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L’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate sulla responsabilità altrui (Cenni)

II. Trattamento o punizione inumano e tortura

2. Il livello processuale: le disposizioni a tutela della libertà morale

2.2. Il Codice del 1989: la protezione dell’imputato detenuto Cenni alla questione della valutazione delle chiamate in reità e in correità

2.2.2. L’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate sulla responsabilità altrui (Cenni)

Secondo quanto disposto dall’art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p., l’indagato-imputato deve essere avvertito che, se rilascerà dichiarazioni sulla responsabilità altrui (sia che esse costituiscano una chiamata in correità che in reità), potrà assumere rispetto a quei fatti l’ufficio di testimone.

Ciò significa che rispetto a quelle affermazioni, che non riguardano inscindibilmente la propria responsabilità, l’imputato assumerà tutti gli obblighi propri dei testimoni, primo fra tutti quello di dire la verità, e sarà a questi equiparato, fatte salve le speciali garanzie previste all’art. 197-bis.

L’ordinamento tuttavia non tratta le dichiarazioni dell’imputato connesso o collegato come tutte le altre, ma vi si accosta con più diffidenza. Questo è giustificato dal fatto che un soggetto implicato in un processo, in cui si discute della

419 Cfr. F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 628 ss. e P. TONINI, Manuale di procedura penale,

cit., pp. 202 ss.

420 Cfr. G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., pp. 313 ss. e M.

NOBILI, Art. 189, Prove non disciplinate dalla legge, in Commento al nuovo codice di procedura

sua responsabilità penale, sarà necessariamente influenzato dal fatto di essere coinvolto in prima persona nella vicenda giudiziaria e potrà essere maggiormente spinto a dire il falso, ad esempio per migliorare la propria posizione processuale o per vendicarsi di un terzo. Il rischio di inattendibilità aumenta, poi, quando queste dichiarazioni siano rilasciate per ottenere i vantaggi che la legislazione premiale, sviluppatasi a partire dalla fine degli anni Settanta, garantisce ai collaboratori di giustizia421.

Il legislatore si mostra quindi diffidente nei confronti di questi dichiaranti ed impone, indirizzando in qualche misura il libero convincimento del giudice, un criterio di valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni da essi rilasciate. L’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p. stabilisce infatti che: “le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità.

La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b)”.

La norma non indica al giudice quale sia il valore da attribuire alle dichiarazioni, ma gli impone di compiere un riscontro più accurato di quello che egli pone in essere nella generalità dei casi, laddove si trovi di fronte alle dichiarazioni di alcuni soggetti, vale a dire coloro che sono coimputati o imputati in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 c.p.p.422 o collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p.423.

421 Cfr. T. PADOVANI, Lezione XXII sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio

2007, dattiloscritto, G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., pp. 313 ss. e P. TONINI, Manuale di procedura penale, cit., pp. 304 ss.

422 Art. 12. Casi di connessione: “1. Si ha connessione di procedimenti:

a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento;

b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso;

c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri”.

423 Art. 371, comma 2, lett. b): “se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione

degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza”

Le chiamate in correità o in reità non sono quindi prove, a meno che non vi siano altri elementi che ne confermino l’attendibilità. Ciò significa che, di per sé e a prescindere dal fatto che la si voglia qualificare come indizio, elemento di prova o semi-prova, la dichiarazione del coimputato o dell’imputato connesso e collegato non è una prova e, per questo motivo, non potrà essere posta da sola a fondamento di una decisione424.

Di fronte a quest’indicazione del legislatore si è sviluppata un’elaborata giurisprudenza, volta ad individuare quali criteri debbano essere utilizzati affinché una chiamata in correità (o in reità), insieme ad altri elementi di prova, possa assurgere al rango di prova.

La giurisprudenza, veramente amplissima su questo tema, ha individuato due tipologie di riscontri che devono essere effettuati dal giudice: questi deve, innanzitutto, valutare l’attendibilità intrinseca della dichiarazione e, in un secondo momento, l’attendibilità estrinseca425.

