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Analisi del d.lgs 109/2012 che ha recepito la riguardante le sanzioni ed i provvedimenti ne

CAPITOLO IV. SFRUTTAMENTO LAVORATIVO: INQUADRAMENTO

1. Diritto dell’immigrazione: evoluzione e recepimento delle direttive europee

1.2. Analisi del d.lgs 109/2012 che ha recepito la riguardante le sanzioni ed i provvedimenti ne

senza regolare permesso di soggiorno

La direttiva dell’Unione Europea 2009/52, concernente le norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, è stata recepita dall’Italia con il d.lgs. 109/2012, con il quale sono stati modificati alcuni articoli del Testo Unico.

Il decreto legislativo con l’articolo 1, comma 1, lettera b) ha introdotto i commi 5-bis e 5-ter all’articolo 22. Si introduce la preclusione a ottenere il nulla osta all’ingresso di lavoratori qualora il datore di lavoro, che ne fa richiesta, risulti condannato negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva per: a) favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite; b) intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.); c) occupazione alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ex comma 5-bis. Il nulla

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osta al lavoro è altresì rifiutato se i documenti presentati sono stati ottenuti mediante frode o sono stati falsificati o contraffatti ovvero qualora lo straniero non si rechi presso lo sportello unico per l’immigrazione per la firma del contratto di soggiorno entro il termine di otto giorni, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore, ex comma 5-ter.

Oltre a quanto detto, il d.lgs. 109/2012 ha inserito quattro commi successivi al dodicesimo comma dell’articolo 22. A questo articolo erano già state apportate delle modifiche dal d.l. n. 92/2003, il quale prevedeva per il datore di lavoro la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato nel caso in cui fosse uno straniero privo di permesso di soggiorno. Infatti, in Italia vigeva divieto ad impiegare cittadini stranieri il cui soggiorno è irregolare anche precedentemente il recepimento della direttiva.

L’introduzione della norma europea ha portato ad un aggiornamento che ha visto, ex comma 12-bis, l’introduzione delle aggravanti in caso di impiego irregolare accompagnato da particolare sfruttamento. Si prevede, nel caso in cui il datore di lavoro occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, o con permesso di soggiorno scaduto e del quale non sia stato chiesto il rinnovo, revocato o annullato, che la pena sia aumentata da un terzo alla metà quando: i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre; i lavoratori occupati sono minori in età non lavorativa; i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento. Al comma 12-ter prevede che in caso di una condanna da parte del giudice la sanzione amministrativa accessoria che si applica è il pagamento del costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto irregolarmente.

I commi 12-quater e 12-quiter prevedono la possibilità, previa denuncia e collaborazione con le forze dell’ordine nel procedimento penale, di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno, prima denominato per motivi umanitari, adesso per casi speciali, con l’intento di tutelare la vittima di sfruttamento lavorativo. Il rilascio del permesso di soggiorno è «un meccanismo preliminare del quale non possono beneficiare tutti i lavoratori irregolari rientrati nella previsione normativa di cui all’art. 22, comma 12-bis, ovvero coloro i quali vivono una condizione di particolare sfruttamento definita dalla disposizione attraverso il

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richiamo di una delle seguenti condizioni: che i lavoratori occupati siano in numero superiore a tre; che si tratti di minori di età non lavorativa; che i lavoratori siano esposti a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro»276. Il permesso è rilasciato nei casi sopra citati solo se lo straniero abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro e solo dopo aver ricevuto il parere favorevole da parte del procuratore.

La nozione di sfruttamento lavorativo nell’ordinamento italiano corrisponde alla definizione più restrittiva rispetto a quella europea «condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione risetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana», ex art 2, lett, i), direttiva 2009/52/CE.

1.2.1. Le previsioni europee mancanti nell’ordinamento italiano

La maggior criticità che possiamo rilevare in riferimento alla normativa italiana è il fatto di aver un po’ “tradito” la direttiva in quanto è «mancata [la] volontà di ricostruire la complessa filiera dello sfruttamento e di agire su di essa. Inoltre, emerge l’incompleto recepimento dei pochi strumenti innovativi introdotti dal legislatore europeo»277. Nello specifico i quattro gli aspetti assenti del d.lgs. 109/2012 sono: la totale esclusione dai fondi dei datori di lavoro, la responsabilità anche dell’appaltante, l’informazione e le comunicazioni alla Commissione del lavoro svolto annualmente per il contrasto al fenomeno.

Gli articoli 7 e 18 della direttiva prevedono alcune sanzioni amministrative e finanziarie in capo al datore di lavoro che impiega manodopera irregolare, queste consistono nell’esclusione dal beneficio di prestazioni, sovvenzioni, nonché aiuti pubblici, compresi sussidi agricoli e fondi dell’Unione Europa, l’obbligo di rimborso delle prestazioni eventualmente ricevute, l’esclusione dalle procedure di

276 C. PITTALUGA, C. MOMI, L’impatto della direttiva 52/2009/CE, op. cit., pp. 33-34. 277 Ibidem, p. 31.

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appalti pubblici, la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti ed il ritiro temporaneo o permanente della licenza di servizio. Tuttavia, nell’ordinamento italiano di tutte queste possibili sanzioni è stato previsto che, solo nel caso in cui vi sia stata una condanna per intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, ex artt. 603-bis e 603-ter del codice penale, o per riduzione e mantenimento in schiavitù e servitù, ex art. 600 del codice penale, quando questi reati abbiamo come oggetto lo sfruttamento in ambito lavorativo, vi sia la pena accessoria all’esclusione dai contributi economici pubblici. È molto evidente come nella normativa italiana vi sia un «approccio penalistico, che collega l’applicabilità della sanzione accessoria di tipo economico alla condanna penale del datore di lavoro, è una scelta di politica legislativa interna, non è richiesta dalla direttiva, che al contrario prevede l’applicabilità delle sanzioni economiche – efficaci, proporzionate e dissuasive – come conseguenza diretta del semplice accertamento dell’assunzione da parte di un datore di lavoro di lavoratori privi di permesso di soggiorno»278.

