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Primo quadro Analisi politico-giuridica del sistema normativo vigente Primo nodo Nessun dubbio che la Costituzione italiana fece sua la migliore tra-

DELLA COSTITUZIONE

2. Primo quadro Analisi politico-giuridica del sistema normativo vigente Primo nodo Nessun dubbio che la Costituzione italiana fece sua la migliore tra-

dizione del pensiero liberal-democratico europeo del tempo. Per essa le liber- tà personali non sono, infatti, da considerarsi mero bene privato riconducibile all’esclusiva dimensione individuale, ma veri e propri beni pubblici, oggetto di politiche di sostegno e di valorizzazione perché ritenute essenziali per la crescita democratica. Come osserva Alessandro Ferrari: «la libertà individuale e negativa tipica dello Stato liberale, […] diveniva, così, il presupposto di una libertà positi- va declinata come freedom to e non più soltanto circoscritta ai diritti e agli inte- ressi degli individui, ma offerta anche al pieno godimento degli enti collettivi»5.

Tuttavia, se questo giudizio lo si può estendere al complesso del testo costituzio- nale, giudizio più cauto va fatto per la specifica figura del diritto di libertà reli- giosa. I dibattiti sugli artt. 7 e 8 Cost. hanno finito per costituire un’anomalia nel dibattito in Costituente: infatti, il peso della storia dei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica ha finito per smorzare e condizionare lo spirito innovatore e combattivo dei Costituenti. A questo riguardo, nel saggio su Jemolo dall’interessante sottoti- tolo: riforma religiosa e laicità, l’analisi di Fantappiè non lascia dubbi: la soluzione del Costituente nel 1947 fu una scelta di ripiego. Utile, necessaria, inevitabile, ma lontana dallo spirito di Ruffini, Salvatorelli, Pepe o Croce. Si trattava, e conti- nua a trattarsi, di una libertà con la ‘l’ minuscola, non in grado «di alimentare una tensione morale all’interno della società, inadeguata rispetto al complesso e vitale problema della coscienza religiosa»6 intesa quale fondamento e presup-

posto, e non, come ha finito per essere, antitesi ad un modello autenticamente laico di stato e di società. In altre parole, è mancato, in Italia, l’inserimento della questione religiosa all’interno di quella più generale categoria che Salvatorelli 5 Alessandro Ferrari, La libertà religiosa in Italia . Un percorso incompiuto, Roma, Carocci,

2012, p. 41.

6 Carlo Fantappié, Arturo Carlo Jemolo . Riforma religiosa e laicità dello Stato, Brescia,

amava definire: ‘religione della libertà’7. Debole e sterile è stato, infatti, lo sfor-

zo di formare una classe dirigente all’idea che la libertà religiosa, prima ancora che libertà e diritto, fosse principio universale e fondamento di una democrazia. Nelle vicende politiche del 1948, e ancora prima durante i lavori della Costituen- te, l’occhio amaro di Jemolo vide la fine e lo spegnimento definitivo del ‘roveto ardente’, ovvero dell’occasione storica e irripetibile di procedere ad un rinnova- mento radicale della nazione e dello Stato, di approfondire, osserva ancora Fan- tappié «i temi delle relazioni dello Stato con le confessioni religiose, del rapporto fra etica religiosa e morale civile, dell’equilibrio tra la protezione accordata alla Chiesa e l’affermazione costituzionale della parità dei cittadini»8. Si pagavano, in

altre parole, le conseguenze di due profonde mancate riforme: quella religiosa di Rosmini nell’Ottocento e quella laica di Piero Gobetti lo scorso secolo9. L’idea di

ricostruire dalle macerie del fascismo una società e un sistema fondato su di un ‘umanesimo ecclesiastico’ fondato sull’abbandono del vecchio anticlericalismo e l’apertura ad una valutazione positiva delle fedi religiose e delle Chiese che ne sono la manifestazione visibile, in modo da favorire una collaborazione «in tutto il vastissimo campo dell’opera sociale di assistenza, di educazione, di ricostruzio- ne materiale e morale dei danni arrecati dalla guerra»10, non si è mai pienamente

7 Come scriveva argutamente Flaiano – Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Milano,

Adelphi, 1996, p. 39 – «Noi italiani odiamo la libertà, e la prova maggiore che io porto a soste- gno di tale tesi è il gran numero di monumenti eretti nel nostro Paese ai martiri della libertà, che sono sempre morti per difenderla. Noi amiamo la forza e la libertà sta sempre dalla parte dei deboli, che muoiono».