La prima forma di riscontro, che è il frutto di un’interpretazione giurisprudenziale, non essendo espressamente richiesta dalla disposizione, consiste in una valutazione della dichiarazione in sé e per sé, attraverso un giudizio circa la credibilità del soggetto che l’ha rilasciata e la solidità interna della stessa. Il riscontro dell’attendibilità intrinseca muove quindi da una valutazione del dichiarante e, in particolare, della sua personalità, delle sue condizioni personali e sociali, dei rapporti con i chiamati in correità e delle ragioni che lo hanno spinto alla collaborazione processuale. In seconda battuta il giudice deve guardare al contenuto della dichiarazione, per verificare se esso sia preciso, coerente, costante, spontaneo, disinteressato e autonomo426.

424 Cfr. T. PADOVANI, Lezione XXII sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio

2007, dattiloscritto e P. TONINI, Manuale di procedura penale, cit., pp. 304 ss.

425 Cfr. Cass. Sez. III, 18 agosto 1993, n. 1803, Rv. 196265 426 Questi elementi sono così interpretati:

la “precisione” consiste nel grado di accuratezza con cui il fatto viene riferito; la “coerenza” riguarda la logicità del racconto e dell’argomentare;

la “costanza” si riferisce al fatto che la narrazione non muti ogniqualvolta questa venga ripetuta o durante la medesima deposizione;

la “spontaneità” implica la libera scelta del soggetto che narra e l’assenza di induzioni esterne; “autonomia” significa che la dichiarazione deve essere genuina e deve provenire effettivamente dal dichiarante;

il “disinteresse” indica l’assenza di un fine ulteriore del dichiarante, che non deve essere mosso dalla volontà di ottenere vantaggi.

Il giudizio circa l’attendibilità intrinseca non preclude mai il secondo riscontro, fungendo piuttosto come criterio orientativo circa il grado di attendibilità estrinseca che dovrà essere raggiunto dalle dichiarazioni. Una volta individuato quindi il livello di attendibilità intrinseca, il giudice dovrà valutare l’intero quadro probatorio, collegando la dichiarazione con una serie di elementi di prova atti a confermarla. Questo secondo riscontro dovrà essere più o meno rigoroso a seconda di quanto è risultata solida la dichiarazione alla luce dell’attendibilità intrinseca427.

Ovviamente gli elementi di prova obiettivi non dovranno essere di per sé idonei a provare il fatto che si intende dimostrare con le dichiarazioni del coimputato o dell’imputato connesso o collegato. Laddove lo fossero, non sarebbe infatti necessario riscontrare l’attendibilità della dichiarazione, poiché basterebbe utilizzare quegli elementi come prova del fatto. Questi devono quindi essere indizi che, da un lato, confermano la dichiarazione e, dall’altro, insieme ad essa, contribuiscono a provare un determinato fatto428.

Il quadro così tracciato a livello teorico appare chiaro. In base ad esso, il giudice deve compiere un duplice riscontro: il primo, intrinseco, volto a valutare la dichiarazione in sé e per sé; il secondo, estrinseco, finalizzato a connettere con la dichiarazione tutta una serie di elementi, nessuno dei quali è singolarmente in grado di provare il thema probandum, ma tali che il quadro probatorio da essi risultante sia idoneo a dimostrare quanto affermato dall’imputato.

Maggiori problemi sorgono nell’applicazione pratica di queste massime, dall’analisi della quale i contorni dei criteri individuati per valutare l’attendibilità risultano in qualche misura sfocati. Questo dipende, per quanto riguarda il riscontro intrinseco, dal fatto che questo non è un canone selettivo, in grado di escludere determinate dichiarazioni e di mantenerne altre, ma semplicemente orientativo, nel senso che traccia il livello da cui il giudice deve partire nella valutazione del riscontro esterno429.

