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L’art 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: il divieto assoluto di tortura

IV. L’elemento negativo: l’esclusione delle sanzioni legittime

2. Il divieto di tortura in ambito europeo

2.1. La repressione e la prevenzione della tortura nel Consiglio d’Europa 1 La Convenzione e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

2.1.2. L’art 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: il divieto assoluto di tortura

Come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 ed il Patto sui Diritti Civili e Politici del 1966, anche la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sancisce un divieto assoluto ed inderogabile di tortura. L’art. 3 CEDU afferma, infatti, che “no one shall be subjected to torture or to inhuman or degrading treatment

or punishment” e l’art. 15 inserisce questa disposizione, insieme a quelle che

sanciscono il diritto alla vita, il divieto di schiavitù e il principio nulla poena sine lege, nel novero degli articoli che non possono essere mai derogati, neppure in caso di guerra o di altre emergenze che minaccino la vita della nazione. La volontà di introdurre un divieto assoluto, si ricava anche dall’intervento, in sede di redazione

236 Cfr. C. ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, cit., pp. 169 ss. e A.

CASSESE, I diritti umani oggi, cit., pp. 112 ss.

237 In realtà, con il Protocollo 14 sono state introdotte delle novità in materia di esecuzione delle

sentenze, che potrebbero accrescere l’efficacia delle stesse237. In primo luogo, laddove il Comitato ritenga che l’esecuzione di una sentenza sia ostacolata da questioni interpretative, potrà adire la Corte, perché questa si pronunci in proposito. In secondo luogo, di fronte al rifiuto di eseguire una sentenza, il Comitato potrà rivolgersi alla Corte, che, se riterrà effettivo l’inadempimento dello Stato, potrà chiedere al Comitato di individuare le misure da adottare. A. SACCUCCI, Profili di tutela dei diritti

della Convenzione, del rappresentante del Regno Unito, Cocks, che propugnava, a nome dell’Assemblea Parlamentare, l’introduzione di un divieto non suscettibile di eccezioni o deroghe.

A tutto ciò, si aggiunge l’opera di interpretazione giurisprudenziale dell’art. 3 CEDU, posta in essere dalla Corte e dalla Commissione, che nelle loro decisioni hanno confermato questa lettura, ricavabile, d’altra parte, in maniera limpida dal combinato disposto degli artt. 3 e 15 CEDU. Questo orientamento si è affermato fin dalle prime pronunce sull’argomento, sebbene l’unica esitazione della Commissione si sia avuta proprio nella prima decisione in assoluto sull’art. 3 CEDU, il caso Grecia del 1969. In quest’occasione, infatti, nel descrivere il trattamento inumano l’organo di Strasburgo lo definì come quel trattamento ingiustificabile in una particolare situazione, lasciando intendere che potessero esservi delle circostanze in grado di renderlo legittimo. Questa posizione è stata però smentita già nel corso degli anni Settanta nel caso Irlanda c.

Regno Unito, nel quale la Commissione e la Corte hanno affermato expressis verbis

l’assolutezza del divieto. Questa posizione è stata in seguito ribadita numerose volte e, piuttosto di recente, nella sentenza Gäfgen c. Germania238.

Questa si riferisce al caso di un cittadino tedesco, il signor Gäfgen, che, sospettato di aver sequestrato a Francoforte il figlio di un banchiere, era stato fermato dalla polizia. Interrogato ripetutamente, egli rifiutava di confessare il luogo in cui aveva nascosto il bambino rapito. Il capo della polizia di Francoforte, temendo che la vittima si trovasse in pericolo di vita, aveva suggerito al funzionario incaricato dell’interrogatorio di minacciare al signor Gäfgen l’inflizione di terribili sofferenze fisiche, se questi non si fosse deciso a confessare. Di fronte a questa minaccia, l’interrogato rilasciò un’ampia confessione grazie alla quale si riuscì a ritrovare il cadavere del bambino, che in realtà Gäfgen aveva ucciso. La confessione così rilasciata non venne utilizzata nel processo

238 COMM, Irlanda c. Regno Unito, 25 settembre 1976, Ser. B, n. 23-I, 388-90; CEDU, Gäfgen c.

Germania, 30 giugno 2008, §69 ss. e CEDU, Gäfgen c. Germania, 1 giugno 2010, §116 ss.; CEDU, Söring c. Regno Unito, 14038/88, §88, 7 luglio 1989:“Article 3 (art. 3) makes no provision for exceptions and no derogation from it is permissible under Article 15 (art. 15) in time of war or other national emergency. This absolute prohibition of torture and of inhuman or degrading treatment or punishment under the terms of the Convention shows that Article 3 (art. 3) enshrines one of the fundamental values of the democratic societies making up the Council of Europe”. Cfr. A.

ESPOSITO, Art. 3. Proibizione della tortura, in S. BARTOLE, B. CONFORTI, G. RAIMONDI,

Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, CEDAM, 2001, p. 49 C. ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo,

cit. p. 178; M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., p. 75 e H. SATZGER,

per omicidio che si aprì contro di lui, ma questi ripeté in quella sede le proprie dichiarazioni e venne infine condannato all’ergastolo. Il capo della polizia ed il responsabile dell’interrogatorio vennero, invece, processati per Nötigung, reato corrispondente alla violenza privata di cui all’art. 610 c.p. italiano, e condannati alla pena più mite possibile, vale a dire la Verwarnung mit Strafvorbehalt, secondo la quale il condannato viene ammonito e la pena pecuniaria sospesa e non eseguita, a patto che vengano rispettate determinate condizioni, come la mancata commissione di ulteriori reati. Entrambi i responsabili dell’accaduto furono trasferiti al reparto della polizia adibito alla tecnica, alla logistica e all’amministrazione di cui, in un secondo momento, l’ex capo della polizia di Francoforte fu nominato direttore.

