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La terza fase: proteggere la libertà religiosa attraverso il diritto anti discriminatorio

ITINERARI, ATTORI E CONTRADDIZIONI DI UN PERCORSO NON LINEARE

4. La terza fase: proteggere la libertà religiosa attraverso il diritto anti discriminatorio

Il presente che attraversiamo, più o meno preoccupati, risente fortemente dei mutati sentimenti e orientamenti del corpo sociale. Da qualche anno ormai, la libertà religiosa ha cominciato ad essere osservata nell’ottica delle esigenze di sicurezza e di tutela identitaria e non più nell’ottica della tutela delle coscienze individuali e collettive. I fattori pregiuridici influenzano notevolmente, come in ogni epoca, l’attività degli operatori giuridici, che appaiono sempre più propensi a ripensare il diritto di libertà religiosa, o perlomeno a metterne in discussione la sua indifferenziata estensione soggettiva, la sua refrattarietà a limiti e condizio-

nale, in Le minoranze religiose tra passato e futuro, a cura di Daniele Ferrari, Torino, Claudiana, 2016, p. 127, secondo il quale per garantire la libertà delle confessioni religiose non sarebbe indispensabile promulgare quella legge sulle libertà religiose che molti chiedono, potendo ba- stare a questo fine l’abrogazione immediata della legge sui culti ammessi. «Certo, una nuova buona legge potrebbe aiutare, ma deve essere buona. Altrimenti rischiamo di mantenere la stessa carica discriminatoria che oggi esprime la legge del 1929 e la prassi che vi si riferisce». Più chiaramente in questo senso Antonio G. Chizzoniti, La tutela del pluralismo religioso in Italia: uno sguardo al passato e una prospettiva per il futuro, in Le minoranze religiose tra passato e futuro, a cura di Daniele Ferrari, cit., p. 146.

23 Per una sintetica ma esauriente ricostruzione della vicenda si veda Fortunato Freni,

L’iter delle intese sui rapporti Stato-confessioni ristretto fra discrezionalità politica e insicurezza presunta, in www .statoechiese .it, pp. 10 ss.

namenti. Addirittura, nel programma elettorale di uno dei partiti che guidano il governo del Paese nel momento in cui si licenziano queste pagine si afferma esplicitamente l’obiettivo di porre in essere misure discriminatorie nei confronti di una confessione religiosa24; misure che farebbero retroagire il diritto di riunirsi

e di esercitare il culto ai tempi degli strumenti di polizia, bene esemplificati dalla circolare Buffarini Guidi, del ventennio fascista25.

Il diritto vivente, così, potrebbe ben presto tornare ad essere disallineato rispetto al sentire sociale, ma con una inversione radicale del rapporto rispetto a quanto accadeva nella fase immediatamente successiva all’entrata in vigore della Costi- tuzione; allora si doveva spingere la società in avanti, verso la Costituzione, ora si vorrebbe e si dovrebbe portare il diritto all’indietro, lontano dalla Costituzione.

Per chi ritiene che in questo contesto, così turbolento e inquieto, la tutela della libertà religiosa rappresenti sempre più una necessaria garanzia e soglia minima di rispetto della dignità della persona umana26, per chi continua a credere in una

versione piena e indifferenziata della libertà religiosa, si tratta dunque non più di proporre formule per estenderne contenuto e fruizione ma di elaborare meccani- smi per difenderne il livello progressivamente conseguito. Questa difesa richiede al contempo un ripensamento delle scelte fin qui maturate, almeno in ordine al legame tra libertà e appartenenza confessionale, recuperando così pienamente la dimensione individuale della fede e dell’assenza di fede, e in ordine alla effettiva modalità di riconoscimento della diversità (ogni diversità? ad ogni costo? con quali limiti?) in una società ormai effettivamente multiculturale.

Intanto, di fronte al rischio di interventi legislativi che mirino a ridurre il contenuto della libertà religiosa e ad addivenire ad una graduazione nel godimen-

24 Sui pericoli di questa deriva securitaria ed identitaria insiste F. Freni, L’iter delle intese

sui rapporti Stato-confessioni ristretto fra discrezionalità politica e insicurezza presunta, cit., p. 34, che opportunamente sottolinea la necessità di contrastare «la politica della “normativa del più forte”, ovvero della legislazione generale fondata pervicacemente sul principio maggioritario, tendente ad accogliere solo le istanze di una maggioranza autoctona, chiusa nell’apologia del suo monocorde bagaglio culturale e delle sue rendite di posizione, e quindi insensibile alle plurali esigenze degli altri consociati e alle varie istanze di tutela di ogni persona. Più in gene- rale, come è stato notato, nel Contratto di Governo i termini: religione, laicità, pluralismo, spirito, spirituale, libertà religiosa, chiesa cattolica, simboli religiosi sono completamente as- senti, né l’esperienza del religioso è stata fatta rientrare tra i bisogni profondi del Paese. Così, R. Mazzola, Ordinamento statuale e confessioni religiose . La politica delle fonti di diritto in Italia, cit., e già prima Giuseppe Casuscelli, Il “vento del cambiamento” e il “soffio dello spirito”, in www .statoechiese .it.

