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L’articolo 4 e l’interpretazione evolutiva della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

CAPITOLO I. DATI SUL FENOMENO DELLO SFRUTTAMENTO

4. I divieti assoluti di schiavitù e di servitù nonché a compiere forzato ed obbligatorio nella

4.1. L’articolo 4 e l’interpretazione evolutiva della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

L’articolo 4 della CEDU è considerato fra gli enunciati fondamentali dell’articolo 15, dove troviamo un elenco di articoli sui quali gli Stati non possono apporre alcuna deroga, nemmeno nei casi di urgenza, come ad esempio in caso di guerra, pericolo pubblico con portata di minaccia nazionali.

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L’impossibilità di derogare l’articolo 4 rende tale previsione davvero importante: la ratio che sottostà a tale previsione è quella di considerare la libertà dalla schiavitù e dalla servitù come due diritti irrinunciabili ed inalienabili, sui quali nessun individuo potrebbe dare il proprio consenso all’accettazione se non in forma involontaria143. Il legame diretto con la libertà, diritto da cui poi discendono molti altri diritti, li rende parte del nucleo fondamentale che non deve essere leso.

All’articolo 19 della CEDU si prevede che venga istituita una Corte permanente che possa assicurare il rispetto degli impegni derivanti dalla ratifica della norma e dei suoi Protocolli. La principale caratteristica, che distingue questa Corte Internazionale da altre Corti con lo stesso mandato giurisdizionale, consiste nel fatto che l’organo giurisdizionale istituito dalla CEDU conferisce la possibilità di presentare ricorso, oltre che agli Stati ex art. 33, anche agli individui singoli, ex art. 34. Quest’ultimo afferma che «[l]a Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto».

La giurisprudenza della CEDU, in riferimento all’articolo 4, si è concentrata quasi esclusivamente sul comma 2 e 3, nei pochi casi in cui è stata denunciata dai ricorrenti la riduzione in schiavitù o in servitù, gli organi di controllo l’hanno puntualmente negata, riconducendo le fattispecie contestate a forme di lavoro legittimo alla luce del comma conclusivo. Successivamente agli anni Duemila la Corte ha rilevato la violazione dei divieti di schiavitù e servitù, alla luce di una nuova interpretazione evolutiva e teologica144.

Per quanto riguarda la previsione della riduzione in schiavitù, la Corte ha adottato una prima decisione sul tema nel 2010 relativamente ad un caso che ha riguardato l’art. 4 e la tratta di esseri umani145. A presentare ricorso fu il padre di

143 A. BROGIONI, Sull’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, op. cit., p. 20. 144 C. TRIPODINA, Commento art. 4, op. cit. p. 102.

145 Processo Rantsev vs. Cipro e Russia, 07.01.2010, disponibile al seguente link: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-96549.

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una giovane cittadina russa che si era recata a Cipro con visto artistico per lavorare ed era deceduta pochi giorni dopo, in circostanze non chiare precipitando da un edificio. Nel ricorso si lamentava la violazione di numerosi articoli della CEDU, e in particolare si denunciava la violazione dell’art. 4, sia da parte delle autorità russe che di quelle cipriote per avere fallito nell’obiettivo di proteggere sua figlia dal traffico di esseri umani e per non essere state in grado di condurre un’investigazione efficace sia sulle circostanze del suo arrivo a Cipro sia sulla natura del suo impiego una volta lì giunta146.

Con la sentenza la Corte di Strasburgo ha avuto modo di fare importanti affermazioni sulle interpretazioni dell’articolo 4, ribadendo la necessità di accedere a una sua interpretazione evolutiva della disposizione alla luce delle condizioni del presente. La tratta di esseri umani è una questione che contrasta con lo scopo dell’articolo e dunque anche tale pratica deve essere combattuta da parte degli Stati, senza necessità di appurare quale delle condotte in essa presenti sono espressamente vietate: se la schiavitù, la servitù o il lavoro forzato od obbligatorio147. Inoltre, «[l]a tratta di esseri umani, finalizzata per sua stessa natura allo sfruttamento, si basa sull’esercizio di poteri inerenti al diritto di proprietà, ne deriva che gli esseri umani sono considerati merci da acquistare, vendere e utilizzare nel lavoro forzato, spesso mal o non retribuito - generalmente nell’industria del sesso, ma anche in altri settori. Comporta uno stretto controllo delle attività delle vittime, i cui movimenti sono spesso limitati, nonché l’uso di violenza e minacce nei confronti delle stesse, che vivono e lavorano in condizioni di indigenza. [Inoltre] Non può esservi dubbio sul fatto che la tratta rappresenti una minaccia per la dignità umana e le libertà fondamentali di coloro che ne sono vittime e non possa essere considerata compatibile con una società democratica e con i valori enunciati nella Convenzione»148.

146 C. TRIPODINA, Commento art. 4, op. cit., p. 94. 147 Idem.

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È utile riportare alcune sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per comprendere come sul piano concreto i diritti espressi nella Carta sono stati garantiti.