8 Ibidem, p. 124. Per Jemolo la pace religiosa da una parte e un nuovo modo di pensare i

rapporti fra religione e politica dall’altra, non rimandavano ovviamente ai Patti del 1929, per questa ragione raccomanderà a non opporre ostacoli al varo del ‘Compromesso Andreotti’ sulla bozza del nuovo Concordato che poi passerà con il governo Craxi. In quel momento per Jemolo esisteva ancora la speranza di un cambiamento nel modo di concepire il tema della libertà in generale, quella religiosa nello specifico. Ma pochi giorni prima di morire Jemolo confidò – osserva Giovanni Spadolini, Arturo Carlo Jemolo nel centenario della nascita, in «Quad, dir. pol. eccl.», 1990, 2, p. 5 – «Ho sperato che la lezione dell’ultima guerra avesse mutato gli italiani, oggi mi paiono più egoisti, con minore senso sociale, minore capacità di accettare una disciplina, che non fossero all’inizio del secolo, ai temi di Giolitti».

9 Questi due mancati appuntamenti ideali erano ben presenti a Luigi Sturzo. Egli, infatti,

si rese conto che il fallimento del suo progetto era principalmente imputabile alla mancanza – scrive Pietro Scoppola, La democrazia dei cristiani . Il cattolicesimo politico nell’Italia unita. Intervista a cura di Giuseppe Tognon, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 194 – «di quelle condizioni spirituali e religiose che avrebbero dovuto sostenerla in un contesto così difficile come quello del primo dopoguerra. Nei suoi ultimi scritti e in particolare nelle Lettere non spedite ad un fantomatico corrispondente Giovanni […] affiora chiaramente il tema della riforma religiosa»

realizzata e non è mai stata del tutto metabolizzata dalla classe dirigente italiana. Non è casuale il fatto che tutta la storia della vita intellettuale italiana sia sempre stata povera dal lato religioso. Infatti, osservava Jemolo, anche quando «lo storico della religiosità può essere compiaciuto per la bella fioritura di ecclesiastici e di laici che eccellono nella virtù, di opere di pietà che moltiplicano i loro frutti, d’in- tensa devozione, (il medesimo) deve pur riconoscere che il suo giardino rigoglioso è un giardino chiuso, e che la massa del popolo vi passa accanto senza coglierne frutti, senza aspirarne il profumo, senza quasi accorgersene»11. Un vuoto colmato

dalla retorica dei valori del fascismo e dal radicato e diffuso confessionalismo che lo ha accompagnato. Entrambi non sono stati per l’Italia una semplice parentesi, un’avventura qualsiasi, o «una cisti da estirpare»12: essi hanno dato, in realtà, una

impronta al paese condizionando la vita di milioni di famiglie13. L’Italia ha do-

vuto infatti inventarsi una democrazia senza che fosse intervenuta quella rottura di schemi e di alleanze di potere che rendevano difficile la modernizzazione del Paese e la liberazione di nuove energie democratiche. Ma, soprattutto, in Italia è mancato «un solido fondamento religioso e culturale per la democrazia [...]. Il nostro paese è arrivato tardi a comprendere quale avrebbe potuto essere il con- tributo della coscienza religiosa per lo sviluppo dei diritti della persona e per lo sviluppo della democrazia»14. I problemi religiosi, infatti, ricorda ancora Flaiano,

«non hanno mai toccato la società italiana, assolta com’è in anticipo, […] e quelli morali hanno sempre riguardato il Ministro dell’Interno»15. Quieta non movere,

questa fu la parola d’ordine sull’art. 5 della bozza, poi diventato art. 7 Cost. Una quiete basata sulla moderazione, sulla paura del nuovo, un timore, scrive- va amaramente Jemolo nella parte conclusiva del suo «Stato e Chiesa in Italia.

11 Ibidem.

12 P. Scoppola, La democrazia dei cristiani . Il cattolicesimo politico nell’Italia unita., cit.,

p. 118.; Agostino Giovagnoli, Lo Stato, la Chiesa e il tramonto della Democrazia cristiana, in «Quad, dir. pol. eccl.», 1994, 2, pp. 289-306.

13 Cfr. Ibidem .

14 Ibidem, p. 194. Del principio di laicità Jemolo accolse e valorizzò il primato della ragio-

ne e della tolleranza, in una prospettiva giuridica e politica, quella – scriveva G. Spadolini, Arturo Carlo Jemolo, cit., p. 10 – «di uno Stato che fosse sempre più casa comune di credenti e non credenti. Una casa comune che costituisse così la proiezione di quei valori risorgimen- tali incarnati […] nella fedeltà ad una certa idea dell’Italia. Proprio quell’Italia che il grande giurista, con tutte le sue forze, cercò di preservare da ogni spinta particolaristica e destabiliz- zante, da ogni tentazione di campanile, da ogni velleità di rivincita localistica». Si legga anche Giuseppe Rensi, Lettere spirituali, Milano, Adelphi, 1987, e Claudio Pavone, La continuità dello Stato . Istituzioni e uomini, in Alle origini della Repubblica: scritti sul fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati-Boringhieri, 1995.

