IV. L’elemento negativo: l’esclusione delle sanzioni legittime
1.5. Lo Statuto della Corte Penale Internazionale
1.5.3. Cenni alla questione delle cause di esclusione della responsabilità penale nello Statuto della Corte Penale Internazionale
Appare opportuno, prima di concludere l’analisi dello Statuto della Corte Penale Internazionale per quanto rilevante ai fini di questo lavoro, accennare alla disciplina delle cause di esclusione della responsabilità penale contenuta agli artt. 31 e seguenti StCPI, e a quella delle sanzioni, di cui all’art. 77 StCPI.
La nozione di cause di esclusione della responsabilità penale non appartiene a quelle del diritto penale classico dell’ordinamento italiano ed è, in effetti, il frutto di un compromesso fra la tradizione degli ordinamenti di civil law e quella degli ordinamenti di common law, piuttosto sbilanciato a favore di questi ultimi. La lettera delle norme, infatti, non sembra distinguere fra cause di giustificazione, atte ad escludere l’antigiuridicità obiettiva, e scusanti, che incidono sulla colpevolezza,
218 Cfr. R. ARNÒ, A. CALIGIURI, I crimini contro l’umanità, cit., pp. 101 ss. e E. AMATI, V.
CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto penale internazionale, cit., pp. 353 ss.
219 Cfr. Cfr. R. ARNÒ, A. CALIGIURI, I crimini contro l’umanità, cit., pp. 101 ss.; E. AMATI, V.
CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto penale internazionale, cit., pp. 339 ss. e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., pp. 329 ss.
individuando una categoria piuttosto eterogenea di situazioni, avvicinabile a quella delle defence anglosassoni. L’insieme delle defence, opposto a quello delle offence in un sistema che distingue due e non tre componenti del reato, è costituito da tutte quelle cause, siano esse di natura sostanziale o processuale, che possono portare ad un proscioglimento220.
È, in ogni caso, molto difficile ricondurre gli istituti dello Statuto della Corte Penale Internazionale all’una o all’altra delle tradizioni, poiché questo cerca, da un lato, di amalgamarle e, dall’altro, rappresenta un sistema nuovo, che vorrebbe affrancarsi, anche attraverso l’uso di una terminologia neutrale, da quelli esistenti221. Sembra di poter dire, tuttavia, con un buon grado di sicurezza, che la conseguenza del riconoscimento di una causa di esclusione della responsabilità penale ai sensi dello Statuto comporti l’impossibilità di una condanna e, di conseguenza, la non applicabilità di alcuna sanzione.
Nell’impossibilità di trattare di tutte le cause disciplinate dagli artt. 31 e seguenti StCPI, si prenderanno qui in considerazione solo quelle rilevanti ai fini della presente trattazione: la legittima difesa, lo stato di necessità e l’ordine del superiore.
I confini della rilevanza della legittima difesa sono tracciati dall’art. 31, comma 1, lett. c), in base al quale è esclusa, in presenza di una serie di requisiti, la responsabilità penale di colui che abbia agito per difendere se stesso o un’altra persona, ovvero, nei crimini di guerra, per difendere beni materiali essenziali alla propria sopravvivenza o a quella di terzi, o necessari per l’adempimento di missioni militari, contro un ricorso imminente o illecito alla forza. La legittima difesa ha, innanzitutto, rilevanza principalmente con riferimento ai beni primari personali, come la vita o l’integrità fisica, mentre la difesa di beni patrimoniali è giustificata soltanto rispetto ai crimini di guerra e deve trattarsi di beni fondamentali per la sopravvivenza ovvero per l’adempimento di una missione militare.
La condotta deve, inoltre, costituire una reazione ad un’aggressione illecita, vale a dire non autorizzata in alcun modo dalla legge, o imminente, cioè vicina al prodursi, o comunque, se già iniziata, non conclusasi. Essa deve poi rispettare i requisiti della
220 Cfr. E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto
penale internazionale, cit., pp. 207 ss. e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht,
cit., pp. 296 ss.
ragionevolezza e della proporzionalità: il primo fa riferimento alle modalità della condotta, che devono risultare necessarie ed adeguate rispetto allo scopo difensivo, secondo il criterio del minimo mezzo; il secondo è relativo all’ampiezza del pericolo222.
Si discute se possa, nella pratica, configurarsi un caso di legittima difesa al di fuori dell’ambito dei crimini di guerra. In particolare, sebbene la lettera della norma sembrerebbe ammetterlo, pare difficile immaginare un caso di genocidio posto in essere per legittima difesa. Per riuscirvi, si deve necessariamente scindere la dimensione sistematica di questo crimine dalle singole condotte che lo compongono. Se si ritiene che la legittima difesa sia rivolta alla tutela dei diritti dei singoli individui, si può pensare che un singolo, seppure nell’ambito del contesto sistematico proprio del genocidio, ponga in essere una delle condotte descritte dall’art. 6 StCPI, come difesa di fronte ad un’aggressione alla propria vita o integrità fisica. In questo senso, si può forse individuare un ambito applicativo della legittima difesa al di fuori dei crimini di guerra, anche se la situazione sembra di difficile realizzazione223. L’art. 31, comma 1, StCPI subito dopo aver individuato i requisiti propri della legittima difesa, disciplina lo stato di necessità: la lettera d) stabilisce, infatti, che la responsabilità penale è esclusa, se “il comportamento qualificato come sottoposto alla giurisdizione della Corte è stato adottato sotto una coercizione risultante da una minaccia di morte imminente o da un grave pericolo continuo o imminente per l'integrità di tale persona o di un’altra persona e la persona ha agito spinta dal bisogno ed in modo ragionevole per allontanare tale minaccia, a patto che non abbia inteso causare un danno maggiore di quello che cercava di evitare”. Si aggiunge che la minaccia può essere stata provocata sia da altre persone che da circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente.