427 T. PADOVANI, Lezione XXII sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio 2007,

dattiloscritto

428 Cfr. Cass. Sez. VI, 28 novembre 1994, n. 1493, Rv. 200878, T. PADOVANI, Lezione XXII sulla

tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio 2007, dattiloscritto

429 Cfr. T. PADOVANI, Lezione XXII sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio

Senza avere la pretesa di compiere un’analisi completa della giurisprudenza in materia, si può fare l’esempio della valutazione, da parte della giurisprudenza, della ritrattazione, ipotesi che parrebbe minare in maniera consistente il requisito della costanza delle dichiarazioni. Tuttavia la Cassazione ha affermato che la presenza di una ritrattazione non è un elemento idoneo ad escludere l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni, se è evidente l’assoluta inattendibilità delle “controdichiarazioni”. Una ritrattazione, valutata dal giudice come inattendibile, potrà al contrario costituire un elemento di conferma delle dichiarazioni accusatorie. Il problema, che si pone e che viene lasciato al giudice, consiste tuttavia nel capire quali sono i parametri per scegliere fra la verosimiglianza della prima dichiarazione e quella della ritrattazione430.

Allo stesso modo, a parere della Cassazione, non permette di escludere l’attendibilità delle affermazioni, pur incidendo certamente sulla spontaneità del dichiarante, il fatto che lo stesso sia stato messo a conoscenza, prima di rispondere, di dichiarazioni rese da altri. Anche laddove ciò che l’imputato afferma coincidesse con queste ultime, la Cassazione invita il giudice a non escludere a priori l’attendibilità dello stesso, ma ad accertarsi che non si tratti di un allineamento fittizio, derivante soltanto dall’aver avuto conoscenza delle dichiarazioni altrui. La Corte però, anche in questo caso, non fornisce al giudice dei parametri per svolgere questa valutazione431.

La volontà di non porre dei criteri troppo rigidi in sede di valutazione dell’attendibilità intrinseca è legata alla natura di questo giudizio, che non deve portare il giudice a scartare determinate dichiarazioni, ma piuttosto ad attribuire loro un certo grado di credibilità per stabilire quali e quanti riscontri esterni saranno necessari per poterle utilizzare come prova. Questi riscontri dovranno essere certi e in grado di confermare in maniera univoca le chiamate in correità, ma allo stesso tempo non potranno essere già qualificabili come prova del fatto oggetto della dichiarazione, poiché altrimenti risulterebbe inutile affannarsi a valutare l’attendibilità della stessa.

430 Cfr. Cass. Sez. VI, 2 luglio 1990, n. 15413, Rv. 185822; Cass. Sez. VI, 31 gennaio 1996, n. 7627,

Rv. 206583 e T. PADOVANI, Lezione XXII sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio 2007, dattiloscritto

431 T. PADOVANI, Lezione XXII sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio 2007,

I riscontri estrinseci non devono quindi essere elementi di prova riferiti direttamente al thema probandum del processo, ma indizi idonei a confermare l’attendibilità delle dichiarazioni432.

Questa verifica dovrebbe essere particolarmente rigorosa ed essere svolta rispetto ad ogni singola dichiarazione. In giurisprudenza si è invece sviluppata la tendenza opposta, tanto che si è ammessa l’estensione a tutte le dichiarazioni del riscontro ottenuto per alcune di esse. Inoltre si è affermato che quelle provenienti da imputati diversi possano esse stesse essere considerate riscontri esterni, laddove sia dimostrata l’autonomia fra le dichiarazioni. Se quindi le affermazioni di più imputati non risultano intrinsecamente inattendibili e non sono riconducibili a collusioni o condizionamenti di qualsiasi genere tra i chiamanti, esse potranno considerarsi confermate vicendevolmente433.