Dalla unificazione ai giorni nostri»: «di abbattere […], un desiderio di rimandare […]»16. Insomma, quelle norme costituzionali furono il canto del cigno, scriveva

Carlo Morandi, del cattolicesimo liberale, la messa in sordina e la marginalizza- zione di un dibattito culturale alto sul ruolo della religione nella società liberale e sul significato da dare al laicismo e alla laicità17. Ciò che andava spegnendosi

era il fervore che nel ’43 al Ciabas, in Val Pellice, aveva animato la discussione di un gruppo di giovani valdesi, tra cui Giorgio Peyrot, riuniti intorno al pastore Giovanni Miegge sul futuro del separatismo e dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia. Anche se, va detto, in quei dibattiti alle pendici del Monviso, fin dal 1943 era ben presente la consapevolezza che in Italia una certa idea di libertà religiosa sarebbe sempre stata di pochi, poiché la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, osserva Gagliano nell’introduzione agli scritti di Peyrot: «era natural- mente concordataria mancando, […] di una generale sensibilità verso la libertà»18.

Che l’impianto costituzionale su cui si fonda il sistema pattizio fosse l’esito di una scelta dovuta, di un compromesso politico, è stato sempre chiaro. Nel 1984, in una intervista di Scoppola e Leopoldo Elia ad un ormai anziano Dossetti, alla domanda se fosse convinto delle argomentazioni addotte in Assemblea Costituen- te a difesa del secondo comma dell’art. 7, egli rispose di no, ma aggiunse, anche, che non avrebbe potuto fare diversamente. In quel momento le ragioni storiche e politiche imponevano una difesa dei Patti lateranensi19. Nel 1952 durante i famosi

16 Più estesamente Jemolo – Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia . Dalla unifica-

zione ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 1977, p. 295 – in merito alle forze politiche presenti in Assemblea Costituente scriveva: «mostrarono una moderazione, una paura del nuovo, un timore di abbattere, un rispetto di tutte le suscettibilità, di tutti gli amor propri locali, di tutti i minuscoli interessi, un desiderio di rimandare, di aggiornare, che finì di dare al popolo un certo scetticismo sull’ordinamento giuridico ed economico da fondare […]. Vi sono ore nella storia di un popolo nelle quali occorre la pacata discussione, la bonomia, la remissività, ma ve ne sono altre nelle quali sarebbe necessaria la temperie del roveto ardente. Ora la Costituente poté avere sedute mosse, agitate, ma come certe sedute delle felici legislature del 1904 e del 1909; non si poté mai parlare per essa di ambiente arroventato». Cfr. anche Piero Calaman- drei, La Costituzione e le leggi per attuarla (1955), in Scritti e discorsi politici, a cura di Norberto Bobbio, Firenze, La Nuova Italia, 1966, II, p. 22; Alessandro Pizzorusso, Il disgelo costituzio- nale, in Storia dell’Italia Repubblicana, v. II/2, Torino, Einaudi, 1995, pp. 115-150.

17 Cfr. Giorgio Peyrot, La libertà di coscienza e di culto di fronte alla Costituente italiana, in

G . Peyrot . La libertà di coscienza e di culto di fronte alla Costituente italiana, a cura di Stefano Gagliano, Chieti, Edizioni GBU, 2013, p. 93.

18 Stefano Gagliano, La libertà di coscienza e di culto nel pensiero protestante e l’interpreta-

zione di Giorgio Peyrot, in G . Peyrot . La libertà di coscienza e di culto di fronte alla Costituente italiana, cit., p. 29.

19 P. Scoppola, La democrazia dei cristiani . Il cattolicesimo politico nell’Italia unita., cit.,

convegni di Rossena, Dossetti si rese conto, scrive Scoppola, «che il suo progetto politico-religioso non era realizzabile e che la posizione di De Gasperi era, in quella situazione, la più avanzata possibile»20 e, probabilmente, la sola ed unica

praticabile. D’altronde, ad indebolire ulteriormente la tensione morale intorno al tema della libertà religiosa in quell’inizio di Repubblica, fu l’ibernazione stessa della Carta costituzionale e il depotenziamento delle sue potenzialità riformatri- ci da parte di quello che Calamandrei definì ‘ostruzionismo di maggioranza’21,

manifestatosi nel rinvio dell’attuazione dei suoi istituti più innovati e garantisti22,

nonché, così osserva Ferrajoli23, la riconferma di tutto il vecchio personale am-

ministrativo e giudiziario e il mantenimento dei vecchi apparti burocratici24 ben

radicati nella vecchia cultura giuridica non preparata a sopportare e supportare il profondo cambiamento introdotto dal Costituente25, come testimonia il caso