25 G. Casuscelli, Il “vento del cambiamento” e il “soffio dello spirito”, cit., p. 5.

26 Così Paolo Cavana, Libertà religiosa e proposte di riforma della legislazione ecclesiastica in

to dei diritti sociali e civili – utilizzando criteri apparentemente neutri come la cittadinanza, la residenza, la sicurezza urbana – torna ad essere decisivo il ruolo della giurisprudenza, questa volta non più solo italiana. Ed in particolare, a me pare, che la sorte della libertà religiosa potrebbe continuare, anche in questa terza fase della sua esistenza costituzionale, a dipendere dall’evoluzione del principio di uguaglianza, che in questi anni trova nuova linfa – tanto a livello interno quanto a livello sovranazionale – nell’applicazione del diritto antidiscriminatorio27.

Il principio di non discriminazione, stabilmente collocato tra i principi fon- damentali dell’Unione europea28, consente di sottoporre ad un attento controllo

le differenziazioni (peggiorative) poste in essere dal legislatore, dalla pubblica amministrazione e dai privati sottoponendole alla valutazione della loro ragione- volezza, garantendo così la tutela della parità di trattamento ma anche la tutela di quel diritto alla diversità che è sempre più centrale nelle società multiculturali. Infatti, lo stesso principio di non discriminazione, attraverso il divieto di discri- minazione indiretta che presuppone il riconoscimento che una norma uguale per tutti e standardizzata può creare uno svantaggio per alcuni29, sterilizza il rischio

che una applicazione troppo intensa del principio di uguaglianza conduca verso una rigida uniformità di trattamento, che è davvero quanto di meno servirebbe ad un società articolata e complessa come è quella multiculturale.

A seguito della sua attuazione normativa, tale principio ha trovato la propria piena applicazione tanto nella giurisprudenza europea30 quanto, sebbene forse in

forma più timida, in quella italiana. E quindi sarà proprio, per dirla con Angelo Licastro, setacciando la casistica e la giurisprudenza che sarà possibile capire se e fino a che punto gli strumenti del diritto antidiscriminatorio abbiano concre- tamente lasciato una impronta innovativa nel diritto vivente31 e se e fino a che

punto essi potranno essere utilizzati in futuro per garantire una reale implemen- tazione del diritto alla diversità religiosa, e conseguentemente, se non una ulterio- re espansione, almeno una tenuta del diritto di libertà religiosa.

27 Sul rapporto tra eguaglianza e non discriminazione si rimanda, tra i tanti, a Gianni

Arrigo, Uguaglianza, parità e non discriminazione nel diritto dell’Unione europea, in «Rivista giuridica del lavoro», 2016, I, pp. 478 ss.

28 Tra i tanti Stella Coglievina, Diritto antidiscriminatorio e religione . Uguaglianza, diversi-

tà e libertà religiosa in Italia, Francia e Regno Unito, Tricase, Libellula, p. 28; David Durisotto, Istituzioni europee e libertà religiosa, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2016, p. 270.

29 Stella Coglievina, I divieti di discriminazione religiosa come strumento della convivenza, in

Democrazie e religioni, a cura di Erminia Camassa, Napoli, Editoriale scientifica, 2016, p. 105.

30 Sia pure con intensità ben diversa tra Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte di

giustizia.

31 Angelo Licastro, Libertà religiosa, convivenza e discriminazioni, in Democrazie e religioni,

Proprio perché questa terza fase si trova ancora in uno stato embrionale, nonché per le poche applicazioni che il diritto antidiscriminatorio ha trovato nel nostro Paese, è azzardato arrischiare previsioni su quello che accadrà nel futuro prossimo. Certo, è possibile provare a segnalare alcuni profili parti- colarmente significativi, intorno ai quali probabilmente si giocherà l’effettiva capacità di tale normativa di permeare l’ordinamento giuridico e di porre un argine insuperabile alle pulsioni securitarie e autoritarie che vanno dispiegan- dosi nella nostra società32.