Da questa breve analisi si può vedere come l’elaborazione giurisprudenziale sviluppatasi intorno all’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., pur mirando, di fronte alla presunzione di inattendibilità delle dichiarazioni di coimputati o di imputati collegati e connessi stabilita dal legislatore, ad indirizzare la valutazione del giudice, imponendogli un riscontro particolarmente attento e rigoroso, finisce per attribuirgli una grande discrezionalità, non riuscendo a creare dei criteri sufficientemente chiari e precisi434.

Per quanto riguarda nello specifico le chiamate in correità dei collaboratori di giustizia, esse sembrerebbero avere, alla luce di quanto si è detto fino a questo momento, un grado particolarmente basso di attendibilità intrinseca, in quanto sembrerebbe mancare loro la caratteristica del disinteresse. È chiaro che la possibilità (legittima essendo sancita per legge) di ottenere vantaggi attraverso la collaborazione può influenzare l’attendibilità delle dichiarazioni. La Cassazione ha, tuttavia, ritenuto

432 Cfr. Cass. Sez. V, 19 marzo 1991, n. 7603, Rv. 188037 e T. PADOVANI, Lezione XXII sulla

tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio 2007, dattiloscritto

433 Cfr. Cass. Sez. IV, 6 aprile 1990, n. 8052, Rv. 184542; Cass. Sez. I, 29 novembre 1990, n. 4323,

Rv. 187528; T. PADOVANI, Lezione XXII sulla tortura alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, 7 maggio 2007, dattiloscritto

434 La creazione di una teoria dei requisiti che rendono credibile una dichiarazione è impossibile a

parere di F. CORDERO, Codice di procedura penale, cit., p. 235, secondo il quale non dovrebbe, in ogni caso, essere la Cassazione a dettarla. Lo stesso autore sostiene in F. CORDERO, Procedura

penale, cit., p. 624, che la regola dettata dall’art. 192, commi 3 e 4, costituisca, in realtà, “ un finto

limite: dove il narrante sia creduto, le conferme non mancano mai”. Non meno severo è il giudizio sulla giurisprudenza della Cassazione: “la Corte elabora un formulario vago applicabile nei due sensi, con intuibile danno”.

non illogico giudicare che i vantaggi derivanti dalla legislazione premiale possano assumere un ruolo neutro rispetto all’attendibilità delle dichiarazioni. Il fatto che rilasciando dichiarazioni sulla responsabilità altrui i collaboratori ottengano dei vantaggi, sarebbe controbilanciato dal fatto che l’accusare un altro affermando il falso comporta, se viene accertata la non veridicità di quanto asserito, la perdita del premio.

All’incidenza sul requisito del disinteresse si contrapporrebbe quindi una garanzia di veridicità. Per questo motivo si ritiene che la qualifica di collaboratore di giustizia del chiamante non implichi necessariamente una minore attendibilità intrinseca delle dichiarazioni, ma tutt’al più imponga al giudice una maggiore cautela nell’accertamento dei riscontri intrinseci ed estrinseci.

A suffragio della sua interpretazione la Cassazione aggiunge che non si devono confondere l’interesse a collaborare con la giustizia, per ottenere i vantaggi, con l’interesse ad accusare un terzo, vero oggetto della valutazione di attendibilità. Il parametro del disinteresse si riferirebbe ad uno specifico interesse ad accusare e non ad un generico interesse a collaborare che rimane, perciò, ai margini dell’accertamento dell’attendibilità435.

La Suprema Corte, pur imponendo una cautela particolare anche nei confronti dei chiamanti in correità collaboratori di giustizia, non mostra di tenere in considerazione la spes praemii come fattore di peculiare influenza sull’attendibilità delle dichiarazioni in base ad essa rilasciate, a differenza di parte della dottrina, che ha parlato di “soave inquisizione” e di tanti pensatori che, come si è visto supra Capitolo I, vi hanno, nel passato, a lungo riflettuto436.

3. Il livello sostanziale: l’inadeguatezza del sistema normativo e l’introduzione

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