Bellandi26. Una cultura giuridica e una prassi amministrativa che, una volta intu-

ita la portata innovativa delle norme costituzionali, per anni seppero opporre una tenace resistenza alla loro effettiva attuazione. «Fatta eccezione per Costantino Mortati, Vezio Crisafulli e Piero Calamandrei, […] la giuspubblicistica domi- nante continuò a rimanere fedele alla vecchia dottrina dello Stato-persona quale figura astratta e ipostatizzata, riproposta da Romano e da Orlando nei loro ma- nuali ripetutamente editi nel dopoguerra»27. Il quadriennio ricompreso fra il 1945

e il 1948 non a caso è stato definito dagli storici come il periodo della continuità

dello Stato, dove una grandissima parte degli istituti propri del regime fascista,

20 Ibidem, p. 124.

21 Luigi Ferrajoli, La cultura giuridica nell’Italia del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1999,

p. 60.

22 Si pensi alla Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura istituiti

l’una nel 1956 e l’altro nel 1958, o l’istituto del referendum abrogativo e le Regioni introdotti solo nel 1970.

23 Si veda anche Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana: dalla fine della guerra agli

anni Novanta, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 39-40.

24 S. Gagliano, La libertà di coscienza e di culto nel pensiero protestante e l’interpretazione

di Giorgio Peyrot, cit., p. 60.

25 Cfr. Luciano Musselli, Partiti politici e religione nell’Italia repubblicana: tra vecchi e

nuovi confessionismi, in «Quad. dir. pol. eccl.», 2014, 1, pp. 35-49.

26 Nel 1958 i coniugi Bellandi di Prato vennero processati e condannati per il solo fatto

di avere contratto matrimonio civile e bollati pubblicamente dal vescovo di Parto come ‘pec- catori’. Quest’ultimo, querelato e condannato in primo grado, fu assolto in Appello mentre i ricorrenti vennero condannati, così si espresse la Corte di secondo grado, per avere «sprez- zamente ripudiato il sacramento del matrimonio». Si veda al riguardo Mario Martini, Intro- duzione, in Aldo Capitini, Religione aperta. Prefazione di Goffredo Fofi, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 21.

o connotati politicamente come tali, diventarono la «spina dorsale della nuova repubblica trasferendosi con disinvoltura assieme alle sue piante organiche […] mentre gli addetti ai servizi (mantennero) intatte abitudini, preferenze, opinioni spesso incompatibili con i principi informatori di una moderna democrazia»28.

D’altra parte, come ha avuto modo di evidenziare la migliore dottrina29, attuare

una costituzione a modello garantista, com’era quella del 1948, avrebbe signifi- cato per le forze politiche dell’arco costituente, e per la Democrazia Cristiana in particolare, attivare meccanismi limitativi del proprio potere ed offrire il fianco alle forze politiche avversarie30.

Secondo nodo. Quali le conseguenze di tutto ciò sul piano dei rapporti fra lo

Stato e le confessioni religiose? L’attuale normativa assicura o non un soddisfa- cente grado di tutela del diritto di libertà religiosa? Che qualcosa nel sistema di tutela di tali diritti non quadri è difficile negarlo. Non si spiegherebbe altrimenti la dialettica, che non è solo giuridica, all’interno della dottrina ecclesiasticistica italiana, fra il fronte lealista, o per dirla alla Colaianni, pattista, e quello, chia- miamolo, riformista. Il primo convinto nel difendere lo status quo, o tuttalpiù di- sposto a intervenire con riforme più di facciata che di sostanza, come testimonia il richiamo costante, fatto da più autori, allo strumento del Testo Unico, sapen- do31 che tale fonte risponde esclusivamente ad esigenze di mera riorganizzazione

unitaria del materiale normativo vigente, in quanto, si sa che con i Testi Unici non si riforma nulla essendo una fonte dalla natura esclusivamente conserva- tiva, non funzionale alla produzione di una nuova normativa, ma semmai alla «chiarificazione e organizzazione unitaria del coacervo del materiale normativo

28 S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, cit., p. 39.

29 Cfr. Enzo Cheli, Il problema storico della Costituente in Italia 1943-1950 . La ricostruzione,

a cura di S.J. Woolf, Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 253.