In primo luogo, alcune recenti controversie lasciano presagire il rischio che nella valutazione delle questioni sottoposte alla loro valutazione, i giudici si spingano fino all’invasione dell’ordine confessionale, magari attraverso la propria autonoma qualificazione della pratica o del comportamento del fedele o della loro effettiva rilevanza dal punto di vista fideistico33. Allo stesso modo, l’inevitabile sindacabilità

dei provvedimenti adottati dai gruppi religiosi34 deve trovare limiti certi per non

tramutarsi in una eccessiva compressione dell’autonomia confessionale.

Altro rischio che occorre contrastare è quello relativo alla possibilità che la giurisprudenza chiamata ad applicare il diritto anti-discriminatorio si lasci anda- re a valutazioni sulla sfera della coscienza del fedele, cosa che accadrebbe se, ad esempio si procedesse ad una ponderazione della sincerità del credente che pone a fondamento della richiesta di tutela una pratica o una interdizione proveniente dalla propria confessione35.

Al contrario, la normativa antidiscriminatoria, come è noto, cerca di agevola- re le vittime di discriminazione riconoscendo la legittimazione ad agire anche in capo a soggetti collettivi che rispondano a determinate caratteristiche. Sebbene tale disposizione sia destinata ad avere un impatto nella materia religiosa molto ridotto rispetto a quanto già accade in altri settori, è comunque evidente che tale facoltà potrebbe produrre un interessante ampliamento della casistica connessa alle esigenze religiose delle minoranze più deboli.

32 Come viene opportunamente segnalato, un esito insoddisfacente nella interpretazione

di questi profili potrebbe, al contrario, confinare nell’inutilità, almeno per quanto riguarda la libertà religiosa, il diritto antidiscriminatorio. Cfr. S. Coglievina, I divieti di discriminazione religiosa come strumento della convivenza, cit., p. 122.

33 Si rimanda per questi aspetti alla ricostruzione di S. Coglievina, I divieti di discrimina-

zione religiosa come strumento della convivenza, cit., pp. 110 ss.

34 Cfr. Maura Ranieri, Il primo incontro della Corte di Giustizia con le organizzazioni orien-

tate: tra slanci e qualche timidezza, in «Argomenti di diritto del lavoro», 2018, 4-5, pp. 1116 ss.

35 Il riferimento qui va alla sentenza della Corte europea dei dritti dell’uomo Eweida &

others c . Uk, del 15 gennaio 2013. Sul punto Nicolas Hervieu, Un nouvel équilibre européen dans l’appréhension des convictions religieuses au travail, in «Stato, Chiese e pluralismo confes- sionale», rivista telematica (www .statoechiese .it).

Infine, come è stato notato in alcuni recenti studi, il margine di apprezzamen- to riconosciuto in capo agli Stati si dilata, a scapito dell’effettività del principio di non discriminazione, ogni qual volta entrano in gioco questioni morali e/o etiche36 (e/o religiose37, potremmo aggiungere noi). Da ciò scaturiscono alme-

no due problemi: in primo luogo, viene in evidenza la difficoltà di garantire il mantenimento di un unico standard di tutela per i fattori di protezione tipizzati dalla normativa quando gli orientamenti sociali regressivi assumono un parti- colare clamore mediatico. In secondo luogo, emerge la difficoltà del principio antidiscriminatorio di resistere alla pressione politica quando essa viene veicolata attraverso il riferimento ai principi nazionali che ispirano la regolamentazione dei rapporti tra Stato e chiese.

Il rischio, insomma è che il fattore religioso vada incontro ad un destino diverso dagli altri elementi protetti dalla normativa antidiscriminatoria, e che di conseguenza la libertà religiosa – priva di questa copertura – regredisca più velocemente di altri diritti di libertà pur sofferenti in questo scorcio di tempo.

36 Maura Ranieri, Identità, organizzazioni, rapporti di lavoro, Padova, Cedam, 2017, p. 147. 37 Con riferimento specifico alla libertà religiosa, Pierluigi Consorti, La battaglia per la

libertà religiosa nel “dialogo fra Corti” e la funzione del “margine di apprezzamento”, in Il Diritto come “scienza di mezzo” . Studi in onore di Mario Tedeschi, a cura di M. d’Arienzo, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 2017, pp. 626 ss., nota come il margine di apprezzamento, per lungo tempo poco utilizzato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, da qualche anno a questa parte abbia trovato una applicazione molto più intensa e sempre volta ad assecondare il di- ritto nazionale, finendo così per atteggiarsi come un limite alla capacità della Corte stessa di promuovere i diritti umani, e questo diritto in particolare.

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