Altra previsione europea non adottata in modo integrale è stata l’attribuzione della responsabilità anche all’appaltante, ex artt. 8 e 22 direttiva 2009/52/UE, attribuzione che permetteva di poter infliggere sanzioni economiche ed amministrative, non solo al datore di lavoro, ma anche eventualmente alla società appaltante. Il legislatore italiano ha ritenuto che la già vigente legge Biagi279 sarebbe stata di per sé sufficiente per soddisfare gli obiettivi del legislatore europeo. Come è stato evidenziato, «Tuttavia, l’ordinamento italiano garantisce la responsabilità solidale del committente imprenditore solo per quanto riguarda il pagamento della retribuzione e della contribuzione previdenziale (peraltro entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto), e non l’applicazione anche all’appaltante di sanzioni finanziarie in caso di violazioni degli obblighi della direttiva»280.

278 Ibidem, p. 35.

279 D.lgs. 276/2003, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, 10.09.2003, disponibile al seguente link:

https://www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2003- 10-09&atto.codiceRedazionale=003G0297&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=originario.

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Considerando l’articolo 13 della direttiva il legislatore italiano avrebbe dovuto prevedere nell’ordinamento forme di assistenza al lavoratore migrante che ha deciso di denunciare le proprie condizioni lavorative e un’adeguata informazione. Fra gli strumenti che la vittima di sfruttamento poteva utilizzare per rivendicare i propri diritti vi è denuncia nei confronti dei datori di lavoro; la norma europea prevedeva che la querela potesse essere presentata non solo alle forze dell’ordine, ma anche direttamente terzi, quali sindacato ed associazioni, azione che non stata prevista.

Inoltre, la direttiva richiede ad ogni Stato membro, in particolare in Italia è competente il Ministero del lavoro, di inviare annualmente, ogni 1° luglio, alla Commissione europea la comunicazione delle attività volte alla repressione allo sfruttamento lavorativo, ex art. 14. Il rapporto in ambito italiano è stilato da diverse autorità281, anche se non è ben chiaro da quali fonti esse utilizzino per acquisire i dati da trasmettere. Inoltre, non è ben spiegato, in riferimento alle scelte effettuare in materia di vigilanza e per quanto riguarda l’intervento, come siano state individuate le aree ed i comparti produttivi a maggiore rischio di sfruttamento.

Oltre ciò, si rileva che i criteri di ispezione utilizzati dagli Stati possono differire anche di molto e spesso risultano essere mancati di informazioni. La più recente comunicazione282 relativa ai dati acquisiti dai rapporti dei Paesi, che la Commissione ha inviato al Parlamento e al Consiglio europeo, risale a sei anni fa, precisamente al maggio 2014. Nella relazione sono messe a confronto le sanzioni finanziarie e penali che nei vari Stati i datori di lavoro, che commettono l’illecito, possono subire. Sono prese in esame anche le misure di protezione e volte all’emersione delle assunzioni dei cittadini di Paesi terzi senza un regolare permesso di soggiorno. Nel 2014 le sanzioni maggiori per un’assunzione illegale

281 La Direzione generale per le attività ispettive del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il 1° Nucleo tutela lavoro dei Carabinieri, il nucleo ispettivo dell’INPS, la Guardia di Finanza, la Polizia di Stato e il nucleo ispettivo dell’INAI., in C. PITTALUGA, C. MOMI, L’impatto

della direttiva 52/2009/, op. cit., pp. 36-37.

282 Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio relativa all’applicazione della direttiva 2009/52/CE, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, 22.05.2014, disponibile al seguente link:

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erano imposte in Estonia, dove la multa prevista poteva oscillare dai € 10.000 fino ad arrivare a dieci volte tanto in caso di aggravanti. L’Italia, fra i Paesi europei, era nella media, con circa € 2.000 come sanzione minimo, fino a superare i € 15.000 nel caso in cui vi siano le condizioni per una pena massima, registrando un miglioramento rispetto al periodo precedente all’entrata in vigore della direttiva. Leggendo attentamente il rapporto si rileva che i controlli eseguiti nei vari Paesi non sono equilibrati e rilevanti al fine di avere una buona visione di insieme, in quanto in Bulgaria sono stati fatti solo 119 controlli a datori di lavoro, corrispondenti allo 0,2%, in Francia 1.331, in Germania 122.577, mentre in Italia con il dato più alto si è arrivati a 243.847, questa disparità fa sì che vi siano delle lacune e che il confronto non possa essere totalmente significativo.

1.3. Recepimento della direttiva 2011/36 volta alla prevenzione e

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