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Evoluzione della disciplina in materia di ingressi per motivi di lavoro

CAPITOLO IV. SFRUTTAMENTO LAVORATIVO: INQUADRAMENTO

2. La centralità del lavoro nei canali di accesso regolare dello straniero

2.1. Evoluzione della disciplina in materia di ingressi per motivi di lavoro

Allo stesso modo della disciplina sull’immigrazione in generale, anche la questione dell’accesso al mondo del lavoro da parte degli stranieri è qualcosa a cui il legislatore ha provveduto con il T.U. Imm. Precedentemente la questione migratoria era identificata essenzialmente come problema di ordine pubblico e di sicurezza, tale visione ha avuto la conseguenza che non fosse preso in considerazione tutto il panorama della tutela dei diritti nonché dell’integrazione degli stranieri, anche nel loro ruolo di lavoratori e gli spazi lasciati vuoti dalla latitanza del legislatore furono in «gran parte colmati da un’ipertrofica regolamentazione amministrativa»293.

Le scarne disposizioni presenti in Italia prima della disciplina del T.U. Imm. erano basate su «l’art. 145 del r.d. 18 giugno 1931, n.773 (il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che obbligava il datore di lavoro a comunicare all’autorità di polizia l’assunzione di un lavoratore straniero, nonché l’eventuale cessazione del ‘rapporto di dipendenza’, ed addirittura il suo allontanamento ed il luogo di destinazione; l’art. 2, comma 5, della legge 10 gennaio 1935, n. 112, che attribuiva

292 Piano per l’integrazione Identità e incontro, 10/06/10, disponibile al seguente link: http://www.integrazionemigranti.gov.it/Attualita/Approfondimenti/approfondimento/Document s/mediazione_ITALIA/Piano_Integrazione_Sicurezza.pdf, p. 14, piano che ha visto un successore solo nel 2017, anno di pubblicazione del Piano nazionale per l’integrazione dei titolari di protezione internazionale, disponibile al seguente link:

https://www.interno.gov.it/sites/default/files/piano-nazionale-integrazione.pdf, ma solo rivolte ai titolari di protezione internazionale, come previsto dal d.lgs. 18/201, in quest’ultimo il lavoro assume comunque una posizione centrale, infatti, si afferma la necessità di promuovere specifici programmi di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

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la competenza per il rilascio, su richiesta del datore di lavoro, del libretto di lavoro per gli stranieri, presupposto essenziale per l’iscrizione nelle liste di collocamento, ai Circoli dell’allora Ispettorato corporativo, e non più ai sindaci; l’art. 9, comma 4, della legge 29 aprile 1949, n. 264, come modificato dall’art. 3 della legge 10 febbraio 1961, n. 5, che imponeva ai lavoratori stranieri il possesso del ‘permesso di soggiorno per motivi di lavoro’, o ‘di documento equipollente previsto da accordi internazionali’, ai fini dell’iscrizione nelle liste di collocamento»294.

Gli stranieri prima del 1998 non dovevano rispettare delle quote di ingresso prefissate, non essendo ancora stata istituita la prassi dei decreti flussi, il loro dovere consisteva nel presentarsi entro tre giorni dall’entrata nel territorio agli uffici di pubblica sicurezza per comunicare la propria presenza in Italia, lo scopo per cui si era fatto ingresso e quale attività si era intenzionati a svolgere, questa dichiarazione era denominata «dichiarazione di soggiorno». Di fronte alla richiesta, l’autorità amministrativa disponeva di un ampio potere discrezionale nell’accettare o meno. Come si è detto, precedentemente al T.U. Imm. la regolarizzazione degli stranieri avveniva perlopiù da circolari amministrative295, di queste una in particolare fu importante perché portò a dettare una nuova disciplina sull’accesso al lavoro dello straniero. La circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 51/22/IV del 1963296 «prevedeva una complessa procedura caratterizzata in primo luogo dall’introduzione della c.d. ‘autorizzazione al lavoro’, che consisteva in un permesso ad esercitare una determinata attività lavorativa, rilasciato dall’Ufficio provinciale del lavoro su richiesta del datore di lavoro, il quale doveva specificare in tale sede le generalità ed il luogo di residenza dello straniero da assumere, la qualifica, le mansioni, la retribuzione e la durata del rapporto, nonché le eventuali possibilità di alloggio a suo carico. Contestualmente il datore di lavoro su assumeva l’impegno di sostenere le spese necessarie per il trasferimento del lavoratore dal Paese d’origine in Italia. […] Una volta ottenuta l’autorizzazione, sul datore di lavoro gravava l’onere di richiedere alla Questura territoriale competente il c.d.

294 Ibidem, p. 99.

295 F. UGOLINI, Zone grigie e zone rosse: la capacità delle circolati di incidere sulla spera giuridica individuale e di limitare le libertà, In Democrazia e Sicurezza n. 4/2018, 07.10.2019.

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‘nulla osta provvisorio’ all’ingresso nello Stato dello straniero. A questo punto, lo straniero poteva presentare l’autorizzazione ed il nulla osta agli uffici consolari italiani del luogo di residenza, i quali gli rilasciavano il c.d. ‘visto di ingresso per motivi di lavoro’, sulla base del quale egli poteva legittimamente dare ingresso in Italia»297.

L’autorizzazione al soggiorno era strettamente legata all’occupazione, infatti, non era possibile entrare nello Stato e poi cercare un’attività lavorativa da svolgere, per lo stesso motivo, nel caso in cui fosse cessato il rapporto di lavoro, lo straniero era tenuto ad uscire dal territorio italiano. Questa impostazione è rimasta anche con le successive discipline legislative, la prima norma in materia di immigrazione, la legge Foschi del 1986298, includeva al proprio interno in modo più organico le varie circolari che già da tempo regolavano gli ingressi degli stranieri per motivi di lavoro. Riprendendo la già recepita Convenzione OIL 143/1975, sanciva la parità di trattamento e dei diritti fra i lavorati italiani e i lavoratori stranieri, nonché ai loro familiari alla sanità ed ai servizi sociali, alla scuola e all’abitazione, ex art. 1. Era inoltre riconosciuto in capo al lavoratore straniero regolarmente presente in Italia il ricongiungimento con i propri familiari, ex art. 4.

La principale novità introdotta è «un primo embrione di programmazioni dei flussi migratori (art. 5): la parte più complessa della legge era proprio quella concernente il reclutamento dei lavoratori dall’estero». In particolare, si prevedeva che il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, sentite la commissione centrale per l’impiego e di intesa con i Ministri degli affari esteri e dell’interno, nel rispetto degli impegni comunitari internazionali, potesse emanare dei decreti di carattere generale in materia di impiego e di mobilità professionale di lavoratori subordinati extracomunitari in Italia.

297 W. CHIAROMONTE, Lavoro e diritti sociali degli stranieri, op. cit., p. 101.

298 Legge n. 943/1986, Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori, 30.12.1986, disponibile al seguente link:

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