La disposizione può essere analizzata distinguendo, da un lato, i requisiti della situazione necessitata e, dall’altro, quelli della condotta. Affinché l’agente possa vedere esclusa la propria responsabilità penale, è, innanzitutto, necessario che questi
222 Cfr. E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto
penale internazionale, cit., pp. 231 ss. e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht,
cit., pp. 302 ss.
223 Cfr. E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto
penale internazionale, cit., p. 239 e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit.,
si trovi di fronte ad una minaccia di morte imminente o ad un grave pericolo incombente o continuo per l’integrità personale. I beni protetti sono, quindi, quelli personali di primaria importanza e, a differenza di quanto visto per la legittima difesa, non è previsto alcun caso di applicabilità dello stato di necessità in relazione a beni patrimoniali. In realtà, parte della dottrina dubita addirittura che, nonostante la lettera della norma, la disposizione sia in concreto applicabile al di fuori dell’ambito dei crimini di guerra224.
La situazione di necessità non deve, inoltre, essere stata provocata dal soggetto agente, come si deduce dal testo dell’art. 31, comma 1, lettera d), StCPI dove si stabilisce che la minaccia deve essere stata posta in essere da un soggetto terzo o che deve, in ogni caso, essersi verificata per circostanze estranee alla volontà dell’agente225.
La condotta deve invece soddisfare tre requisiti: deve esservi una costrizione, l’atto deve essere qualificabile come necessario e le modalità dell’agire devono risultare ragionevoli. La costrizione indica che il soggetto si trova a dover agire in quel modo, a commettere quell’atto senza possibili alternative per evitare il pericolo o la minaccia; la necessità introduce il criterio del minimo mezzo, nel senso che la condotta concreta deve costituire quella, allo stesso tempo, più efficace e mite e la ragionevolezza esprime la misura della reazione difensiva, che deve risultare proporzionata in relazione alle conseguenze226.
L’art. 31, comma 1, lettera d), StCPI introduce infine una clausola limitativa dell’operatività dello stato di necessità. Esso sancisce, infatti, che la responsabilità è esclusa in presenza della situazione sopra descritta, “a patto che [l’agente] non abbia inteso causare un danno maggiore di quello che cercava di evitare”. Nonostante l’interpretazione di questa clausola sia particolarmente discussa in dottrina, sembra di poter affermare che essa introduce un elemento puramente soggettivo nella
224 Cfr. H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., p. 302
225 Cfr. E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto
penale internazionale, cit., pp. 266 ss. e H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht,
cit., pp. 303 ss.
226 Cfr. H. SATZGER, Internationales und Europäisches Strafrecht, cit., p. 304. Una lettura
parzialmente differente dei requisiti necessari alla condotta si trova in E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto penale internazionale, cit., p. 266 ss. In particolare, in questo testo si propende per una lettura in senso soggettivo dei requisiti, escludendo il riferimento alla proporzionalità. In questo senso, la necessarietà indicherebbe che la reazione posta in essere deve costituire l’unica possibile ed efficace nella situazione concreta e la ragionevolezza che essa deve essere la meno lesiva per i diritti del soggetto terzo.
struttura dello stato di necessità, dato che afferma che è necessario che l’autore “non abbia inteso” causare e non semplicemente che “non abbia causato”. A ben vedere, ci si trova di fronte ad un’anticipazione della tutela penale: è possibile, infatti, che l’azione posta in essere non abbia provocato un danno maggiore di quello che si voleva evitare, rendendo in astratto applicabile l’art. 31, comma 1, lettera d) StCPI; tuttavia, se si prova che l’agente aveva intenzione di provocare un danno più grave di quello che doveva evitare, la responsabilità penale non potrà essere esclusa227. Per quanto riguarda l’ordine del superiore, questa causa di esclusione della responsabilità è disciplinata all’art. 33 StCPI, che sancisce: “Il fatto che un reato passibile di giurisdizione della Corte sia stato commesso da una persona in esecuzione di un ordine di un governo o di un superiore militare o civile non esonera tale persona dalla sua responsabilità penale, salvo se:
a) la persona aveva l'obbligo legale di ubbidire agli ordini del governo o del superiore in questione;
b) la persona non sapeva che l'ordine era illegale; e c) l'ordine non era manifestamente illegale”.
L’esonero dalla responsabilità per l’adempimento di un ordine è quindi in linea di principio escluso, a meno che non si verifichino le condizioni elencate. Il secondo comma della norma, inoltre, classifica gli ordini relativi alla commissione di un genocidio o di crimini contro l’umanità come “manifestamente illegali”, rifiutando a
priori che la responsabilità penale possa essere esclusa rispetto a questi reati per
adempimento di un ordine superiore. L’art. 33 potrà, di conseguenza, applicarsi esclusivamente ai crimini di guerra in presenza di un obbligo legale di obbedire al superiore, alla mancata conoscenza dell’illegalità dell’ordine e alla sua non manifesta illegalità228.