Convenzione ONU contro la Tortura del 1984.

Lasciando in secondo piano i pur importanti problemi relativi alla conduzione delle indagini, spesso superficiali o addirittura viziate dall’occultamento o dal travisamento di prove e alla mancanza di un adeguato sistema di sanzioni disciplinari, è proprio da questa lacuna del nostro ordinamento che derivano le altre situazioni di inadempimento. L’inadeguatezza delle pene, così come la conseguente prescrizione breve o l’applicabilità di misure come l’affidamento in prova ai servizi sociali o la sospensione condizionale sono, difatti, tutti effetti della mancanza del reato di tortura, attraverso il quale, con un’unica fattispecie, si riuscirebbe a colpire nella sua interezza il disvalore insito in una forma tanto grave di violenza e, probabilmente, a perseguire e punire i colpevoli in modo congruo, efficace ed effettivo, come d’altronde è richiesto dai giudici di Strasburgo324.

2.1.10. La Convenzione europea per la prevenzione della tortura ed il Comitato

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