IV. L’elemento negativo: l’esclusione delle sanzioni legittime
1.5. Lo Statuto della Corte Penale Internazionale
1.5.1. La nascita della Corte Penale Internazionale e la sua competenza
I numerosi strumenti, che si sono fino a questo punto analizzati, sono volti a controllare l’applicazione dei trattati internazionali ed il rispetto dei diritti umani da parte degli Stati sovrani. Non si è parlato di responsabilità dei singoli, bensì di obblighi posti in capo agli Stati per la tutela dei propri cittadini. In effetti, i soggetti del diritto internazionale sono sempre stati gli Stati sovrani, almeno fino all’evoluzione, sulla scia dei processi di Norimberga e Tokyo, ed alla codificazione, con lo Statuto di Roma, del diritto penale internazionale202.
Inoltre, il diritto dei diritti umani non era riuscito a creare strumenti tanto forti quanto quello penalistico per dare un’efficacia sufficiente a quei diritti inviolabili, tante volte “dichiarati”, ma ancora non “giurisdizionalmente protetti”203.
Si è così giunti, all’istituzione attraverso due risoluzioni delle Nazioni Unite, dei Tribunali ad hoc204, successivamente alla creazione di Tribunali misti205 ed, infine, il
201 Con la legge 9 novembre 2012, n. 195, l’Italia ha ratificato il Protocollo Opzionale.
202 L’accelerazione a partire dagli anni Novanta nello sviluppo di questa branca del diritto è il frutto
di molteplici fattori. Si deve, innanzitutto, considerare che il crollo dell’Unione Sovietica e la conclusione della Guerra Fredda resero molto più semplici i negoziati a livello internazionale. Inoltre, il conflitto nell’area balcanica, durante il quale si erano verificate massicce violazioni dei diritti umani, e la crudeltà degli avvenimenti in Ruanda fecero sorgere nell’opinione pubblica, la richiesta, e nelle istituzioni internazionali, la convinzione, che fossero necessari strumenti atti a giudicare e punire coloro che si fossero macchiati di crimini tanto gravi contro l’umanità. Si era, infine, consapevoli del fatto che solo uno strumento sovranazionale avrebbe potuto occuparsi di tali crimini e di tali criminali: da un lato, precedenti tentativi, come i processi di Lipsia all’indomani della prima guerra mondiale, di lasciare allo Stato stesso il compito di punire i colpevoli si erano rivelati fallimentari; dall’altro, si era consci che, per Paesi appena usciti da conflitti gravissimi e che si trovavano davanti al già difficile compito di ricostruire le basi di una convivenza civile, era particolarmente difficile garantire una risposta all’esigenza di punizione dei crimini commessi. Cfr. D. MCGOLDRICK, P. ROWE, E. DONNELLY, The Permanent International Criminal Court, Hart Publishing, Oxford and Portland Oregon, 2004, pp. 40 ss.; E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI,
Introduzione al diritto penale internazionale, cit., pp. 12 ss. e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., pp. 262 ss. Un’interessante soluzione è quella seguita in Argentina con i
c.d. Juicios por la verdad, attraverso i quali si cerca di ricostruire e di stabilire la verità dei fatti senza irrogare alcuna sanzione nei confronti di coloro che sono individuati come i responsabili.
203 Cfr. E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto
17 luglio 1998 alla firma, da parte di centoventi Stati, dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale Permanente, entrato in vigore, con la sessantesima ratifica, il 1 luglio 2002206.
La giurisdizione della Corte è permanente, ma si estende solamente ai territori o ai cittadini degli Stati firmatari. Tuttavia, nonostante importanti assenze, come quella degli Stati Uniti e della Cina, centoventidue Paesi hanno ratificato lo Statuto207, accettando di fatto una limitazione della loro giurisdizione penale, nei casi in cui sul proprio territorio o da parte dei propri cittadini vengano commessi i crimini individuati dallo Statuto che, in base al principio di complementarietà, lo Stato non abbia la volontà o la capacità di perseguire208.
La competenza della Corte si estende quindi, secondo quanto sancito dall’art. 5 StCPI, soltanto ai “crimini più gravi, motivo di allarme per l'intera comunità internazionale”, vale a dire il genocidio (art. 6 StCPI), i crimini contro l’umanità (art. 7 StCPI), i crimini di guerra (art. 8 StCPI) e il crimine di aggressione (art. 8-bis StCPI), sulla cui definizione gli Stati hanno trovato un accordo soltanto nel 2010209. La struttura di questi reati, dichiarati imprescrittibili dall’art. 29 StCPI, è molto interessante: la descrizione delle molteplici condotte che compongono ciascuno dei crimini è accompagnata dall’indicazione di elementi di contesto, che servono ad individuare quale dei crimini sia applicabile in un determinato caso di specie210. La
204 Il Tribunale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia è stato istituito con la risoluzione 808 del
1993 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed il suo statuto è stato approvato con la risoluzione 827 del 25 maggio 1993. Il Tribunale ad hoc per il Ruanda è stato istituito con la risoluzione 955 dell’8 novembre 1994.
205 Si tratta di tribunali composti da personale in parte nazionale ed in parte internazionale. Tribunali
misti sono stati creati, ad esempio, in Cambogia, Sierra Leone, Libano.
206 La Corte è nata, quindi, da un trattato multilaterale, per la volontà di fondarla su base
consensualistica e di superare le critiche mosse in particolare ai Tribunali di Norimberga e Tokyo, ma anche ai Tribunali ad hoc, di essere espressione della giustizia dei vincitori. Cfr. H. SATZGER,
Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., pp. 271 ss.
207 Dato del maggio 2013: http://www.icc-cpi.int/Pages/default.aspx
208 Cfr. F. LATTANZI, La Corte internazionale è ormai una realtà, in G. CARLIZZI, G. DELLA
MORTE, S. LAURENTI, A. MARCHESI (a cura di), La Corte Penale Internazionale. Problemi e
prospettive, Vivarium, Napoli, 2003, p. XIII; D. MCGOLDRICK, P. ROWE, E. DONNELLY, The Permanent International Criminal Court, cit., p. 43; E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E.
FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto penale internazionale, cit., pp. 18 ss. e H. SATZGER,
Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., pp. 271 ss.
209 Cfr. E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto
penale internazionale, cit., p. 22 e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit.,
pp. 271 ss.
210 Si discute circa la natura di questo elemento di contesto: una parte della dottrina ritiene che sia un
vero e proprio elemento costitutivo della fattispecie, che, come tale, dovrebbe rientrare nell’oggetto del dolo, mentre altra parte della dottrina sostiene che abbia la sola funzione di individuare la
tortura, ad esempio, è una delle condotte rilevanti per i crimini contro l’umanità, ma, secondo la giurisprudenza dei Tribunali ad hoc ed il parere della Commissione preparatoria dello Statuto, anche uno dei reati-mezzo del genocidio ai sensi dell’art. 6, lettera b), StCPI. Essa viene, inoltre, presa in considerazione rispetto ai crimini di guerra, che richiama le gravi violazioni del diritto di Ginevra, fra cui, come si è visto, rientra la pratica della tortura.
Ciò che permette di risolvere la questione del concorso fra norme è, quindi, l’elemento di contesto che, nel caso del genocidio, è costituito dall’“intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”; per i crimini contro l’umanità, consiste nell’esistenza di un attacco sistematico e consapevole nei confronti delle popolazioni civili e per i crimini di guerra, dall’esistenza di un conflitto armato, sia esso o meno di carattere internazionale211.