II. Trattamento o punizione inumano e tortura
2. Il livello processuale: le disposizioni a tutela della libertà morale
2.1. Il Codice del 1930: l’iniziale insufficienza di tutela e l’elaborazione giurisprudenziale e normativa
Il testo originario del Codice di procedura penale del 1930, con la sua matrice autoritaria, non solo non portò ad un progresso nelle tutele approntate nei confronti dei soggetti arrestati, ma per certi aspetti costituì un regresso rispetto ai precedenti Codici del Regno d’Italia. Fu senza dubbio negativa, ad esempio, l’eliminazione delle garanzie difensive nella fase delle indagini, che doveva svolgersi secondo canoni di segretezza. In particolare la c.d. segretezza interna consisteva nell’impossibilità per il difensore di prendere parte a molti degli atti istruttori, fra cui l’interrogatorio dell’imputato393.
Non vi è dubbio che, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, questo assetto apparisse in forte contrasto con l’ampia tutela del diritto di difesa sancito all’art. 24 Cost. Una prima legge di adeguamento ai principi costituzionali fu perciò approvata
392 Cfr. S. BARTOLE, R. BIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, 2. Edizione,
CEDAM, 2008, p. 112 e M. RUOTOLO, Art. 13, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, UTET, 2006, pp. 334 ss.
393 Cfr. G. PISAPIA, Compendio di procedura penale, 4. Edizione, CEDAM, 1985, pp. 178 ss. e P.
già negli anni Cinquanta. La l. 18 giugno 1955, n. 517 introdusse una serie di garanzie difensive nella fase istruttoria. Per quanto riguarda l’interrogatorio fu prevista la possibilità per il difensore di prendere cognizione dell’interrogatorio ed estrarre copia del verbale, ma non fu introdotto il suo diritto a parteciparvi, per il quale si dovette attendere la s. 190/1970 della Corte Costituzionale. Questo diritto del difensore fu poi riconosciuto espressamente dal d.l. 23 gennaio 1971, n. 2, convertito nella l. 18 marzo 1971, n. 72394.
Nel 1969, con la l. 5 dicembre 1969, n. 932, era nel frattempo stato introdotto l’art. 249-bis, che prevedeva l’obbligo per la polizia giudiziaria, in presenza del consenso del soggetto arrestato o fermato, di dare notizia ai familiari, senza ritardo, dell’arresto o del fermo395.
Rimanevano tuttavia alcuni punti oscuri, come ad esempio la previsione di cui all’art. 135, che permetteva di ritardare senza limiti i colloqui del detenuto con il difensore396.
Il diritto al silenzio dell’imputato era sottinteso già nel testo originario del Codice. Sia l’art. 367, che prevedeva la possibilità che l’imputato si rifiutasse di rispondere in sede di interrogatorio durante la fase istruttoria, che l’art. 441, che sanciva la stessa eventualità in relazione alla fase del giudizio, implicavano la facoltà di non rispondere. La conseguenza della mancata risposta comportava, infatti, soltanto che il silenzio venisse messo a verbale e, con riferimento al giudizio, non impediva la prosecuzione del dibattimento. Il diritto dell’indagato-imputato di non rispondere era quindi previsto, ma sul punto non si instaurava alcun dialogo fra i due soggetti processuali, nel senso che il giudice non aveva l’onere di avvisare l’imputato della facoltà di non rispondere397. L’obbligo di avviso, che era invece previsto in maniera
espressa sia nel Codice del 1865 che in quello del 1913398, verrà introdotto soltanto
con la l. 5 dicembre 1969, n. 932, che aggiungerà un terzo comma all’art. 78399.
394 Cfr. G. PISAPIA, Compendio di procedura penale, cit., p. 180 395 Cfr. Ivi, p. 202
396 Cfr. F. CORDERO, Guida alla procedura penale, cit., p. 292
397 Cfr. F. CORDERO, Codice di procedura penale, 2. Edizione, UTET, 1992, p. 78 e T.
PADOVANI, Lezioni XXI sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 3 maggio 2007, dattiloscritto
398 L’avviso circa il diritto al silenzio era addirittura già previsto nel Codice del 1807.
399 Art. 69, comma 3, aggiunto dall’art. 1, l. 5 dicembre 1969, n. 932: “L'autorità giudiziaria o
l'ufficiale di polizia giudiziaria, prima che abbia inizio l'interrogatorio, in qualsiasi fase del procedimento, deve avvertire l'imputato, dandone atto nel verbale, che egli ha la facoltà di non
Tuttavia questo obbligo di avviso si riduceva a poco più di una “clausola enfatica”, poiché la giurisprudenza qualificava l’omissione dello stesso come mera irregolarità o al più come nullità relativa400.
Durante il periodo di vigenza del vecchio codice, si era posta anche la questione della sorte delle dichiarazioni estorte con metodi incidenti sulla libertà di autodeterminazione, fra cui rientra ovviamente la tortura. Il problema si poneva per il fatto che non vi era alcuna norma espressa che sancisse il divieto di ricorso a tali mezzi e, soprattutto, che prevedesse una sanzione processuale relativa agli atti che fossero stati compiuti attraverso di essi. Infatti, l’art. 185 individuava fra le ipotesi di nullità le violazioni del diritto di difesa, ma non le lesioni dell’integrità psico-fisica. Nonostante la mancanza di una sanzione processuale ad hoc, si riteneva che il principio della tutela dell’integrità morale dovesse essere ritenuto presente nell’ordinamento, facendo leva in particolare sull’art. 13, comma 4, Cost e sul principio generale nemo tenetur se detegere401.
La giurisprudenza affermò quindi che le dichiarazioni ottenute con qualsiasi mezzo di coercizione della volontà, seppure utilizzato con il consenso dell’imputato402, costituivano una prova illecita403.
