1. Il divieto di tortura a livello universale
1.3. L’inadeguatezza degli strumenti esistenti e la necessità di strumenti ad hoc
Nel secondo dopoguerra, il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti è entrato a pieno titolo e fin da subito nel diritto dei diritti umani e nel diritto umanitario. Si sono viste, infatti, l’ampiezza e l’assolutezza con cui questo è stato affermato in numerose dichiarazioni e convenzioni, anche con la volontà di contrastare il ritorno prepotente della tortura, a cui si era assistito durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia, anche all’indomani di questa, la tortura era ancora presente, non soltanto nei paesi autoritari e totalitari sopravvissuti alla guerra, ma anche nei paesi democratici, quali la Francia e l’Inghilterra, dove numerosi intellettuali svolsero un’importante opera di denuncia143.
Durante la guerra in Algeria, ad esempio, la polizia e l’esercito francese utilizzarono ampiamente la tortura contro i membri della resistenza algerina e, nonostante i tentativi dell’apparato ufficiale di nascondere gli abusi, ad esempio impedendo la pubblicazione di testi di documentazione e denuncia sull’argomento,
oggi, cit., p. 8; N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 134 e C.
DEFILIPPI, D. BOSI, Il sistema europeo di tutela del detenuto, cit., p. XIII
142 Cfr. A. CASSESE, Umano-Disumano. Commissariati e prigioni nell’Europa di oggi, cit., p. 8 e D.
REJALI, Torture and Democracy, Princeton University Press, 2009, p. 42
143 Cfr. D. REJALI, Torture and Democracy, cit., p. 40 ss. e Ein Interview mit Manfred Nowak,
Sonderberichterstatter über Folter bei der UNO, Oktober 2006, Herausforderungen an das Folterverbot im 21. Jahrhundert, in K. HARRASSER, T. MACHO, B. WOLF, Folter. Politik und Technik des Schmerzens, Wilhelm Fink, 2007, cit., p. 38
come La Question di Henri Alleg o La torture dans la Republique di Pierre Vidal- Naquet, non fu possibile tenerne all’oscuro l’opinione pubblica internazionale144. Non è poi un caso che fra le prime decisioni, risalenti agli anni ’70, relative all’interpretazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, vi fossero proprio quelle riguardanti i maltrattamenti subiti in Irlanda del Nord dai membri dell’IRA, o sospetti tali, di cui era responsabile il governo britannico e la cui notizia ebbe grande pubblicità145. A titolo di esempio, si può citare il rapporto sulla tortura di Amnesty International del 1973, che indicava la Gran Bretagna come uno dei Paesi in cui la tortura era praticata in maniera sostanziale insieme a numerosi altri Stati, fra cui Grecia, Spagna, Cile, Argentina, Brasile, Israele, Cuba e l’U.R.S.S.146. Questo rapporto rappresentava il risultato della Conferenza organizzata da Amnesty
International a Parigi nel dicembre del 1973 a seguito della decisione, assunta nel
dicembre dell’anno precedente dall’organizzazione non governativa, di lanciare una campagna per l’abolizione della tortura. In questo testo si parlava di una vera e propria “torture-crisis”, si descriveva la situazione con “epidemic” in almeno trenta paesi, evidenziando l’inadeguatezza degli strumenti internazionali adottati a tutela dei diritti umani fino a quel momento e auspicando l’introduzione di meccanismi ad
hoc contro la tortura147.
Fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta si risvegliò, quindi, in Europa prima e nel resto del mondo poi, un forte movimento antitortura, di certo aiutato e sorretto dagli avvenimenti di quegli anni, come il colpo di Stato in Grecia del 1967 e quello in Cile del 1973, a cui avevano fatto seguito brutali maltrattamenti, torture e uccisioni degli oppositori politici148.
Di fronte al diffondersi della tortura e alla condanna del fenomeno da parte dell’opinione pubblica di tutto il mondo, la comunità internazionale cominciò a rendersi conto dell’insufficienza degli strumenti fino ad allora adottati per
144 Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., pp. 27 ss e D. REJALI, Torture and
Democracy, p. 40 ss. Il testo La Question di Henri Alleg, in cui l’intellettuale franco-algerino
denunciava le torture subite durante il suo arresto, fu censurato e Pierre Vidal-Naquet fu obbligato a pubblicare il suo testo prima all’estero (ad esempio in Italia) e solo dieci anni dopo in Francia.
145 Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., pp. 32 ss.; Comm. Rep., Irlanda c.
Regno Unito, 25 gennaio 1976 e Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978
146 Cfr. Amnesty International, Epidemic: torture, 1973, p. 4 147 Cfr. Ivi, p. 4 ss.
combatterla e della necessità di prendere in considerazione l’idea dell’introduzione di strumenti specifici e maggiormente efficaci149.
In questo quadro, vennero adottate dall’Assemblea Generale le risoluzioni 3059 del 2 novembre 1973 e 3218 del 6 novembre 1974150, che riaffermavano la condanna, da
parte delle Nazioni Unite, di ogni forma di tortura e con le quali l’Assemblea si riservava di riesaminare la questione in una successiva sessione. Del 1975 è la Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone contro la soggezione alla tortura o ad altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti, di cui si parlerà più nel dettaglio infra par. 1.4.151.