30 Francesco Margiotta Broglio, La politica religiosa della Repubblica Italiana, in «Quad.

dir. pol. eccl.», 2014, 1, p. 13. L’anelito alle intese – osserva ancora Mario Ricca, Legge e inte- sa con le confessioni religiose . Sul dualismo tipicità/atipicità nella dinamica delle fonti, Torino, Giappichelli, 1996, p. 4 – prima ancora che una battaglia d’interessi, assume le sembianze «di un confronto pubblico per la conquista di un nome legislativo, di un nome proprio. ‘esistere per la legge’ ha forse costituito in questi primi anni di pratica delle intese il vero obiettivo perseguito dalle formazioni religiose di minoranza». La cittadinanza ottenuta in seno al lin- guaggio della legge, la conquista ufficiale di un nome proprio, l’essere nell’elenco delle con- fessioni con intesa, «sono obiettivi forse ancor più importanti che riuscire a piegare le parole del diritto verso l’erogazione di vantaggi ponderabili in termini immediatamente materiali».

31 Gustavo Zagrebelsky, Manuale di Diritto Costituzionale, v . I ., Il sistema delle fonti del

diritto, Torino, UTET, 1996, pp. 171 ss.; Fortunato Freni, L’iter delle intese sui rapporti Stato- confessioni ristretto fra discrezionalità politica e insicurezza presunta, in «Stato, Chiese e plurali- smo confessionale», rivista telematica (www .statoechiese .it), 2018, 30, pp. 1-39.

già prodotto»32. Manca, infatti, a queste fonti lo spirito innovativo, perché esse

sono pensate esclusivamente in chiave ordinatoria secondo una logica esclusiva- mente conservativa. Ad un Testo Unico non si chiede di innovare, ma piuttosto di coordinare in forma sistemica, e anche là dove la normativa contenuta venga qualificata come ‘innovativa’, in verità gli elementi di novità non stravolgono e non mutano la ratio presente nella precedente disciplina oggetto di sistematizza- zione. In questi casi il significato di ‘innovazione’ assume, infatti, un significato meramente tecnico, in quanto indica semplicemente che la normativa precedente non potrà più essere applicata33.

La verità, al di là dei profili tecnico-giuridici, è che ci sono stati e sempre con- tinueranno ad esserci dei Mario Piacentini, «che per calcolo, per innato poco co- raggio, per naturale vocazione all’obbedienza e sincera devozione vero l’Autorità civile o religiosa che sia, per abitudine a sapersi muovere con abilità nella giungla del potere, si accontenteranno di una legge come quella sui culti ammessi, forse non arriveranno a considerarla come Magna Charta della libertà religiosa, ma continueranno a pensare che tutto sommato va bene, dal momento che potrebbe esserci di peggio»34.

Il secondo fronte35, che convenzionalmente e arbitrariamente definisco rifor- mista, muove, invece, da una più convinta e diversamente profonda esigenza di

riforma del sistema normativo vigente. In breve, i primi sono convinti che il siste- ma pattizio vigente assicuri, anche per il futuro, un soddisfacente grado di libertà religiosa e di pluralismo, i secondi, sul punto sono più scettici. Ma, soprattutto, ciò che sta più a cuore ai riformisti, e nel contempo preoccupa non poco o quanto meno non entusiasma i lealisti, è l’esigenza di una nuova legge generale di libertà religiosa, non in sostituzione, ma ad integrazione del sistema bilaterale36. Quali

32 G. Zagrebelsky, Manuale di Diritto Costituzionale, v . I ., Il sistema delle fonti del diritto,

cit., pp. 171 ss.

33 Ibidem, p. 172.

34 S. Gagliano, La libertà di coscienza e di culto nel pensiero protestante e l’interpretazione

di Giorgio Peyrot, cit., p. 65. Si veda anche Luigi Barbieri, Sul principio di ragionevolezza egua- glianza e libertà delle confessioni religiose, in Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, a cura di Vittorio Parlato, Giovanni Battista Varnier, Torino, Giappichelli, 1995, p. 92.

35 Dall’altra continuerà ad esserci, invece, chi non si accontenterà di una legge giurisdi-

zionalista espressione di uno Stato poco incline ad un autentico pluralismo. Continueranno ad esserci persone per le quali la libertà di religione e di culto è cosa importante e centrale nell’impianto costituzionale di una democrazia che nella libertà di coscienza, nella sostanziale e non solo formale parità dei culti e neutralità dello Stato, dovrebbe trovare le proprie fon- damenta.

36 Cfr. G.B. Varnier, La prospettiva pattizia, in Principio pattizio e realtà religiose mino-

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