Il signor Gäfgen, una volta esauriti i ricorsi interni, si è rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha stabilito che anche la sola minaccia di tortura può costituire una violazione dell’art. 3 CEDU, qualificabile come tortura o trattamento inumano a seconda della gravità delle minacce. Nel caso in questione, la breve durata del trattamento, l’attenuante costituita dal fatto che i poliziotti erano convinti di avere poche ore per salvare la vita del bambino, nonché la mancanza di conseguenze a lungo termine sulla salute psico-fisica del ricorrente hanno portato i giudici di Strasburgo ad affermare che non si è configurata un’ipotesi di tortura, ma di trattamento inumano in violazione dell’art. 3 CEDU. La Corte ha ribadito, inoltre, come si accennava prima, che la previsione dell’art. 3 CEDU è inderogabile, secondo quanto stabilisce l’art. 15 della Convenzione stessa, persino in situazioni che possono mettere in pericolo la vita dello Stato. A fortiori una violazione di tale disposizione non può mai essere ammessa nell’ordinaria attività di polizia.

Fino a questo punto, la decisione della Camera del 2008 e quella della Grande Camera del 2010 concordano, mentre ciascuna di esse ha risolto diversamente la questione dell’adeguata riparazione della violazione. La prima ha infatti ritenuto sufficiente che, nonostante l’appoggio dell’opinione pubblica per l’azione dei poliziotti, la giustizia tedesca, da un lato, avesse condannato Gäfgen senza utilizzare la confessione estorta e, dall’altro, avesse portato a termine un processo penale contro i poliziotti, conclusosi con una condanna, seppure solo simbolica. Il capo della polizia di Francoforte, inoltre, aveva subito delle conseguenze negative per la propria carriera

professionale, essendo stato trasferito in una posizione che non comportava più il suo coinvolgimento nelle investigazioni.

Di diverso avviso si è mostrata la Grande Camera, la quale ha affermato che la tutela dei diritti contenuti nella Convenzione deve essere effettiva: da questo punto di vista, la condanna dei poliziotti ad una pena pecuniaria, oltretutto sospesa, non possiederebbe sufficiente efficacia deterrente ed il semplice trasferimento dei poliziotti non rappresenterebbe una reazione adeguata ad una violazione dell’art. 3 CEDU239. Nonostante la soluzione divergente su quest’ultimo punto, rimane fermo che per gli organi di Strasburgo quest’articolo, il cui inserimento nella Convenzione non fu molto controverso, contiene un divieto assoluto di tortura e punizioni o trattamenti inumani e degradanti. Non è possibile alcun bilanciamento fra la tutela della dignità umana, sancita in questa norma, ed altri valori, per quanto meritevoli di tutela. Neppure le circostanze più difficili, come la lotta al terrorismo o al crimine organizzato possono introdurre eccezioni al divieto sancito dall’art. 3 CEDU, come la Corte ha affermato, ad esempio, nel caso Aksoy c. Turchia240.

Quest’ultimo è il caso di un cittadino turco, il signor Aksoy, che era stato arrestato con l’accusa di essere un membro del PKK e, come lamentava nel ricorso alla Corte, riteneva di aver subito, in quell’occasione, atti di tortura, ignorati dal magistrato da cui era stato interrogato. Questi, infatti, nonostante i segni della tortura fossero manifesti, tanto che Aksoy non riusciva a tenere in mano la penna con la quale avrebbe dovuto firmare il verbale, non aveva intrapreso alcuna iniziativa. Per la mancanza di indagini, la Turchia è stata condannata dalla Corte per violazione dell’art. 3 CEDU, rispetto al quale questa ha ancora una volta sentito la necessità di ribadire che: “even in the most

difficult of circumstances, such as the fight against organized terrorism or crime, the

239 CEDU, Gäfgen c. Germania, §69 ss., 30 giugno 2008 e GC, Gäfgen c. Germania, § 116 ss., 1

giugno 2010. Cfr. S. BARTOLE, P. DE SENA, V. ZAGREBELSKY, Commentario breve alla

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, cit., p. 81; H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., pp. 219 ss. e J. MEYER-LADEWIG, EMRK, Handkommentar, 3. Auflage, Nomos, 2011, p. 64

240 Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., p. 75; S. BARTOLE, P. DE SENA, V.

ZAGREBELSKY, Commentario breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle

Libertà Fondamentali, CEDAM, 2012, p. 66 e F. BESTAGNO, Diritti umani e impunità: obblighi positivi degli Stati in materia penale, Vita & Pensiero, 2003, pp. 86 ss.

Convention prohibits in absolute terms torture or inhuman or degrading treatment or punishment”241.

Se l’art. 3 CEDU è chiaro nella formulazione dell’assolutezza del divieto di tortura e punizioni o trattamenti inumani e degradanti, esso è piuttosto oscuro nell’individuazione delle relative nozioni, su cui probabilmente non vi era accordo fra i rappresentanti dei diversi Stati incaricati della redazione del testo. Inoltre, dai lavori preparatori della Convenzione si evince la paura dei redattori di formulare definizioni specifiche, che avrebbero potuto lasciare fuori dall’ambito della norma alcune forme di maltrattamento242. L’assenza di definizioni ha, allo stesso tempo, obbligato e permesso alla Commissione e alla Corte di compiere un ricco ed importante lavoro interpretativo, evolutosi nel tempo, con cui è stato definito l’ambito di applicazione della disposizione attraverso l’individuazione di definizioni per i diversi concetti e l’identificazione dei loro rapporti243.

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