Un’importante sentenza da parte della Corte riguarda il caso Siliadin conto Francia, del 26 luglio 2005. L’organo giurisdizionale si è espresso sul caso di una giovane proveniente dal Togo, che era arrivata in Francia con l’aiuto di una donna, con la quale aveva pattuito di svolgere un lavoro, di cui non avrebbe riscosso il compenso fino a quando non avrebbe saldato il suo debito con lei per il viaggio. L’occupazione prevedeva un lavoro da domestica, ma si era anche pattuito di ricevere un’istruzione e la legalizzazione con un permesso di soggiorno valido. Tutto questo non è accaduto e dopo alcuni mesi «la signora D. [la donna che l’aveva aiutata ad arrivare in Francia] ‘prestò’ la ragazza ad una coppia di amici, i signori B., perché li aiutasse nelle faccende domestiche e badasse inoltre ai loro bambini. Inizialmente l’accordo prevedeva che la giovane restasse pochi giorni sino al parto della signora B., poi quest’ultima decise di continuare ad impegnarla. Concretamente, la giovane divenne la ‘donna tutto fare’ della coppia, tant’è che prestava il proprio lavoro tutti i giorni dalle 7.30 della mattina sino alle 10.30 di sera, senza riposo settimanale, ricevendo solamente il permesso di andare a messa alcune domeniche. […] la ragazza non ricevette mai alcuna paga per il lavoro svolto»149. Un giorno, trovò il coraggio di confessare i soprusi subiti ad un vicino ed egli, con l’aiuto del comitato contro la schiavitù moderna, la aiutò a denunciare la famiglia per la quale lavorava. Questa fu condannata in primo grado, ma assolta in appello, perché non riconobbe i reati di riduzione in schiavitù o in servitù.

La ragazza, ritenendo che la giustizia francese ingiustamente non avesse riconosciuto la violazione dei suoi diritti, si rivolse alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro la Francia, in quanto non riteneva che lo Stato le avesse adeguatamente fornito le misure di tutela contro il lavoro forzato ed obbligatorio. Con la sentenza numero 73316/01, al Corte ha condannato la Francia in quanto, pur

149 A. DI BLASI, Il caso Siliadin contro la Francia: la decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo alla luce della nuova normativa italiana in materia di tratta di persone, in Costituzionalismo, 20.09.2006, disponibile al seguente link:

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avendo aderito alla Convenzione, non aveva adeguatamente predisposto misure idonee per salvaguardare in modo efficiente i divieti in essa contenuti.

Da tale decisione «si evince come la Corte ritenga necessario, in armonia con la Convenzione, che qualsiasi forma di riduzione in schiavitù, servitù o assoggettamento a lavoro forzato, venga sanzionata penalmente, essendo tale tipo di sanzione in grado di dissuadere dal commettere tali azioni»150. La sentenza ha il merito di aver precisato cosa si deve intendere per schiavitù e servitù: infatti la Corte ha stabilito che la ragazza fosse stata sottoposta ad una condizione di servitù e non di schiavitù in quanto su di essa non era esercitato un vero e proprio diritto di proprietà. Per «riduzione in schiavitù si intende lo stato di una persona nei cui confronti viene esercitato un vero e proprio diritti di proprietà, a tal punto da ridurla alla condizione di un oggetto. Diversamente, per riduzione in servitù deve intendersi lo stato di una persona che deve provvedere a fornire servizi ad un’altra sotto coercizione ed è direttamente collegata con il concetto di sfruttamento e all’impossibilità per la vittima, di cambiare la propria condizione»151.

Il 30 marzo 2017 la Corte si è pronunciata sul caso Chowdury e altri contro Grecia, definendo e arricchendo la giurisprudenza in merito alla proibizione della schiavitù e del lavoro forzato. Dinanzi alla Corte si sono rivolti quarantadue cittadini del Bangladesh per fare luce sul rapporto di lavoro, che vede impiegati molti stranieri irregolari, nella raccolta delle fragole a Manolada, città greca, in cui vi è una vasta produzione intensiva di fragole.

I lavoratori ricorrenti «venivano reclutati in Atene e, dopo aver lavorato alcuni mesi senza ricevere i compensi pattuiti, rivendicavano i pagamenti scatenando la reazione violenta dei datori di lavoro. Dopo aver confermato che l’art. 4 CEDU impone agli Stati il rispetto di obblighi positivi, di natura sostanziale e procedurale (Corte europea dei diritti umani, Siliadin c. Francia, ricorso n. 73316/01, sentenza del 26 luglio 2005), la Corte ha condannato la Grecia per violazione dell’art. 4 par. 2 CEDU, poiché le autorità elleniche, pur disponendo di un quadro legislativo nazionale adeguato […], non avevano in concreto adottato misure sufficienti a

150 Idem. 151 Idem.

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prevenire le condotte contrarie al divieto di schiavitù e lavoro forzato ed a tutelare le vittime (par. 115). Inoltre, la Grecia non avrebbe adempiuto agli obblighi procedurali di condurre un’inchiesta effettiva e di sanzionare i responsabili della tratta (par. 128)»152. La lettura evolutiva dell’articolo 4 della CEDU ha imposto agli Stati membri di mettere in campo misure di diritto penale per punire i trafficanti di esseri umani, di adottare tutte le misure necessarie per prevenire la tratta e volte a proteggere le vittime. È richiesta un’azione olistica che prevede l’adozione di triplici misure per la prevenzione, repressione e prevenzione attraverso politiche attive comprensive di tutti e tre gli aspetti.

La Corte ha così esplicitato l’obbligo positivo in capo agli Stati i quali non possono svolgere solo un ruolo passivo, ma, nel momento in cui adottano la Convenzione, assumono dovere di mettere in atto tutte le azioni per far rispettare i diritti enunciati.

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