Nel 1977 l’Assemblea Generale chiese poi al Segretario Generale di scrivere ed inviare agli Stati membri un questionario per sollecitare informazioni circa le misure adottate per adeguarsi ai principi sanciti nella Dichiarazione di qualche anno prima152.
Si trattò, tuttavia, di un’esperienza fallimentare, perché le risposte furono in larga parte insoddisfacenti e i dati ottenuti non vennero analizzati in maniera adeguata. Si confermò in questo modo la necessità di adottare meccanismi ad hoc, che non si limitassero ad affermare principi, ma contenessero anche degli strumenti per renderli effettivi153.
Nel frattempo154 era stato dato l’incarico alla Commissione per i diritti umani per la stesura di una Convenzione contro la tortura e, successivamente155, si era specificato
149 Cfr. D. REJALI, Torture and Democracy, p. 40 ss., Ein Interview mit Manfred Nowak,
Sonderberichterstatter über Folter bei der UNO, Oktober 2006, Herausforderungen an das Folterverbot im 21. Jahrhundert, cit., p. 38; A. SACCUCCI, Profili di tutela dei diritti umani, cit., p.
115 e N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., p. 20
150 GA, res. 3059 (XXVIII), 2 Nov. 1973 e GA res. 3218 (XXIX), 6 Nov. 1974
151 Cfr. N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., pp. 20 ss.
152 Una prima parte delle domande mirava ad avere notizie circa gli strumenti legislativi,
amministrativi e giudiziari individuati dagli Stati contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti ed ottenne risposte soddisfacenti. Due domande specifiche erano volte a conoscere quale comportamento tenessero in pratica gli Stati nel momento in cui emergeva un caso di tortura. Lo scopo di questi ultimi interrogativi era di individuare quanto fosse esteso il fenomeno della tortura e quali sforzi i diversi Paesi facessero per combatterla non solo sul piano teorico. Moltissimi Stati non risposero o risposero in maniera laconica ed elusiva, affermando che non possedevano dati rilevanti o che non erano stati denunciati casi di maltrattamenti o tortura. Solo alcuni dichiararono di aver proceduto, per casi di questo tipo, o attraverso la normale via giudiziaria o attraverso l’istituzione di commissioni di inchiesta e soltanto uno ammise di avere delle difficoltà nell’attuazione della Dichiarazione. Cfr. GA, 32/63, 8 Dec. 1977 e N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under
International Law, cit., pp. 137 ss.
153 Cfr. GA, 32/63, 8 Dec. 1977 e N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International
Law, cit., pp. 137 ss.
che essa non avrebbe dovuto solo contenere un divieto della stessa, ma avrebbe dovuto anche indicare gli strumenti necessari per l’effettiva implementazione di un atto contenente, in qualità di trattato, obbligazioni legali per gli Stati firmatari.
La Convenzione, che rappresenta il più importante strumento contro la tortura esistente a livello universale (di cui si tratterà infra par. 1.4.), venne approvata nel 1984 ed entrò in vigore nel 1987, pochi anni dopo la costituzione, con il meccanismo del mandato tematico, di uno Special Rapporteur sulla tortura da parte della Commissione per i diritti umani156.
Anche quest’ultima, dopo un’iniziale titubanza, decise infatti di dotarsi per monitorare il fenomeno della tortura di uno strumento specifico, che fu istituito nel 1985 con un incarico iniziale della durata di un anno, rinnovato, però, fino ad oggi157. Si tratta, anche in questo caso, di un organismo che può certamente esercitare una forte pressione politica nei confronti di tutti i governi dei Paesi appartenenti all’ONU, ma che non può prendere decisioni vincolanti, condannare gli Stati e i singoli, o imporre misure legislative e amministrative. Lo Special Rapporteur, sebbene abbia poteri più incisivi di quelli della Commissione che lo ha istituito, non può visitare i luoghi di detenzione e le sue affermazioni si basano su informazioni ricevute da terzi, vale a dire sempre e comunque informazioni “di seconda mano” e non necessariamente imparziali158.
155 GA, res. 35/178, 15 Dec. 1980
156 Cfr. N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under International Law, cit., pp. 145 ss.
157 Lo Special Rapporteur sulla tortura può, innanzitutto, chiedere informazioni a governi, agenzie
specializzate, organizzazioni intergovernative e non-governative, vagliandone l’affidabilità e la credibilità e, inoltre, inviare lettere ai governi o appelli non accusatori al Ministero degli Esteri dei diversi Paesi, aventi ad oggetto casi di singoli, che siano stati sottoposti o siano a rischio di sottoposizione a tortura. Questi può anche recarsi negli Stati, con il loro consenso o per invito di questi ultimi, per parlare con le autorità o con le organizzazioni non-governative. Infine, il Relatore deve scrivere una relazione annuale per la Commissione, contenente informazioni sui singoli Stati, con cui si rende pubblico il livello di dialogo con l’organo internazionale, nonché il numero e la natura dei casi di sospette violazioni del divieto di tortura emerse. La relazione può inoltre racchiudere raccomandazioni generali agli Stati per la prevenzione e la lotta alla tortura, quali l’abolizione della detenzione incommunicado e la punizione degli autori dei fatti accertati. Cfr. M.D. EVANS, R. MORGAN, Preventing Torture, cit., pp. 64 ss. e N.S. RODLEY, The Treatment of Prisoners under
International Law, cit., pp. 145 ss.
1.4. La Dichiarazione sulla protezione contro la tortura del 1975 e la Convenzione