Permaneva tuttavia, in assenza di una sanzione processuale espressa, il problema dell’utilizzabilità in giudizio delle dichiarazioni ottenute illecitamente. La questione era stata affrontata dalla Cassazione nel caso Egidi, nel quale le autorità inquirenti
rispondere, salvo quanto dispone l'articolo 366, primo comma, ma che, se anche non risponde, si procederà oltre nelle indagini istruttorie".
400 Cfr. F. CORDERO, Guida alla procedura penale, cit., p. 293; Cass., 15 ottobre 1976, in Cass.
Pen., 1978, pp. 125 ss. per la tesi dell’irregolarità e Cass., 2 ottobre 1975, in Cass. Pen., 1976, pp.
1208 ss. per la tesi della nullità relativa.
401 Cfr. F. CORDERO, Prove illecite nel processo penale, in Riv. It, di Dir. e Proc. Pen., 1961, pp. 32
ss.; F. CORDERO, Guida alla procedura penale, cit., pp. 291 ss.; V. GREVI, Nemo tenetur se
detegere, Milano, 1972 e G. AMATO, Art. 13, cit., p. 29
402 In dottrina in senso contrario si era espresso F. CARNELUTTI, Diritto dell’imputato agli
esperimenti sul suo corpo, in Rivista di diritto processuale, II, 1956, pp. 270 ss., in un commento
all’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello di Roma del 27 aprile 1956, che aveva stabilito che l’imputato non ha diritto di essere sottoposto alla narcoanalisi o alla macchina della verità. L’autore argomentava, al contrario, che se era indubbio che non poteva ritenersi sussistente un obbligo alla sottoposizione a simili tecniche, non vi erano ragioni perché questa non fosse ammissibile di fronte alla richiesta in tal senso dell’imputato. Questo diniego avrebbe configurato un’indebita limitazione del diritto alla prova.
403 Un’opinione diversa è stata espressa, in dottrina, da F. CORDERO, Prove illecite nel processo
penale, cit., pp. 32 ss. L’autore ritiene irrilevante la circostanza che la prova sia stata ottenuta con un
atto illecito, perché questo non comporterebbe la sua inammissibilità. Il motivo per cui la confessione e la testimonianza estorte non possono essere valutate risiede nel fatto che esse si allontanano dal paradigma legale in maniera così consistente da poter essere qualificate come inesistenti.
avevano sottoposto il sospettato, accusato di aver tentato lo stupro di una bambina di dodici anni e di averla poi uccisa, ad una prolungata permanenza in cella di sicurezza, ad interrogatori estenuanti e reiterati e alla privazione dell’acqua. Il signor Egidi aveva infine confessato e sulle sue dichiarazioni si era basata la sentenza di condanna.
La Cassazione annullò con rinvio la sentenza, affermando l’illiceità della confessione estorta, ma non escludendo a priori l’utilizzabilità degli elementi da essa ricavabili. La Suprema Corte invitò quindi il giudice del rinvio a valutare in maniera più rigorosa la veridicità delle dichiarazioni404.
In seguito la Corte Costituzionale espresse un principio diverso, sostenendo, con riferimento ad intercettazioni telefoniche illegittime, che “attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subìto”405.
Sulla base di questa affermazione, sebbene essa fosse riferita ad una situazione concreta diversa, sembrava potersi sostenere l’impossibilità di fondare una sentenza su dichiarazioni ottenute con la violenza fisica o morale, in violazione di diritti costituzionalmente garantiti.
In ogni caso, la situazione non era limpida ed era, quindi, auspicata l’introduzione di una disposizione simile al §136a StPO tedesco406, che dichiarasse invalide le prove assunte con modalità in qualsiasi modo lesive della libertà morale.
In conclusione, sia il diritto al silenzio che il rispetto della libertà morale erano ricavabili dalle disposizioni del vecchio Codice di procedura penale, ma non
404 Cfr. Cass. pen. Sez. I., 14 dicembre 1957, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1958, con commento di G.
CONSO, Considerazioni sul processo Egidi dopo l’intervento della Corte Suprema, pp. 64 ss. e G. AMATO, Art. 13, cit., p. 29
405 C. Cost., 6 aprile 1973, n. 34, in Giur. Cost., 1973, pp. 316 ss.
406 §136a, StPO: “(1) Die Freiheit der Willensentschließung und der Willensbetätigung des
Beschuldigten darf nicht beeinträchtigt werden durch Mißhandlung, durch Ermüdung, durch körperlichen Eingriff, durch Verabreichung von Mitteln, durch Quälerei, durch Täuschung oder durch Hypnose. Zwang darf nur angewandt werden, soweit das Strafverfahrensrecht dies zuläßt. Die Drohung mit einer nach seinen Vorschriften unzulässigen Maßnahme und das Versprechen eines gesetzlich nicht vorgesehenen Vorteils sind verboten.
(2) Maßnahmen, die das Erinnerungsvermögen oder die Einsichtsfähigkeit des Beschuldigten beeinträchtigen, sind nicht gestattet.
(3) Das Verbot der Absätze 1 und 2 gilt ohne Rücksicht auf die Einwilligung des Beschuldigten. Aussagen, die unter Verletzung dieses Verbots zustande gekommen sind, dürfen auch dann nicht verwertet werden, wenn der Beschuldigte der Verwertung zustimmt”.
esplicitamente previsti. Sono stati, per questo motivo, necessari numerosi interventi legislativi ed elaborazioni giurisprudenziali in maniera tale da approntare un’adeguata tutela all’imputato in sede istruttoria e processuale, segno evidente dell’insufficienza della protezione predisposta dall’originario testo del Codice.
2.2. Il Codice del 1989: la protezione dell’imputato detenuto. Cenni alla questione